di Ezio Roletto
Per spiegare come vengono prodotte le leggi e le teorie scientifiche, si sostiene abitualmente che i ricercatori applicano, un metodo che permette di arrivare a conclusioni inconfutabili attraverso le osservazioni sperimentali, perché le verità della scienza per essere oggettive e indiscutibili devono essere acquisite in maniera rigorosa.
Ciò sarebbe possibile per mezzo del metodo scientifico introdotto da Galileo Galilei che comprenderebbe cinque tappe:
- l’osservazione e la raccolta dei dati
- La formulazione di un’ipotesi che potrebbe spiegare l’andamento del fenomeno.
Queste due tappe costituirebbero la fase induttiva del procedimento.
- La progettazione e l’esecuzione dell’esperimento al fine di verificare se l’ipotesi è adeguata alla realtà.
- L’interpretazione dei risultati.
- La conferma o la smentita dell’ipotesi di partenza. In caso di conferma, verrà costruita una teoria di validità generale.
Queste tre tappe costituirebbero la fase deduttiva del procedimento.
Il termine “metodo” denota un processo che, quale che sia la sua complessità, è sempre di tipo meccanico, in quanto basato sulla ripetizione delle stesse fasi. Secondo tale concezione, l’ipotesi sarebbe la conseguenza immediata dell’osservazione e non sarebbe possibile in assenza di questa: è l’osservazione che la suggerisce al ricercatore. È sufficiente pensare alla teoria della relatività di Einstein per rendersi conto che questa non gli fu suggerita da osservazioni sistematiche ma che fu una sua invenzione: «I concetti della fisica sono libere creazioni dello spirito umano, e non sono, nonostante le apparenze, determinati unicamente dal mondo esterno».
Gli epistemologi contemporanei sono giunti alla conclusione che il metodo scientifico di stampo positivista, inteso come processo che procede dall’osservazione alla teoria, è insostenibile: «In realtà, definire il metodo scientifico con rigore e coerenza è estremamente difficile. […] I filosofi della scienza non sono riusciti a delineare i tratti salienti di un metodo scientifico che fornisca una formula o delle ricette sul modo di elaborare saperi scientifici.[…] Nessun singolo metodo può catturare il processo della scienza. Non esiste un’entità che sia il metodo scientifico» (Lewis Wolpert); Ecco cosa scrive Karl Popper a questo proposito: “La convinzione che la scienza proceda dall’osservazione alla teoria è così diffusa e così radicata che il negarla suscita incredulità… Tuttavia, l’idea che sia possibile partire unicamente da osservazioni, senza che intervenga niente di simile a una teoria, è davvero assurda[…]
Popper non nega che l’osservazione entri in gioco nel processo di produzione del sapere scientifico, ma mette in risalto che l’osservazione è significativa soltanto alla luce di un quadro teorico di riferimento preesistente che permette di costruire una rappresentazione del mondo, ossia di modellizzare la realtà.
Gli epistemologi contemporanei ritengono che il sapere scientifico non sia il risultato dell’applicazione di un metodo scientifico schematico e rigoroso, valido per tutti i tempi e per tutte le scienze. Un’interpretazione meno schematica, più vaga ma più adeguata dell’operato degli scienziati sostiene che essi adottano una strategia della ricerca scientifica, ricorrendo a svariati modi di procedere non vincolati a regole rigide, ma mutabili secondo le circostanze e i tempi. Esistono quindi differenti procedimenti caratterizzati tutti da due attività specifiche della ricerca scientifica: la modellizzazione del reale e la messa alla prova del modello.
- La modellizzazione – I modelli sono prodotti dell’attività di ricerca che permettono agli scienziati di andare oltre la semplice descrizione dei fatti, mettendo la percezione dei fenomeni in relazione con i formalismi delle teorie. I modelli costituiscono uno strumento privilegiato per favorire la circolazione delle idee scientifiche tra i ricercatori e per descrivere, interpretare e prevedere i fenomeni.
- La messa alla prova del modello ossia il controllo dell’affidabilità del modello –Dopo un certo numero di controlli con esito positivo, si può ritenere che il modello sia affidabile, ma non si potrà mai sostenere che è “vero”. Come scrive Carlo Bernardini, «Nelle scienze della natura, ogni affermazione non è in genere vera, ma solo più o meno plausibile. La parola verità è sempre un’astrazione molto lontana dalla realtà».
Tenendo conto della natura complessa del processo di costruzione del sapere nelle scienze sperimentali, lo schema del metodo scientifico (osservazione-ipotesi-esperimento) risulta inadeguato per interpretare il lavoro degli scienziati. I sostenitori del metodo scientifico insistono molto sull’importanza della fase induttiva costituita dall’osservazione indispensabile per accrescere il patrimonio di conoscenza dal quale poi ricavare nella fase deduttiva leggi e teorie.
Però i fatti non si impongono come dati naturali e immediati, ma sono il risultato di un’interrogazione della realtà in funzione di un problema; un fatto acquista un senso o diventa un problema per l’osservatore soltanto se quest’ultimo lo analizza alla luce di una teoria pertinente. La conoscenza scientifica consiste sempre: (1) nel costruire rappresentazioni mentali, ossia concetti e modelli, di ciò che è oggetto di esperienza empirica; (2) nell’esplicitare, per mezzo della logica e della matematica, le relazioni tra i concetti e le proprietà dei modelli, in modo da dedurne proprietà che corrispondano a proprietà empiriche osservabili. Infine, la progettazione di un esperimento e la sua esecuzione sono possibili solo in riferimento a un quadro teorico iniziale. È facile rendersi conto che questa posizione si differenzia nettamente da quelle dell’empirismo classico e del positivismo che collocano i fatti all’inizio del sapere scientifico.
La concezione del metodo scientifico come procedura eterna e universale per produrre conoscenza partendo dai fatti risale ai positivisti, ossia ai primi decenni del 1800. Da allora la scienza ha fatto progressi enormi e gli epistemologi contemporanei hanno interpretato il modo di lavorare degli scienziati in modo meno schematico, dando una grande importanza al ruolo dei modelli scientifici e sottolineando l’aspetto creativo del ragionamento scientifico il quale dipende molto dall’immaginazione, dalla creatività, dalle opinioni personali e dalle preferenze individuali degli scienziati. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei libri di scienze della scuola secondaria si insegna agli allievi il metodo scientifico di stampo positivista basato sulla triade: osservazione, ipotesi, esperimento. Tale situazione non contribuisce certo alla formazione culturale degli allievi per i quali l’educazione alle scienze dovrebbe significare:
1) Apprendere la scienza, ossia imparare e usare concetti, leggi, modelli e teorie delle scienze.
2) Apprendere a proposito della scienza, ossia apprendere come vengono prodotti i saperi condivisi dagli scienziati e cosa ha di particolare questa forma di conoscenza del mondo.
3) Fare scienza, essere in condizione di affrontare problemi, proporre soluzioni e valutarne l’efficacia con controlli sperimentali da essi concepiti, progettati ed eseguiti.
Una formazione inadeguata sulla natura della scienza può avere conseguenze sociali negative come sottolineava Isaac Asimov: «Un pubblico che non comprenda come funziona la scienza può facilmente cadere preda di quegli ignoranti che mettono in ridicolo ciò che non capiscono, o di quegli inventori di slogan che affermano che gli scienziati sono i mercenari di oggi, strumenti del potere o dei militari. La differenza tra comprensione e non comprensione è la stessa che c’è tra rispetto e ammirazione, da un lato, e paura e odio dall’altro».
Tratto da:
https://ilblogdellasci.wordpress.com/2016/01/15/metodo-scientifico-o-strategia-della-ricerca-scientifica/
*Ezio Roletto è professore associato di Chimica Analitica presso la Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e natuali dell’Università di Torino e insegna presso la SISS dell’Università di Torino. È stato membro del Consiglio Direttivo dell’IRRSAE e dell’IRRE Piemonte per nomina ministeriale. Da anni coordina il gruppo IriDiS (Innovazione e Ricerca per la Didattica delle Scienze) dell’Università di Torino e svolge attività di formazione e aggiornamento per l’insegnamento delle scienze a tutti i livelli di scolarità, dalla materna alle superiori. Insieme con Alberto Regis ha scritto molti documenti ed articoli sul tema del metodo scientifico e dell’insegnamento delle scienze.
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