di Egidio Lapenta
17.01.2021
Il recente film di Sydney Sibilia, “La fantastica storia dell’Isola delle Rose, ha fatto riemergere la storia della repubblica dell’Isola delle Rose.
Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose era il nome ufficiale di questo microstato nato su una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati, nel mar Adriatico, fuori dalle acque territoriali italiane, al largo di Rimini.
Partorita da una idea dell’ingegner Giorgio Rosa, questa repubblica aveva una propria lingua, l’esperanto, proprie istituzioni, monete e francobolli, ma non ricevette il riconoscimento di alcun paese del mondo, terminando la sua esistenza(iniziata il 1 maggio 1968) nel febbraio del 1969, sotto i colpi degli incursori dell’esercito italiano, che demolirono la piattaforma.
Più che microstato fu una micronazione esperantista, simile a quella del Meresmet, nata nel 1815, dopo il congresso di Vienna, e cancellata nel 1919, con gli accordi successivi alla Prima guerra mondiale.
Anche il Meresmet, esteso 3,5 km quadrati, adottò l’esperanto, nella seconda metà del XIX secolo e si dotò di un proprio servizio postale, mantenendo però le valute dei paesi confinanti, in primis quelle di Belgio e Olanda.
La moneta della repubblica delle Rose era il Mill (plurale Mills), in esperanto Milo (plurale Miloj) e era cambiato alla pari con la lira italiana: 1 mill= 1 lira. Per spedire una cartolina dalla piattaforma era necessaria un’affrancatura da 30 mills (30 lire).
I francobolli furono stampati, mentre le monete non furono battute, quindi non ci sono tracce dei mills.
Curioso l’uso del termine mill, che ricorda il sottomultiplo della sterlina circolante in Palestina durante il mandato britannico (1918-1948).
Perché fu scelto questo nome non è dato saperlo, chi sapeva ormai è defunto: l’ingegner Rosa è morto nel 2017.
L’idea era quella di fare della piattaforma-microstato un punto di attrazione turistica, dove vendere merci e prodotti a prezzi vantaggiosi, creando lavoro e un insediamento umano. Non ci fu il tempo, perché a febbraio del 1969 la piattaforma-microstato fu fatta inabissare dagli incursori italiani.
Però il concetto che esprimeva non è morto ed è vivo oggi, in un’ epoca di web economy.
Abbiamo detto che l’Isola delle Rose fu soprattutto una micronazione e non fu l’unica. Nel mondo esistono parecchie micronazioni, nate per motivi diversi, ludici, artistici, sociali, economici, fraudolenti o per anomalie storiche. Fra queste ultime ricordiamo Lundy, Sealand e, in Italia, Seborga.
Lo stato italiano esercita la propria giurisdizione su Seborga,anche se il principato emette moneta, carte di identità, passaporti e altro, pur senza alcun valore legale. Molti pensano che sia una trovata per fare soldi. Sicuramente è così, però la moneta, pur non avendo valore legale, è utilizzata come buono spendibile nei negozi del luogo.
Il luigino, questo è il suo nome, è quotato sei dollari americani, attualmente circa cinque euro. Il nome della valuta non è casuale, ma si rifà al luigino di Seborga, coniato fra il 1667 e il 1671 insieme ad altri omonimi battuti da feudi e principati del nord Italia e coinvolti nel cosiddetto scandalo dei luigini.
I luigini di Dombes (prima emissione 1641) erano monete francesi d’argento da cinque soldi, che, per la bontà del titolo, ebbero molto successo nell’impero ottomano. Infatti non venivano usati solo per gli scambi, ma anche tesaurizzati e trasformati in gioielli, portati,in segno di prestigio, dalle donne dei ricchi ottomani.
Ciò indusse mercanti senza scrupoli, soprattutto francesi e genovesi, ad approfittare dell’occasione per immettere nel circuito economico della Sublime Porta luigini adulterati. Talmente scadenti da comprometterne la stabilità.
Ciò avvenne grazie alla complicità dei signori di quei feudi che avevano il diritto di battere moneta e non subivano le ingerenze della repubblica di Genova, della Francia o di altre potenze dell’epoca.
Fu coinvolto un certo numero di feudi liguri- piemontesi: Arquata Scrivia, Tassarolo, Campi, Loano, Ronco, Masserano, Seborga. In Lunigiana un centro di emissione importante fu Fosdinovo.
L’attuale luigino di Seborga, a parte il valore turistico e collezionistico, dà una spinta alle attività economiche locali. I buoni, spesi necessariamente in loco, permettono la permanenza di una parte del contante e la sopravvivenza delle piccole e medie imprese dell’area. La forte presenza di catene di supermercati, alberghi e aree di servizio favorisce al contrario il flusso di denaro verso i centri di accumulo delle grandi compagnie, lasciando spesso nei territori dove esso viene speso soltanto le briciole.
Le grandi catene di distribuzione commerciale sicuramente garantiscono posti di lavoro ed entrate alle esauste finanze municipali, ma non favoriscono certo la concentrazione di grossi capitali locali. I luigini sono certamente un incentivo all’economia della zona. Addirittura si potrebbero inserire nel circuito delle monete alternative.
La moneta alternativa a quella ufficiale si pone fuori dalle logiche dei circuiti monetari vigenti legalmente in determinati territori e serve per lo scambio solidale e mutuale dei beni. Secondo le finalità poi si parla di monete alternative, complementari o locali.
Gli scopi sono simili, stimolare gli appartenenti ad un determinato circuito territoriale ed economico ad investire nelle attività produttive connesse ad esso,incoraggiando lo scambio e la cooperazione piuttosto che l’accumulo di capitale. Ciò può riguardare un territorio all’interno di uno stato o una rete sociale all’interno di una comunità.
Scopo ultimo il benessere diffuso ma non squilibrato e una maggiore armonia sociale. Utopico? Forse no.
Un esempio di valuta alternativa è l’Ora di Ithaca, città della contea di Tompkins, nello stato di New York. Dal 1991 sono state emesse Ore per un valore di 191.000 dollari. Un’Ora equivale a 10 dollari, che è la media di quanto guadagna all’ora un lavoratore della contea di Tompkins. La motivazione alla base di queste emissioni è che i dollari federali entrano nelle città, stringono alcune mani e poi si allontanano, finanziando grandi imprese e guerre, ma rendendo i cittadini dipendenti dalle multinazionali. L’Ora invece rimane ad Ithaca, rinforza i suoi commerci, dà un contributo alla giustizia sociale e all’economia.
Mentre quelle ufficiali sono valute a corso forzoso, garantite da niente, l’Ora è sostenuta dal tempo, dalle abilità e dal lavoro della gente reale.
In Italia qualcosa di simile si è realizzato in Sardegna con il Sardex. Pensandoci bene forse questo esperimento si potrebbe avviare anche nella nostra città, dove la grande distribuzione sembra aver egemonizzato il territorio, soffocando in qualche modo l’impresa locale. Una moneta parallela potrebbe forse anche ufficializzare quei lavori o “lavoretti”che rasentano il”nero”,contribuendo pure al miglioramento delle finanze locali. Un tale esperimento dovrebbe essere attuato da un’alleanza fra uffici pubblici ed associazioni locali, per garantirne la validità, impedendo che i buoni emessi si trasformino in biglietti del Monopoli o, peggio, in carta straccia. Si potrebbe partire da un’area ristretta, un quartiere, ad esempio, coinvolgendo successivamente tutto il comune. E‘ un’idea che va studiata con attenzione, perché non si tratterebbe di stampare un po’ di “buoni sconto”, ma strumenti utilizzabili sia nei rapporti fra privati sia fra questi ed enti pubblici (il pagamento di tributi e servizi, ad esempio).
Tratto da:
https://www.cittafutura.al.it/sito/l-isola-delle-rose/
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