Come selezionare dei governanti evitando il clientelismo: l’esempio dell’elezione dei dogi a Venezia

-di Davide Gionco

Uno dei principali problemi della Democrazia è quello di saper selezionare dei governanti capaci (la chiamano meritocrazia), evitando nello stesso tempo i fenomeni di clientelismo, ovvero le interferenze di gruppi di potere che tentano di piazzare “i loro uomini” nelle posizioni che contano, per trarne poi vantaggio.
Un sistema che certamente consente di evitare le interferenze delle lobbies è il sorteggio, come ad esempio si prevede nella proposta di avere una “Camera Stocastica”  fra le due camere del Parlamento.
L’estrazione a sorte, però, non consente di selezionare le persone sulla base delle qualità e delle competenze, per cui si rischierebbe di avere dei governanti poco capaci. L’idea che “uno vale uno” diventa nel concreto “uno vale l’altro”. E tutti ci rendiamo conto dei danni che possono fare dei governanti incapaci.

Per avere dei buoni governanti è quindi necessario selezionarli fra persone che si conoscono per qualità e competenza, magari selezionate a loro volta da persone a loro volta competenti e capaci di riconoscere le migliori competenze.
Ma come evitare che fra i “selezionatori” si intromettano, o per persona diretta o per persona corrotta, esponenti che curano non gli interessi del popolo, ma di un preciso interesse privato?

Nella Repubblica di Venezia elaborarono un metodo complicato che sposava insieme l’estrazione a sorte e la selezione per merito, evitando rischi di brogli e consentendo l’elezione di dogi capaci di governare bene la Serenissima.

Non è un caso che la Repubblica di Venezia ebbe il suo primo doge, Paoluccio Anafesto, nell’anno 697 e l’ultimo doge, Ludovico Manin, si dimise nel 1797, 1100 anni dopo, sotto le pressioni di Napoleone e dei moti rivoluzionari ispirati alla Rivoluzione Francese.
Il segreto del successo politico ed economico di Venezia durato molti secoli stava proprio nel fatto di avere mediamente dei bravi governanti, selezionati in modo da evitare ogni interferenza di interessi privati, ma anche tenendo conto della capacità della persona che veniva eletta doge dall’assemblea dei Quarantuno.

Impariamo dalla storia, potremmo trarre dei buoni suggerimenti per fare bene nel presente e nel futuro.

A tale scopo riportiamo questo articolo in cui si descrive il metodo di elezione dei dogi a Venezia a partire dal 1268.


di Milo Boz

Nel 1268, alla morte di Renier Zen (1253-1268) fu approvato un nuovo e complesso sistema per l’elezione del doge, un meccanismo che rimase in vigore, senza sostanziali cambiamenti, fino alla caduta della Repubblica.
All’inizio delle operazioni preliminari al conclave, il consigliere più giovane si recava nella chiesa di San Marco e nominava “ballottino” il primo bambino tra gli otto e i dieci anni nel quale si imbatteva (la nomina fruttava automaticamente il grado di Notaio Ducale e il diritto di essere mantenuto agli studi). Il balotin del dose, come veniva familiarmente chiamato, aveva il compito di estrarre le ballotte, cioè le palle che si usavano per le votazioni. Contenute in un cappello di panno, erano tante quanti i membri del Maggior Consiglio. In trenta di esse veniva inserito un bigliettino con la scritta elector. In seguito vennero impiegate trenta palle d’oro mentre tutte le altre erano d’argento.
Il ballottino veniva bendato, estraeva le palle e le consegnava, una alla volta, ai membri del Maggior Consiglio che gli sfilavano davanti. I trenta a cui era stata consegnata una palla d’oro (trovar la bala d’oro ancor oggi a Venezia significa aver fortuna) non dovevano essere legati tra loro da vincoli di parentela nel qual caso venivano sostituiti.
A questo punto i non prescelti abbandonavano la sala e fra i trenta ne venivano sorteggiati nove. Questi nominavano quaranta membri che venivano ridotti per sorteggio a dodici e i dodici ne eleggevano venticinque che, sempre per sorteggio, erano ridotti a nove. I nove erano incaricati di scegliere quarantacinque elettori che un’ulteriore estrazione riduceva a undici. Gli undici sorteggiati eleggevano i quarantuno elettori del doge, ciascuno dei quali doveva ottenere almeno nove voti.
L’Eccellentissimo Quarantaun si riuniva in conclave a Palazzo Ducale e procedeva alla nomina del doge per la quale era necessario ottenere almeno venticinque voti e che doveva poi essere approvata dall’assemblea popolare.

La complicata procedura – l’elezione dei Quarantuno era il risultato di ben nove scrutini alternati a sorteggio – era stata adottata allo scopo di evitare qualsiasi forma di clientelismo. Il primo doge ad essere eletto con questo sistema fu Lorenzo Tiepolo (1268-1273) e la formula con la quale fu presentato al popolo (Questo xe missier lo Doxe, se ve piaxe) sancì la perdita d’autorità dell’assemblea popolare.

 


 

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