di Davide Gionco
Nel 1981 il ciclista padovano Giuliano Calore stabilì un record mondiale incredibile, scalando il Passo dello Stelvio e riscendendo a valle utilizzando una bicicletta senza manubrio e senza freni, il tutto mentre suonava degli strumenti musicali, arrivando regolarmente a destinazione senza cadere e senza mai appoggiare i piedi a terra.
Ancora nel 2015, alla venerabile età di 77 anni, ha ripetuto l’impresa. E in piena notte.
Reso onore a chi lo merita, vorremmo utilizzare questa impresa per fare una metafora fra la guida dell’economia del nostro Paese e la guida della bicicletta.
Il grande Giuliano Calore ha imparato a condurre la bicicletta senza usare il manubrio per sterzare e senza usare i freni per frenare, persino lungo una strada ripida e tortuosa come quella dello Stelvio.
Ma è evidente che la maggior parte di noi non è in grado di condurre una bicicletta senza manubrio e senza freni neppure in una strada diritta e in pianura.
Per governare l’economia di un Paese il governo deve necessariamente disporre di strumenti per farlo.
Se l’obiettivo di conduce una bicicletta è di arrivare alla meta, percorrendo la strada, fatta di tornanti, di salite e di discese, per arrivare alla meta, l’obiettivo delle politiche economiche del governo dovrebbe essere l’attuazione della Costituzione, che prevede sostanzialmente il perseguimento della piena occupazione, con uno stipendio dignitoso per i lavoratori. Questo facendo fronte agli ostacoli all’attuazione di questi obiettivi: cambiamenti degli scenari economici a livello internazionale, dazi di Trump, aumenti del prezzo del petrolio, evoluzione della tecnologia, aumento delle esportazioni cinesi, variazioni dei tassi di cambio, ecc.
Non disporre di strumenti adeguati per fare fronte agli inevitabili imprevisti che possono portare alla perdita di posti di lavoro e ad una perdita del potere d’acquisto degli stipendi è esattamente come condurre una bicicletta giù dallo Stelvio, senza disporre di manubrio e di freni. I rischi di insuccesso, anzi di fare veri e propri danni, sono estremamente elevati.
Il buon senso ci fa intuire come gli strumenti fondamentali di cui un governo debba disporre sono la possibilità di modulare la spesa pubblica e la tassazione in modo da stimolare o da “sgonfiare” l’economia.
Se nel Paese si registra un alto tasso di disoccupazione, infatti, il modo più semplice per creare delle opportunità di lavoro per i disoccupati è aumentare gli investimenti pubblici, come ad esempio fece Roosevelt con il “New Deal”. Se lo Stato mette in cantiere una quantità maggiore di opere pubbliche, infatti, le imprese appaltatrici avranno la necessità di assumere nuovo personale e lo faranno attingendo dalla massa dei disoccupati.
In modo del tutto analogo il Governo potrebbe decidere di ridurre la pressione fiscale, in modo da lasciare più denaro in tasca a cittadini ed imprese, i quali lo potranno spendere, aumentando la domanda di beni e servizi, il che portarà le imprese ad assumere nuovo personale per farvi fronte.
Se, invece, nel paese si registrano degli eccessi di domanda di beni e servizi al di là della capacità produttiva del paese, che causano eccessiva spinte inflazionistiche, il Governo potrà decidere di ridurre gli investimenti pubblici o di aumentare le tasse, per ottenere l’effetto opposto al precedente.
Altri strumenti a disposizione di un governo possono essere la sovranità monetaria con una banca centrale pubblica, la possibilità di controllare i flussi di capitali alle frontiere, la possibilità di imporre dei dazi sulle importazioni di merci dall’estero, la possibilità di modificare le leggi che disciplinano l’economia del paese.
Non è questo il luogo per scrivere un manuale di politiche economiche, ma abbiamo citato degli strumenti che storicamente sono stati usati dagli stati sovrani per governare la propria economia.
Quello che è accaduto all’Italia è che negli ultimi decenni ha rinunciato a questi strumenti, sottoponendosi ai vincoli di bilancio dell’Unione Europea, aderendo alla moneta unica, rendendo la Banca d’Italia indipendente dal governo, liberalizzando i flussi di capitali alle frontiere, abolendo o riducendo i dazi doganali riguardo a molti tipi di importazioni, accettando di trasformare in leggi della Repubblica le direttive dell’Unione Europea, senza avere la possibilità di modificarle in Parlamento.
Oramai gli strumenti a disposizione del Governo del nostro paese sono estremamente limitati, per cui nessun governo ha più la possibilità di affrontare realmente i problemi della disoccupazione e della diffusa povertà nel Paese.
I vari governi degli ultimi 25 anni hanno tutti fallito nel perseguimento degli obiettivi economici previsti dalla nostra Costituzione.
Hanno fallito non perché siano stati tutti degli incapaci o dei corrotti, ma perché non hanno avuto a disposizione gli strumenti necessari per intervenire in modo determinante per contrastare i fenomeni economici internazionali che hanno portato ad un forte ridimensionamento del sistema produttivo italiano, alla svendita della maggior parte delle nostre eccellenze ad acquirenti esteri ed alla riduzione di investimenti pubblici e privati nel Paese.
Se vogliamo, la colpa più grave di questi governi (quello attuale non fa eccezione) non è stato il loro insuccesso, quanto il fatto che neppure si siano posti il problema di ripristinare questi strumenti, almeno in parte, cosa che avrebbe consentito al loro ed ai successivi governi di ottenere dei risultati migliori.
Mentre la maggior parte degli italiani resta in attesa di un “salvatore della patria” che faccia i miracoli, guidando una biciletta senza manubrio e senza freni giù dallo Stelvio senza cadere nel precipizio, noi restiamo in attesa di una forza politica che, finalmente, abbia nel programma il ripristino dei necessari strumenti per governare l’economia del Paese. Solo allora sarà concretamente possibile creare i 5-6 milioni di posti di lavoro che mancano per la piena occupazione, solo allora sarà veramente possibile ridurre la povertà nel Paese.
Di questo abbiamo bisogno:
– possibilità di fare deficit di bilancio secondo necessità (che non significa farlo in modo irresponsabile)
– sovranità monetaria (che non significa “uscire dall’euro”, ma disporre di una nostra moneta per l’economia interna)
– una banca centrale sottoposta al controllo del Governo (che non significa stampare denaro in modo scriteriato)
– controlli e limitazioni sui flussi di capitali verso l’estero (che non significa bloccarli)
– possibilità di imporre dazi doganali sulle importazioni, per proteggere le nostre imprese (che non significa adottare l’autarchia fascista)
– libertà di votare le leggi che vogliamo, senza dover rendere conto all’Unione Europea (che non significa non ricercare un’armonia legislativa con i nostri vicini di casa)
Quando troverete anche solo uno di questi punti nel programma dei partiti politici che infestano i mezzi di informazione, avvisateci.
One Reply to “E’ inevitabile che l’economia del Paese vada male, se chi la governa non dispone dei necessari strumenti per farlo”