di Marzia Rosti
Il 24 marzo è una data importante e densa di significato per l’Argentina. In quel giorno infatti – nel 1976 – prese il potere una Junta militare che, attraverso un sistematico piano repressivo di ogni forma di opposizione, determinò la sparizione di circa 30.000 persone.
Durante gli anni del regime, in quel giorno, si svolgevano le parate militari dei tre corpi delle Forze Armate, per celebrare il ristabilimento dell’ordine e della lotta alla sovversione, mentre, dalla seconda metà degli anni ‘80, del 24 marzo è stata proposta una visione antagonista e una lettura diversa da parte delle organizzazioni dei parenti delle vittime, cioè l’inizio del terrorismo di Stato.
Per quasi un decennio, una fascia della popolazione vide quotidianamente minacciato il proprio diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla libertà d’espressione e di associazione da parte dello Stato, di quell’istituzione cioè che avrebbe dovuto tutelare quei diritti.
Che fine fecero le leggi della Junta militare.
La Junta era composta dai comandanti delle tre Armi: Videla per l’Esercito, Massera per la Marina e Agosti per l’Aeronautica.
Nel 2005, infatti, la Corte Suprema de Justicia de la Nación ha dichiarato la nullità delle leggi di amnistia per i crimini commessi dai militari durante la dittatura, in quanto incostituzionali, confermando così l’annullamento delle stesse leggi deciso dal Congreso de la Nación nel 2003 e avallando la recente giurisprudenza, inaugurata nel 2001 dal giudice federale Cavallo, che per la prima volta le dichiarò invalide, incostituzionali e viziate di “nulidad insanable“.
L’Argentina dunque ha scelto di non perdonare e di non ricorrere alle Commissioni per la ricostruzione della verità oppure a tribunali penali internazionali, com’è accaduto ad esempio per il vicino Cile o per i più lontani e noti Sudafrica ed ex-Jugoslavia. Si tratta senza dubbio di una scelta difficile e coraggiosa ma che, oltre ad appagare il desiderio di giustizia della popolazione argentina, rifiutando ogni politica del perdono e di riconciliazione nazionale, dimostra come la memoria della dittatura, le cui pratiche sociali si sono delineate in quella società sin dai primi anni del regime, sia ancora forte e radicata nella società odierna, a più di venticinque anni dalla fine della dittatura.
Va sottolineato che per la sua origine sociale la memoria non è una sola, ma spesso accanto alla memoria che ricorda un passato istituzionalizzato e visibile ve ne è una nascosta, negata, censurata e rimossa.
La memoria può anche essere contesa, quando nel ricordare un passato scomodo si generano conflitti e negoziazioni, oppure può essere ostinata, quando il non detto, il non ricordato, il mai rappresentato rimangono latenti, mantenendo vivo il passato e riaffiorano al momento opportuno per un loro riconosci- mento futuro.
In questo contesto è da sottolineare come le donne argentine abbiano svolto – e svolgano ancora oggi – un ruolo predominante, sia nella mobilitazione contro il regime, sia nell’elaborazione della memoria che da individuale, trovando la conferma e il sostegno nel gruppo, generò quella collettiva.
Erano infatti mogli, madri, sorelle, zie e nonne di quei giovani spariti nel nulla, spesso di umile estrazione sociale e prive di una specifica sensibilità politica, ma più libere rispetto agli uomini dagli obblighi del lavoro, oltre a godere all’inizio di una certa invisibilità politica che garantiva loro l’incolumità.
È nota l’associazione delle Madres de la Plaza de Mayo, la cui origine risale al 30 aprile 1977, quando un gruppo di quattordici donne, conosciutesi nelle sale d’attesa dei commissariati, delle parrocchie e degli uffici di rappresentanza in cerca d’informazioni sui propri figli ‘spariti’, decise di marciare in forma di protesta contro l’indifferenza e l’inattività delle istituzioni proprio nel cosiddetto ‘spazio del potere per antonomasia’, nel luogo simbolo delle istituzioni militari, cioè nella Plaza de Mayo di Buenos Aires, ove nella Casa Rosada risiedeva (e risiede anche oggi) il governo.
Il regime in un primo tempo le ignorò, definendole persino las locas (le pazze) e concedendo loro uno spazio che sino a quel momento non era stato concesso ad altri soggetti politicamente organizzati. Dal 1978, anno dei Mondiali di calcio in Argentina, le Madres iniziarono però a costituire un problema…per la dittatura si trattava infatti di un’occasione molto importante, perché con quell’avvenimento si voleva dare l’immagine di un paese unito ed efficiente.
E in effetti fu così, mentre il giovedì 1° giugno si celebrava l’inaugurazione dei Mondiali trasmessa da tutte le televisioni del mondo, l’emittente olandese scelse di andare in Plaza de Mayo, per filmare la marcia delle Madres che urlavano che, mentre la gente guardava i gol, nei campi di concentramento stavano torturando i loro figli (Padoan: 2005, 160).
Quelle immagini fecero il giro del mondo e quell’evento così minuziosamente preparato dal regime servì esattamente al contrario: l’Argentina vinse comunque i Mondiali e seconda giunse l’Olanda, ma i suoi giocatori si rifiutarono di andare a ritirare il premio.
Filo conduttore di tutte le associazioni è la ricostruzione e la trasmissione della memoria del proprio vissuto e di quello dei propri cari scomparsi, dei quali si continuano a cercare le tracce: le madri cercano quelle dei figli, le nonne quelle dei nipoti e i figli quelle dei genitori. In questo caso la memoria della generazione adulta, che conserva eventi del passato recente e che per i giovani d’oggi, in generale, costituisce una parte della storia o comunque di un periodo del vissuto lontano dalla loro esperienza di vita, nella società argentina e, soprattutto per i giovani argentini, si rivela utile e fondamentale, fertile d’informazioni e di particolari, per ricostruire la vita dei propri cari scomparsi.
Punto di contatto è una generazione che in parte non c’è più, ‘mancata o invisibile’ come spesso è stata definita, i cui membri avrebbero potuto contribuire allo sviluppo della società argentina odierna grazie alle loro specifiche individualità.
lo scrittore ebreo Feinmann – citato da Di Cori (2000: 105) – nel commentare l’anniversario della liberazione dei prigionieri di Auschwitz da parte dei sovietici, scriveva :
Siamo argentini e abbiamo la nostra Auschwitz. Il numero delle vittime è stato inferiore, ma l’orrore non è stato da meno. La nostra Auschwitz è la ESMA (Escuela de Mecanica de la Armada).
….e a proposito di ESMA:
Il 24 marzo del 2004 il presidente Néstor Kirchner ed il sindaco di Buenos Aires Aníbal Ibarra firmarono un accordo per rendere l’ESMA un museo per la memoria dei crimini della dittatura, la promozione e la difesa dei diritti umani.
L’inaugurazione fu accompagnata dal discorso di uno dei tanti figli di desaparecidos nati all’ESMA, Emiliano Hueravillo:
“Mi chiamo Emiliano Hueravillo, sono nato qui alla ESMA. Qui mia madre, Mirta Mónica Alonso, mi diede alla luce. Come lei, in tutti i centri di detenzione della zona sud di Buenos Aires, centinaia di coraggiose donne diedero alla luce i loro bambini in mezzo ai medici torturatori. A Tutti i nostri fratelli e sorelle che sono nati qui, e che non sono ancora ritornati alla propria famiglia come ho potuto fare io: voglio che sappiano che li stiamo cercando, li stiamo aspettando, vogliamo raccontargli che le loro madri li amavano, che i loro padri li amavano, e che appartennero alla parte migliore di una generazione che si mise in gioco completamente per consegnarci un paese migliore”.
Stralci da: “La forza della memoria nel caso dei desaparecidos argentini” di Marzia Rosti
Lascia un commento