Condividiamo un estratto del Manifesto contro la disoccupazione nell’Unione Europea, pubblicato nel settembre 1998, a firma di Franco Modigliani, Jean-Paul Fitoussi, Beniamino Moro, Dennis Snower, Robert Solow, Alfred Steinherr e Stefano Sylos Labini.
Ciò che impressiona dopo oltre 20 anni è che l’Unione Europea continui testardamente ad attuare le stesse politiche economiche sbagliate, addirittura sanzionando i paesi che non si adeguano.
Come dire: sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico.
Per quale ragione l’Unione Europea è guidata da economisti così incompetenti?
Non potendo credere che il governo europeo sia retto stabilmente da persone incompetenti, la risposta più probabile è che l’obiettivo reale dell’Unione Europea non sia la piena occupazione, quanto piuttosto la stabilità dei mercati finanziari, nell’interesse del famoso 1% dei ricchi ed a spese del 99% che sono tutti gli altri.
Politiche sbagliate che hanno creato disoccupazione
Siamo convinti che la disoccupazione europea sia dovuta in gran parte a errori di politica economica. Tali errori riguardano sia una cattiva
gestione della domanda aggregata, sia un approccio senza fantasia dal lato dell’offerta. Confidiamo che tali errori possano essere prontamente corretti e si ponga così fine all’incessante crescita di lungo periodo della disoccupazione europea.
Errori nella gestione della domanda
Le politiche di gestione della domanda aggregata sono diventate familiari tra gli economisti sin da quando Keynes le suggerì per fornire una
spiegazione della Grande Depressione e del ruolo rivestito in tale circostanza dalle banche centrali. Oggi, tuttavia, le politiche keynesiane
sono diventate quasi un tabù per i governatori di molte banche centrali e per molte autorità politiche europee, sebbene sia evidente che negli ultimi anni esse abbiano giocato un ruolo significativo nella spiegazione della crescente disoccupazione.
Una prima, importante prova di questa asserzione è fornita dall’osservazione, riportata precedentemente, secondo cui un tasso di
disoccupazione a due cifre esiste solo in Europa o, più precisamente, nei paesi che fanno parte dell’euro, dove le politiche keynesiane sono
state abbandonate. Infatti, anche i paesi europei al di fuori dell’euro registrano tassi di disoccupazione sensibilmente inferiori: ad esempio,
in Norvegia il tasso è pari al 4%, in Svizzera al 5,5% e nel Regno Unito al 5,6%.
Questa considerazione ha notevoli implicazioni. Essa suggerisce che per far luce sulla costellazione delle cause della disoccupazione
nell’UE è importante individuare i fattori che sono comuni alla maggior parte degli stati membri, ma che nel contempo non si riscontrano
nei paesi non appartenenti all’euro.
Dal lato della domanda, un’esperienza condivisa in questi ultimi anni dai paesi dell’euro, e in generale non vissuta dagli altri, è rappresentata da politiche della domanda aggregata particolarmente restrittive, siano esse fiscali o monetarie.
Questi paesi sono stati costretti a perseguirle per esigenze di convergenza, a seguito del loro comune intento di entrare a far parte dell’euro. La politica fiscale comune è dovuta ai parametri di Maastricht e si è rivelata essere molto restrittiva, tenuto conto della contemporanea
politica monetaria, altrettanto restrittiva, e dell’esistenza di una situazione di elevata disoccupazione, che a sua volta ha provocato
un’ulteriore contrazione delle entrate fiscali. Da ciò è derivato un rallentamento degli investimenti pubblici in infrastrutture, che sono
complementari agli investimenti privati.
Allo stesso modo, la politica monetaria è stata resa uniforme dal fatto che i tassi di cambio andavano mantenuti rigorosamente fissi, mentre era stato rimosso ogni vincolo al libero movimento dei capitali. In tali condizioni, i tassi d’interesse dovevano convergere in tutti i paesi candidati all’euro e non vi era spazio di manovra a disposizione delle banche centrali nazionali per perseguire una politica monetaria autonoma. La politica monetaria comune si è rivelata fin troppo restrittiva, soprattutto in considerazione dell’irrigidimento della politica fiscale, e ha provocato un periodo prolungato di tassi d’interesse reali eccessivamente elevati, che hanno scoraggiato l’investimento e gonfiato la disoccupazione.
La relazione tra disoccupazione e domanda di lavoro fornisce ulteriori elementi a sostegno della nostra tesi. Dall’inizio della crisi petrolifera nel 1973, il tasso di crescita della domanda è sceso notevolmente al di sotto di quello del prodotto potenziale, cioè della somma dei tassi di crescita della produttività e della forza lavoro. In effetti, la crescita della domanda di lavoro è stata più o meno pari a quella della
produttività. Pertanto, è stato possibile soddisfare la domanda senza un aumento apprezzabile dei posti di lavoro, mentre la crescita della
forza lavoro, pari a circa il 2%, è andata a ingrossare le fila dei disoccupati.
Il processo di riduzione dei posti di lavoro relativamente alla forza lavoro è confermato dall’informazione diretta sui posti di lavoro
potenziali, data dalla somma di occupati e posti di lavoro vacanti. Nella maggior parte dei paesi appartenenti all’UE la quota di posti offerti
annualmente sul totale della forza lavoro ha mostrato una tendenza alla riduzione.
Riteniamo che una ragione alla base del drastico declino della domanda di lavoro in Europa rispetto all’offerta disponibile, e del
conseguente aumento della disoccupazione, sia costituita dal calo degli investimenti relativamente alla produzione potenziale. All’interno di
questa relazione, è interessante osservare che la differenza tra la crescita della disoccupazione in Europa a partire dai primi anni ’70 (8,5%)
relativamente a quella registrata negli Stati Uniti (0%) è dipesa soprattutto dagli eventi succedutisi dopo il 1982.
Fino ad allora la perdita di posti di lavoro era aumentata rapidamente in entrambi i continenti, a seguito di una politica monetaria restrittiva (e della conseguente caduta degli investimenti) inevitabile per arrestare la spirale inflazionistica accesa dalle due crisi petrolifere. Ma successivamente al 1982 in Europa la caduta degli investimenti e la crescita della disoccupazione hanno continuato fino ad oggi, mentre negli Stati Uniti entrambe si sono mosse in direzione opposta, rapidamente e significativamente.
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