di Max Bonelli
Riflessioni durante il mio ultimo viaggio a Donetsk
Metà ottobre ed è una bella giornata di sole che batte su questa terra di confine anticamente denominata Novarussia. Terra contesa tra i cosacchi del Don (alleati a Mosca) e quelli della Zaparogia ucraini contrapposti al potere russo; anche nel diciottesimo secolo era la stessa storia, guerra senza fine e massacri a spese dei civili.
Siamo al posto di frontiera di Uspenka tra la Repubblica popolare di Donetsk(DPR) e la Russia. La lunga fila di macchine e camion che trasportano merci dalla Russia indugia con i loro autisti rassegnati ad ingannare il tempo fumando sigarette in successione.
I giovani soldati con l’AK 74 in mano, osservano annoiati la lunga fila; il controllo del mio passaporto per entrare nel territorio della Repubblica è una seccatura, porta via una mezzora in più rispetto alla media. Il loro sguardo è interrogativo: “un “italianets” che vuole entrare, per fare cosa?”
Certo la presenza della mia compagna di Donetsk che parla russo con accento locale semplifica la procedura e fornisce una plausibile spiegazione. Quando il nostro taxi riparte siamo tutti più sollevati, soprattutto il taxista, un uomo molto robusto come spesso sono i russi,quasi calvo, una pancia dovuta a qualche birra di troppo ma complessivamente in buona forma per la media locale, dove il misto alcool, fumo e qualche anno di lavoro in miniera invecchia precocemente le persone. Guida una macchina con due persone da Rostov a Donetsk.
Quattro ore di guida,quando va bene per poco più di 50 euro. Tolta la benzina e la percentuale all’agenzia se ne mette la metà puliti in tasca, qualcosa arrotonda con medicinali comprati a buon prezzo in Russia e portati per qualche conoscente, ma dubito che chiuderà la giornata con più di 30 euro di guadagno. Parla allegro con la mia compagna, hanno scoperto di vivere nello stesso quartiere, di essere andati alla stessa scuola.
Sono nati a metà degli anni settanta quando l’URSS garantiva buone scuole,parchi puliti assistenza sanitaria gratuita; “byli haroscije vremenà” -”si erano bei tempi”.
L’uomo è contento, oggi guadagna bene, buona compagnia che si può chiedere di più alla vita?
Li osservo nella loro allegria, allegria di chi ha superato indenne una guerra e sa gustare appieno anche i semplici raggi di un sole inusitatamente caldo in ottobre.
Guardo il paesaggio che scorre dal finestrino su una strada asfaltata perfettamente e cerco istintivamente i segni di una guerra che proprio ai lati di questa arteria era feroce in quell’ottobre del 2014. Ma vedo solo i segni di una vita semplice e laboriosa; anche qui campi arati di fresco oppure stoppie del mais appena raccolto,case nuove o parzialmente ricostruite per cancellare i segni dei colpi della mitraglia e del mortaio. L’unico segno tangibile degli scontri è una distesa di croci diverse per la forma a distinguere gli ortodossi (prevalenti ad est dell’Ucraina) dai cattolici(di rito ortodosso che riconoscono il Papa) dell’ovest dell’Ucraina. La distesa sarà lunga un chilometro e larga due-trecento metri, fiori sulle tombe in questa giornata di sole portati da qualche “mamocka” che piange un figlio che non c’e’ più, morto in una guerra fratricida senza senso pagata e voluta da un potere che vive distante oltre un oceano, così distante dal Donbass da sembrare a chi vive qui essere di un altro pianeta.
Sanno solo che gli americani non sono tanto diversi dai tedeschi della seconda guerra mondiale; vogliono le loro terre e spezzettare l’unità dei popoli di tutte le Russie. Come i tedeschi hanno aizzato gli ucraini dell’ovest in un odio forsennato contro il mondo russo.
I loro fratelli ucraini sono caduti in questa trappola e sparano loro addosso.
Lì, dall’altra parte, separati da trincee e dai campi minati c’è un nemico che parla spesso russo, la lingua prevalente nell’esercito ucraino. Sono solo i battaglioni galiziani che parlano in prevalenza ucraino.
La sera a Donetsk, arrivati nell’appartamento di Anna, in televisione sul canale Novarussia (uno dei quattro canali televisivi della Repubblica) viene trasmessa la storia di un combattente dall’apparente età di cinquanta anni, elmetto calcato sui capelli bianchi, il passo lento tra i sacchetti di sabbia che sono la sua casa. Intervistato sulla sua vita in trincea mostra le foto in bianco e nero di due ragazzini, biondi magri. Parla con le lacrime agli occhi.
Penso che siano i suoi figli e chiedo conferma ad Anna: “sono i figli?”
Il suo bel volto si fa di ghiaccio, gli occhi celesti si stringono in una fessura da cui brilla un luccichio.
“Parla di suo fratello, sono le foto di quando erano bambini e giocavano insieme; ora il fratello combatte con gli Ucraini dall’altra parte del fronte”.
Le sue labbra traducono meccanicamente dal russo all’italiano: “dopo la strage di Odessa si telefonarono, il fratello pro ucraina gli disse: “kazapi” “caproni” vi veniamo a prendere”.
Lui gli rispose: “non venire, la tua vita finisce a Donetsk”; da allora non si sono più sentiti.Sotto, la trasmissione passa in cirillico il bollettino di guerra della giornata
12 colpi di mortaio sparati su Gorlovka, 4 sull’ex aeroporto e via di seguito con altre località delle quali già non ricordo il nome. Poi la televisione trasmette il resoconto di una gara di rally alla presenza anche del presidente della Repubblica Denis Pushilin, quello che ha preso il posto dell’eroico Zakarchenko, morto in un attentato fatto al centro di Donetsk.
L’esplosione che gli ha tolto la vita è avvenuta ormai più di un anno fa, nel centro di Donetsk, in un ristorante vicino a piazza Lenin.
La lampadina di un anticamera di un ristorante nascondeva una videocamera collegata via internet ad agenti dei servizi ucraini; qualche decina di grammi di plastico ed appena il video ha trasmesso l’immagine dell’ingresso di “Zaka” l’invio del segnale per l’esplosione.
Nulla da fare per lui e la sua guardia del corpo; i frutti dell’addestramento made in CIA s’incominciano a raccogliere
possono abbattere un simbolo ma non la forza di questa gente che lavora per 120 euro al mese e che vuole vedere la bandiera russa sventolare sulla centrale piazza Lenin.
Durante il passeggio domenicale non mancano i fiori per questo martire di Donetsk.
La mattina sono appena le quattro quando vengo svegliato dal freddo; i riscaldamenti non sono accesi ma la temperatura cala in fretta nella steppa. Sento due tuoni molto lontanti; la mattina dopo il bollettino riporta due colpi di mortaio pesante da 120mm su Marika. Siamo lontani 15-20 km ma il vento soffia da lì ed ha portato il rombo, il triste annuncio. Quando andiamo a fare la spesa al mercato rionale pieno di gente e di ogni prodotto nessuno ne parla dei due tuoni nella notte, tutti sono occupati nella spesa del giorno.
Questa è la guerra e pace in Donbass.
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