di Paolo Barnard
28.08.2019
Ancora oggi ci sono moltissimi sedicenti “esperti di economia” che vedono nelle privatizzazioni la soluzione ai problemi economici dell’Italia.
Forse non conoscono la verità delle pivatizzazioni.
Ecco un caso emblematico.
La complicità tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti inizia nel luglio 1982, quando Prodi viene nominato presidente dell’IRI, il più grande ente economico dello Stato, in casa del suo storico compare Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica ed Espresso e di altre 30 riviste/quotidiani/
L’attività di Prodi dal 1982 al 2007 è stata concentrata principalmente in un solo unico compito:
Svendere (o regalare) tutti gli enti pubblici dello Stato al suo alleato Carlo De Benedetti a un prezzo irrisorio con bandi truccati.
De Benedetti, dal canto suo, si è poi puntualmente affrettato a rivendere immediatamente tali società al loro reale valore di mercato (di solito 20 volte il loro prezzo d’acquisto) a gruppi stranieri (o addirittura allo Stato stesso, che li ricomprava a prezzi folli), realizzando guadagni incalcolabili a danno degli italiani.
Prodi, per 7 anni guidò l’ IRI dello Stato, concedendo tra l’altro incarichi miliardari alla sua società di consulenza “Nomisma”, con un evidente conflitto di interessi.
Al termine di questi 7 anni il patrimonio dell’ IRI risultò dimezzato per la cessione di importanti gruppi quali Alfa Romeo e FIAT, dalla quale prese grosse somme di denaro in tangenti per la Nomisma, passando da 3.959 a 2.102 miliardi.
La Ford aveva offerto 2.000 miliardi in contanti per l’Alfa Romeo, ma Prodi la regalò alla FIAT per soli 1000 miliardi a rate.
Egli nel frattempo lottizzò ben 170 nomine dei quali ben 93 diessini.
Le privatizzazioni dell’IRI fatte da Romano Prodi sono state delle vere e proprie svendite del patrimonio economico italiano a gruppi privati della Sinistra (De Benedetti, Coop Rosse) complici del professore, anche se “svendere” un ente pubblico a un decimo del suo valore quando ci sono altri gruppi privati che offrono il doppio, più che una “svendita” è un regalo, o per essere ancora più precisi è una serie incredibile di furti colossali a danno dello Stato e degli italiani perpetrata impunemente per anni.
Giocando sulle parole e sull’interpretazione dello statuto dell’Ente, Romano Prodi vantò utili inverosimili (12 miliardi e 400 milioni nel 1985).
La Corte dei Conti, magistratura di sorveglianza, portò alla luce l’enorme falso in bilancio di Prodi: «Il complessivo risultato di gestione dell’Istituto IRI per il 1985, cui concorrono… sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984».
La Corte, inoltre, segnalava che le perdite nette nel 1985 erano assommate a 1.203 miliardi contro i 2.347 miliardi del 1984.
Romano Prodi, davanti alle folle dei suoi fans tuttoggi si vanta tantissimo che durante i suoi 7 anni alla presidenza dell’ IRI riuscì a far guadagnare utili stratosferici.
La verità, come chiarito dalla Corte dei Conti, è che invece di utili stratosferici realizzo perdite stratosferiche, regalando il patrimonio dello Stato e degli Italiani ai suoi amici della Sinistra.
Prodi uscì indenne dai processi perché le aziende erano S.P.A. di diritto privato e quindi i dirigenti non erano qualificati come pubblici ufficiali. Mani Pulite cambierà anche questo, per cui le società controllate da enti pubblici sarebbero state considerate tutte operanti nell’interesse pubblico, con le relative conseguenze per gli amministratori.
La conferma di tutto questo si trova nell’indebitamento dell’Istituto, salito dal 1982 al 1989 da 7.349 a 20.873 miliardi (+184 per cento), e quello del gruppo IRI da 34.948 a 45.672 (+30 per cento). Perdite stratosferiche appunto.
Lo stesso D’Alema, intervistato da Biagi in televisione, affermò che Romano Prodi, da lui scelto per guidare la coalizione contro Berlusconi, era un «uomo competente» perché quando lasciò l’IRI nel 1989 il bilancio dava un «più 981 miliardi». Fu facile confutare queste affermazioni, facendogli notare che la cifra reale, tenendo contro delle perdite siderurgiche transitate soltanto nel conto patrimoniale, era di «meno» 2.416 miliardi. Il buco reale non fu mai contestato dai diretti interessati.
La vera abilità di Romano Prodi è sempre stata di riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino, nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell’IRI, Romano Prodi ne ottenne ben 17.500!
Nel 1986, Romano Prodi, con un contrattino di appena 4 paginette (anzichè centinaia come normalmente si fa) a trattativa privata, svendette il più grande gruppo alimentare dello Stato, la SME, alla Buitoni del suo amicone Carlo De Benedetti per soli 393 miliardi.
La SME, già nelle casse aveva più di 600 miliardi di denaro liquido, ma il suo valore globale era di 3.100 miliardi. A Prodi e De Benedetti fu dato torto in primo grado, in Corte d’appello e in Cassazione da ben 15 magistrati, all’unanimità.
Il magistrato Saverio Borrelli del pool Mani Pulite di Milano, 6 anni dopo, incriminerà invece penalmente Silvio Berlusconi, per aver impedito (insieme a Ferrero e Barilla con una pubblica offerta d’acquisto enormemente superiore rispetto a quella di De Benedetti) l’ennesima svendita di Romano Prodi: la SME (un regalo di 3100 miliardi dello Stato) a Carlo De Benedetti, nonostante a questi due compari fosse stato dato torto in tutti e 3 i gradi di giudizio dal Tribunale di Roma e dal TAR del Lazio e nonostante Berlusconi e gli altri imprenditori non ci avessero guadagnato alla fine nulla.
Come presidente dell’IRI, svendette anche la Italgel alla Unilever, essendo contemporaneamente consulente di quest’ultima, nonostante quindi un conflitto di interessi evidente.
Se l’IRI era, come in realtà era, un covo di corruzione senza limiti sarebbe stata giusto arrestare e processare Prodi, che la presiedette per 7 anni e non solo chi (Nobile) lo fece per soli 17 mesi.
Durante Tangentopoli, Di Pietro stava per arrestare Prodi, ma lui se ne andò dritto a piangere (nel vero senso della parola) da Mancuso e dal presidente della Repubblica Scalfaro, il quale, come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, riuscì a non farlo incriminare.
Tutto in un giorno.
Durante il suo Governo nel 1996 regalò 5.000 miliardi alla Fiat per fare una rottamazione.
Durante i fallimenti Parmalat e Cirio, Prodi difese i banchieri che truffarono i risparmiatori e loro ricambiarono il favore con i loro giornali schierati.
I PM dovrebbero usare lo stesso metro, lo stesso zelo sia con Fiorani che con Consorte; o, almeno, sullo stesso Fiorani credergli sempre o mai.
Anche quando dice, e Boni conferma, d’aver dato 750 mila euro Palenzona (Margherita), che sono 15 volte di più di quanto dato (e rifiutato) dal leghista Giorgetti. Anche se il Corriere su Giorgetti ha fatto un titolo 15 volte più vistoso di quello per Palenzona.
L’affare Infostrada
Nel 1997, il Governo Prodi svende Infostrada (dello Stato) a De Benedetti per 700 miliardi di lire, da pagarsi a rate in 14 anni. De Benedetti la rivende immediatamente (dopo aver pagato solo la prima rata) alla tedesca Mannesman a 14.000 miliardi (20 volte il prezzo d’acquisto !). Non basta, lo Stato italiano nel 2001, quando ancora c’era il governo di centrosinistra, RIACQUISTA Infostrada dalla tedesca Mannesman a 21.300 miliardi di lire. Con la “privatizzazione” di Infostada fatta da Prodi quindi lo Stato ha sborsato 21.300 miliardi di lire, le quali sono finiti 14.000 nelle tasche di De Benedetti e 14.000 nelle casse della Mannesman, in Germania.
De Benedetti e Mannesman avevano un losco accordo: De Benedetti si fa regalare Infostrada da Prodi, la Mannesman se la compra al suo reale valore di mercato e poi se la rivende al doppio (realizzando 14.000 miliardi) allo Stato, complice un governo di Sinistra.
Il manager di Infostrada, Lorenzo Necci, provò ad opporsi a questo immane ladrocinio ai danni dello Stato, ma fu subito incriminato, incarcerato, sputtanato dai giornali della Sinistra (di cui gran parte di proprietà di De Benedetti e persino scritti da lui !) e poi, ovviamente, assolto. Questo è quello che di solito succede a chi mette i bastoni tra le ruote di De Benedetti.
L’affare Telecom Italia
Nel 1997, sempre Prodi, al governo, svende le azioni Telecom Italia al solito prezzo irrisorio (tanto che subito dopo il loro valore di mercato aumenta di 6 volte) incassando 22.800 miliardi di lire (la Telecom ne valeva enormemente di più). Con questo stesso denaro, poi, il governo di centro-sinistra riacquisterà Infostrada con la scusa che le infrastrutture delle telcomunicazioni devono appartenere allo Stato. Praticamente lo Stato ha dato via un gigante come Telecom, allo stesso prezzo, di un’azienda nana come Infostrada. Bello scambio!
Il presidente di Telecom era Guido Rossi, l’avvocato di De Benedetti (un pò il suo Previti).
Nel frattempo al governo arriva D’Alema, siamo nel 1999, e Roberto Colaninno, attraverso l’Olivetti di De Benedetti, dà la scalata a Telecom. Ancora una volta ci furono losche irregolarità per tenere il prezzo basso, ma la Consob (l’autorità che deve sorvegliare questi reati) era presieduta da Spaventa, amico di De Benedetti, per cui chiuse entrambi gli occhi sull’affare.
Colaninno, tramite una serie di società fantasma con sede alle isole Cayman (noto paradiso fiscale) arriva a controllare Telecom con appena lo 0,3% delle azioni.
Il Financial Times definì la scalata “una rapina in pieno giorno”.
Dalla Telecom fu svenduta la Seat-Pagine Gialle (che ne faceva parte) a una società chiamata “Otto” (del figlio di Armando Cossutta, quello dei Comunisti Italiani, che si vanta sempre di campare come un italiano medio) per 1955 miliardi e rivenduta, insieme a Colaninno, a 16.000 miliardi (8 volte tanto, a quanto pare si divertono a sfotterci: ecco perchè l’avevano chiamata Otto!).
Le società che avrebbero dovuto pagarci le tasse spariscono nei soliti paradisi fiscali alle Cayman.
Nel 2000, come di solito succede nelle migliori rapine quando i complici fanno a botte, Colaninno e De Benedetti litigano per il malloppo, e Colaninno viene massacrato da Repubblica, Espresso e gli altri 30 giornali di De Benedetti. Nel 2001, De Benedetti si allea a Marco Tronchetti Provera, il quale strappa il controllo di Telecom a Colaninno, acquistando la quota di controllo in Olivetti. Ma quando Tronchetti Provera arriva in sella alla Telecom si accorge di essere stato fregato: dalle casse mancano 25.000 miliardi.
Telecom Italia è ormai una società con debiti fino al collo, ormai è stata munta e ri-munta fino all’osso e gli stessi miliardi che comparivano nel bilancio sono in realtà aria fritta: l’unica possibilità si salvarsi è rivendere tutta la baracca allo Stato.
Ad aprile 2006, sale al governo Romano Prodi, il quale fa il solito accordo sottobanco con Tronchetti Provera (e il socio De Benedetti) per il RIACQUISTO della Telecom (come successe per Infostrada), ma stavolta qualcosa non va per il verso giusto.
I due squali alleati, De Benedetti e Tronchetti Provera, iniziano a litigare per chi deve avere la fetta più grossa, per cui, come al solito, Espresso e Repubblica cominciano a infangare Tronchetti Provera per mesi.
Prodi, ovviamente deve scegliere da che parte stare e sceglie il più rassicurante De Benedetti (non vuole fare la fine di tutti quelli che si mettono contro Repubblica ed Espresso!). A quel punto Tronchetti Provera pubblica il progetto segreto di Prodi sul riacquisto della Telecom e scoppia lo scandalo che indigna i giornali di mezzo mondo, anche se ben presto messo a tacere in Italia dai giornali di De Benedetti che fanno scoppiare lo scandalo delle intercettazioni telefoniche contro Tronchetti Provera.
Prodi a quel punto si salva agli occhi dell’opinione pubblica con la solita storiella del “non ne sapevo nulla”, la colpa è tutta del mio collaboratore Rovati (amico di Prodi da una vita, abitano persino nello stesso palazzo), cui seguono prontamente le dimissioni.
La stampa estera arriva a dire: ma che razza di paese è l’Italia? dopo una cosa del genere non solo Prodi non si dimette, ma non si apre neppure un’inchiesta giudiziaria?
Rovati, calmate le acque, ha già ripreso il posto accanto a Prodi.
L’affare Alitalia
A gennaio 2007, il Governo Prodi inizia la vendita di Alitalia. Tra i concorrenti c’è una cordata formata da De Benedetti (poteva mancare?) e la banca Goldman Sachs, protagonista cruciale di quasi tutte le privatizzazioni italiane. Prodi ha lavorato per anni per la Goldman Sachs, la quale lo ha sempre ricoperto d’oro per le sue preziosissime “consulenze” (e ci credo!). Alla Goldman hanno lavorato fino a pochi mesi fa praticamente tutti gli amici e collaboratori di Prodi: Mario Draghi (vicedirettore della Goldman Sachs, e Mario Monti Claudio Costamagna, presidente della Goldman Sachs, è quello che ha pagato tutta la campagna elettorale di Prodi alle elezioni 2006. In cambio a breve Prodi lo nominerà direttore generale del Tesoro.
Sempre per la Goldman Sachs, direttore Massimo Tononi,
ora sottosegretario al Governo Prodi. Non c’è che dire, siamo in buone mani ! Dato che tutto il vertice Goldman Sachs adesso è al Governo è fin troppo evidente come il piano segreto Prodi-Rovati di acquisto Telecom era in realtà un piano della Goldman Sachs.
Il copione è sempre lo stesso degli ultimi 25 anni e di tutte le altre privatizzazioni.
De Benedetti si aggiudicherà come sempre il bando (realizzato ad hoc per lui dai suoi amici che occupano tutti i vertici dello Stato e della Goldman Sachs) a un prezzo irrisorio, per poi rivendere il tutto subito a un gruppo straniero (probabilmente Air France) a un prezzo 10-20 volte più elevato.
Perchè il bando è truccato? Semplice: perchè pur svendendo il 30% delle azioni lo Stato si terrà delle azioni speciali, le Golden Share, con le quali eserciterà il controllo di Alitalia.
Ora, nessuna società o imprenditore può essere così folle da comprare un’azienda in piena crisi e per giunta senza averne poi il pieno controllo sulla gestione.
Nessuno, eccetto chi, da sempre tiene il Governo al guinzaglio. Subito dopo che De Benedetti metterà le mani sul patrimonio dell’Alitalia potranno succedere, come da copione collaudato, due cose:
1) o il governo Prodi si affretterà a togliere i vincoli in modo che De Benedetti potrà rivendere liberamente l’Alitalia al miglior offerente straniero realizzando immensi guadagni, oppure
2) se questa prima strada non è percorribile, lo Stato si offrirà prontamente di RICOMPRARE le azioni svendute, pagandole cifre astronomiche. E se qualche sprovveduto manager di Alitalia avesse qualcosa da ridire farà la fine del povero Lorenzo Necci (di cui sopra).
Conclusioni
L’Ing. Carlo De Benedetti, con la complicità di Romano Prodi, ha saccheggiato il denaro pubblico dello Stato italiano e ha regalato la ricchezza degli italiani, praticamente tutti i principali enti pubblici, a gruppi privati stranieri, causando danni incalcolabili agli italiani.
Ma nonostante queste colpe, controlla l’informazione stampata con più di 30, tra quotidiani, settimanali, giornali e riviste nazionali e locali (Repubblica, Espresso, gruppo Rizzoli RCS tanto per citarne alcuni), oltre ad essere alleato all’intera editoria di Sinistra.
Quando andare in edicola o in libreria, sappiate che l’85% di quello che vedete è edito da De Benedetti o dai suoi alleati di una vita.
Questo monopolio dell’informazione gli ha permesso (e gli permette tuttora) di distogliere l’attenzione sui suoi loschi affari e di concentrarla tutta sul suo rivale di sempre, Berlusconi.
Oggi, Repubblica e l’Espresso sono tra i giornali più letti, e gran parte dell’opinione pubblica italiana è convinta che Berlusconi sia la causa di tutti i mali d’Italia, mentre ignora del tutto o quasi, persino chi sia, Carlo De Benedetti.
A cura di Paolo Barnard.
Tratto da:
https://augustoanselmo.blogspot.com/2019/08/de-benedetti-e-romano-prodi-ovvero-come.html
Lascia un commento