di Fabio Torriero
Il pensiero unico inventa sempre dei termini negativi per banalizzare, macchiettizzare, demonizzare, chi si oppone ai suoi schemi, ai suoi comandamenti. Chi si batte per le identità storiche, culturali e religiose dei popoli è un fascista, chi si batte per il primato degli italiani è un razzista; chi sta dalla parte del popolo è un populista e un qualunquista; chi crede nella famiglia naturale è un omofobo. E negli ultimi mesi, chi obietta, chi contesta il “regime Covid”, la gestione politico-sanitaria del virus, è un negazionista e da qualche giorno, chi scende in piazza contro il coprifuoco, è un teppista, un camorrista (guardate che la camorra vuole il lockdown, così presta i soldi a strozzo).
Oggi, infatti, tutti i giornaloni e le trasmissioni tv, metteranno in evidenza non la disperazione delle categorie massacrate dall’ultimo Dpcm di Conte, un provvedimento sbagliato nella forma e nella sostanza (un mix di elementi politici, sanitari e psicologici, come mettere il mare in un calice, laddove il mare è il contagio e il calice è l’insipienza, l’incompetenza e la cecità di un governo, in grande difficoltà, anche per le note perturbazioni interne, dai grillini a Italia Viva); ma evidenzieranno solo la violenza e l’illegalità.
La violenza, va ricordato e ribadito, viene prima dall’alto. Dal Palazzo. Gli effetti del Dpcm sono stati devastanti: hanno avuto il merito di moltiplicare la paura, dando l’impressione a tutti di non riuscire a contenere, controllare, la nuova ondata pandemica, di non sapere che pesci pigliare, e hanno generato la rabbia sociale, per le evidenti sperequazioni e disparità di trattamento circa le chiusure.
E mentre nelle piazze, da Roma a Milano, da Napoli a Torino, monta la protesta, la risposta dei cittadini che hanno rotto il patto con Conte, e che preferiscono morire di Covid piuttosto che di fame, il governo pensa ai “ristori” (ma non si chiamavano ammortizzatori sociali?); stessa radice di ristorante, paradosso lessicale per aziende che moriranno quotidianamente alle 18,00.
Se si è tornati alla didattica a distanza nelle scuole, se le categorie vessate sono la cultura, i ristoranti, i cinema, i teatri, i musei, le palestre, gli ambulanti, le partite Iva, a monte, va detto, c’è una scelta ideologica. E non la chiamino decisione relativa agli spostamenti, ai rischi di contagio (e gli autobus?). Stessa decisione ideologica che mette in agenda una discussione parlamentare, in questo momento marginale e relativa, come la legge sulla trans-omofobia.
E a proposito di violenza, abbiamo già ricordato in precedenza, il doppiopesismo della classe giornalistica, degli intellettuali e politici liberal e radical, pronti ieri a giustificare per disagio sociale le violenze, le occupazioni abusive degli immigrati clandestini, e negli anni Settanta, la rivoluzione del proletariato, la giustizia proletaria, la lotta di classe, gli espropri proletari; pronti a condannare ogni atto delle Forze dell’Ordine, ritenendole guardie del sistema borghese (ultimo tratto di questa etichetta, il G8 di Genova, visto come la prova di un’involuzione cilena della Polizia), e oggi pronti a esecrare, indignarsi per le manifestazioni anche cruente, che hanno una radice comune col passato: fame, povertà, disperazione.
La nuova lotta di classe al tempo del Coronavirus è tra garantiti e non garantiti, una guerra civile nazionale che ormai è nei fatti; e una guerra psicologica tra sostenitori di una libertà pericolosa e militanti della mascherina, che alla libertà, preferiscono una sicurezza (si legga schiavitù) garantita.
Nessuno ovviamente giustifica la violenza, ma in certi momenti della storia, rischia di diventare l’unico modo per reagire, visto che il voto sta diventando sempre più una chimera. I Gilet gialli francesi insegnano.
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