Alle 2 di notte:
«Pronto, Mattei. Ciao, sono Giorgio La Pira».
«Dimmi, La Pira»
rispose infastidito per l’orario Mattei.
«Senti, ti devo chiedere un favore: qui, a Firenze, sta chiudendo il Pignone. Tante famiglie rischiano di finire in mezzo ad una strada. Per Firenze sarebbe una tragedia. Devi rilevarla tu, quest’azienda».
«La Pira, mi spiace, ma noi dell’ENI ci occupiamo di petrolio. Il Pignone è nel settore tessile, che ce ne faremmo noi? Sei un caro amico, ma non posso».
«Mi è apparso in sogno lo Spirito Santo e mi ha detto che l’ENI deve comprare il Pignone e salvare la fabbrica».
«Sono un petroliere e compro solo pozzi di petrolio».
«Tu sei un petroliere, ma quello è lo Spirito Santo e ne sa più di te…».
«E vi sarete capiti male!».
La telefonata si chiuse così.
La mattina dopo Mattei ordinò di fare una proposta per acquistare il Pignone. E così fu.
L’ENI acquistò il Pignone, salvò tante famiglie, l’economia di Firenze e il Nuovo Pignone diventò un’eccellenza nel settore dell’impiantistica a livello internazionale.
Altri politici, che difendevano i diritti del popolo.
Altri imprenditori, che sapevano investire.
Oggi abbiamo Giuseppe Conte, che agli operai dell’ILVA di Taranto dice “Non ho la soluzione in tasca”.
Questo mentre gli altri leader politici neppure loro hanno idea di cosa fare.
Cosa è cambiato dal 1953 ad oggi?
Almeno 3 cose molto importanti:
1) Allora avevamo una classe politica che era al servizio della gente e che sapeva trovare le soluzioni per farlo.
2) Allora avevamo la sovranità monetaria (ovvero una banca centrale al servizio del governo e non “indipendente” come la BCE) e non dovevamo sottostare ai vincoli di biancio calcolati dagli “esperti” della Commissione Europea.
3) Anche oggi esistono in Italia persone oneste e capaci di risolvere i problemi degli italiani, ma il sistema di potere attuale, fondato sulla finanza e sul controllo dei mezzi di informazione, le tiene sistematicamente in disparte, favorendo invece l’ascesa al potere di persone incapaci.
Se qualcuno fosse interessato a conoscere la soluzione al problema dell’ILVA di Taranto, dopo avere letto questo articolo, si informi su come sarebbe possibile disporre nel bilancio del governo di 100 miliardi l’anno in più, da investire in politiche per la piena occupazione nel Paese.
di Roberto Di Ferdinando
Nel 1951 Giorgio La Pira accettò di candidarsi a sindaco di Firenze, anche in virtù dell’impegno del governo De Gasperi di sostenere politicamente e finanziariamente la realizzazione del piano di sviluppo della città.
Vinta la sfida con il sindaco uscente del PCI, Fabiani, La Pira vide però tardare il sostegno promesso, tanto da dover in prima persona affrontare i gravi problemi della ricostruzione di Firenze (alta disoccupazione, sfratti, diffusa miseria, carenza di abitazioni e grandi opere e difficoltà nell’approvigionamento idrico), attuando un programma amministrativo che, ispirato da una profonda fede religiosa, vedeva il Comune svolgere un ruolo più concreto nella vita sociale ed economica della città, più attento alle necessità dei ceti più poveri: “Occupare i disoccupati, – scriveva La Pira ad Attilio Piccioni nel 1953 – edilizia popolare, case minime, fermare la traumatica folla degli sfratti. Caro Piccioni, mettiti dal punto di vista di Dio, cosa attende da te? Questo, l’immediato soccorso ai figli più poveri e più disgraziati… le istituzioni democratiche si rinsaldano e la pace si risalda se si rinsaldano le radici.”
Ma questa visione ‘paternalistica’ dell’amministrazione locale non incontrava molti consensi negli ambienti politici nazionali. In particolare si criticava al sindaco La Pira il suo ricorrere, sulla base di una normativa del 1865, alla continua requisizione degli immobili inutilizzati in Firenze per far fronte alla carenza di abitazioni. Ricorda Andreotti in una recente intervista: “Queste decisioni, prese da un altro, avrebbero provocato interventi prefettizi e giudiziari. Con il Sindaco La Pira ci si limitava a sospirare e a capire che bisognava dare maggiore impulso alle case popolari e a non demonizzare l’idea del blocco dei fitti”.
Questo spirito di cristiana assistenza ai più deboli ispirerà La Pira anche nella vicenda della crisi del Pignone nel 1953.
La Pignone, punto di forza della meccanica fiorentina, era stata infatti acquistata nel 1946 dalla Snia Viscosa, leader nazionale nella realizzazione di fibre naturali e sintetiche, che l’aveva convertita da fabbrica di turbine in produttrice di telai tessili.
Nell’autunno del 1953 l’amministratore della Snia, Franco Mariotti, denunciando la concorrenza di macchinari e prodotti americani, presenti sul mercato italiano grazie al Piano Marshall, la stretta creditizia effettuata dalle banche ed il mancato arrivo di commissioni statali, quali concause alla impossibilità di investire nell’azienda, decise di licenziare i 1.750 lavoratori del Pignone(1) .
Le maestranze risposero con l’occupazione della fabbrica.
La Pira si schierò dalla parte degli operai e contro il licenziamento quale ‘scomunica sociale’. Il 19 novembre 1953, il Consiglio Comunale solidarizzò ufficialmente con l’azione di difesa dell’azienda e costituì un fondo di solidarietà per i lavoratori; non solo, La Pira per far sentire ai lavoratori il sostegno della Chiesa fece autorizzare dal Vescovo la celebrazione della messa domenicale nella Pignone occupata. Contemporaneamente il sindaco si attivò presso alle istituzioni nazionali perché si trovasse un alternativa ai licenziamenti. Il licenziamento delle maestranze della Pignone, più o meno contemporaneo alla crisi di altre aziende cittadine (Manetti & Roberts, Officina del Gas, Fonderia delle Cure, Galileo, Richard Ginori), per La Pira infatti avrebbe innescato gravi conseguenze sul piano sociale ed economico, sottolinenado che la vicenda non era esclusivamente sindacale e locale, ma il sintomo di una situazione malata che coinvolgeva tutto il paese.
Per questo La Pira si rivolse al mondo politico e cattolico (scrisse al Presidente del Consiglio, Pella, a Gronchi, Moro, ai parlamentari democristiani e quindi ai Vescovi italiani ed allo stesso Pontefice, Pio XII): “Qui c’è da salvare qualcosa di più saldo: la fiducia nella democrazia: fiducia non affidata solo alle leggi elettorali, quanto alla reale capacità di risolvere i veri problemi degli uomini: lavoro e casa”; ed ancora: ”a Firenze la situazione è critica e può dar luogo alle più impensate e gravi esplosioni. Mentre all’imprenditore Mariotti ricordava: “atti come quelli della Snia, chiudendo la Pignone meritano il premio e l’onore della Stella Rossa, sono i veri atti rivoluzionari che accellerano l’avanzata del comunismo nel nostro paese.”
Il forte richiamo di La Pira alle istituzioni politiche perché intervenissero a scongiurare i licenziamenti gli mossero, dalle pagine di numerosi quotidiani nazionali, le critiche dei fautori dell’assoluta inviolabilità dell’iniziativa economica privata. Famoso fu infatti nei mesi successivi il dibattito tra La Pira e Don Sturzo; quest’ultimo che non vedeva alternative possibili al capitalismo accusò il sindaco di comunismo-statalista.
In questo clima La Pira non si perdette d’animo e si rivolse con risolutezza al Ministro degli Interni, l’amico Fanfani (2), perché trovasse una soluzione che garantisse il rinserimento di tutti i lavoratori. Fanfani ebbe l’intunzione di coinvolgere la neonata ENI di Enrico Mattei. La Pignone infatti avrebbe permesso all’ENI di rendersi capace di produrre per proprio conto le turbine necessarie all’estrazione del petrolio e Mattei, accettando, sarebbe riuscito a legarsi alla DC, legame indispensabile per le sue attività imprenditoriali. Fanfani, Mattei e lo stesso La Pira infine avevano in comune la visione positiva dell’impresa pubblica quale strumento di sviluppo economico e sociale e di superamento dei limiti della concentrazione capitalistica (3).
La trattiva non fu però facile e non mancarono i contrastri tra Fanfani e La Pira; i due infatti avevano temperamenti diversi, con visioni differenti della vita e della società.
Fanfani era ministro di un governo di destra, vicino al mondo industriale, e con difficoltà riusciva a comprendere il La Pira-sindaco democristiano che si univa agli operai nell’occupazione di una fabbrica.
Dall’altra parte invece La Pira era incapace di compromessi ed era convinto che l’unica strada possibile fosse quella di affidarsi a Dio e alla Provvidenza.
Significativo di ciò è il loro carteggio durante le fasi del negoziato con l’ENI. Fanfani invitò infatti La Pira a sospendere ogni manifestazione verbale e di “fare il sindaco secondo le norme che io debbo far rispettare da tutti i sindaci d’Italia”. La Pira rispose: “io non sono un sindaco, come non sono stato un deputato o un sottosegretario, […], ma sono per la grazia del Signore un testimone dell’Evangelo, […] figurati se io posso rinunciare alla verità e alla giustizia per servire alla lettera la legge, e poi: quale legge?”
Il 27 dicembre 1953 l’AGIP, controllata dall’ENI, costituì insieme alla Snia una nuova società, la Nuova Pignone, e furono riassunti 900 lavoratori; la linea lapiriana dell’occupazione totale non passò, vinse invece quella possibile di Fanfani.
Negli anni seguenti l’ENI di Mattei avrebbe tratto nuovamente vantaggi dall’azione lapiriana. La Pira infatti attraverso i convegni del Mediterraneo, riuscì a gettare tra l’Italia ed i paesi decolonizzati dell’Africa e dell’Asia un ponte di dialogo e di solidarietà, utilizzato dall’abilità di Mattei e Fanfani anche a fini economici, riuscendo a stipulare importanti accordi per lo sfruttamento delle risorse energetiche di quei continenti.
RDF
(1) Si ritiene invece che dietro i licenziamenti ci fosse un’intesa tra la Snia ed i concorrenti americani, quest’ultimi infatti, in cambio della non interferenza del Pignone nel settore della produzione delle turbine, non sarebbero intervenuti nei mercati argentini e brasiliane delle fibre. Cfr. La Civiltà Cattolica, quaderno 3691 del 3 aprile 2004.
(2) La Pira era stato sottosegretario di Fanfani, al Ministero del Lavoro, nel 1948 occupandosi già allora del dolente tema della disoccupazione.
(3) Si racconta che La Pira, per sbloccare la trattativa, scrisse a Mattei dicendogli: “Caro Enrico voglio che tu compri la Pignone” e per superare le sue esitazioni aggiunse, “Caro Enrico non puoi dirmi di no perché me l’ha suggerito lo Spirito Santo”.
Tratto da:
http://curiositadifirenze.blogspot.com/2011/07/la-pira-e-la-questione-della-pignone.html
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