di Gilberto Trombetta
Produttività, export, investimenti esteri, stabilità dei prezzi, precarietà, deflazione salariale, meno Stato e più mercato.
Sono i capisaldi del modello economico che ci hanno imposto negli ultimi 40 anni.
Tutto da rifare, tutto da buttare,
La crisi che stiamo vivendo è una crisi di domanda, non di offerta.
Su circa 1.700 miliardi di ricchezza prodotta in Italia (vale a dire il PIL), il 79,6% è riconducibile ai consumi interni che a loro volta sono composti per il 60,8% dalla spesa delle famiglie e un per un altro 18,8% dalla spesa della nostra Pubblica amministrazione.
Dopo decenni di contenimento dei salari e di tagli selvaggi alla spesa pubblica (grafico 1), non deve quindi stupire l’enorme crisi di domanda che stiamo attraversando.
Servono piena occupazione e salari dignitosi. E a garantirli deve essere lo Stato. Che poi è quello che prevede la nostra Costituzione.
Solo tra il 2007 (anno pre crisi) e il 2017 la spesa delle famiglie e calata del 2,8% mentre quella della PA dell’1,7%. Tra il 2007 e il 2018 le famiglie italiane hanno “tagliato” i consumi per un importo pari a 21,5 miliardi di euro.
Le vendite al dettaglio, che costituiscono il 70% circa del totale dei consumi delle famiglie, sono scese del 5,2% tra il 2007 e il 2018. Tuttavia, quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4%, mentre nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5%.
Ricordiamo che un posto di lavoro precario creato nella grande distribuzione distrugge 5 posti di lavoro stabili nel commercio di prossimità. Secondo l’Institut National de la Statistique et des études économiques, la diffusione dei grandi magazzini in Francia ha fatto scomparire il 17% delle panetterie, l’84% delle salumerie, il 43% dei negozi di casalinghi [Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena].
Ai già drammatici dati degli anni precedenti, si sommano quelli dovuti alla gestione scellerata dell’attuale crisi, una delle più profonde che l’Italia abbia mai attraversato.
Secondo le prime stime, escludendo le spese alimentari e per l’abitazione, nel primo trimestre del 2020 la spesa media mensile è diminuita di oltre il 12% rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente.
In termini assoluti il crollo degli acquisti rispetto al 2019 sarà di circa 75 miliardi e a farne le spese saranno soprattutto gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie.
In poche parole i consumi reali per abitante sono crollati ai livelli più bassi degli ultimi venticinque anni: nel 2020 la spesa pro capite al netto delle variazioni dei prezzi risulterebbe inferiore di 167 euro rispetto al 1995.
In termini percentuali si stima che tra il 2019 ed il 2020 la perdita dei consumi sul territorio sia del 10,9% in termini complessivi e del 10,6% per abitante. Oltre alla pesante caduta dei volumi acquistati dalle famiglie (-1.917 euro per residente sul 2019).
Tra il settembre 2009 e lo stesso mese del 2019 le aziende/botteghe artigiane attive sono diminuite di 178.500 unità (- 12,1 per cento), mentre lo stock dei piccoli negozi è sceso di quasi 29.500 unità (-3,8 per cento). Complessivamente, pertanto, abbiamo perso più di quasi 200 mila negozi di vicinato in 10 anni.
Nei primi 3 mesi di quest’anno il numero complessivo delle imprese artigiane presente in Italia è sceso di altre 10.902 unità.
Tenendo conto che negli ultimi 11 anni le imprese artigiane sono crollate di quasi 200 mila unità, al 31 marzo 2020 le aziende artigiane attive in Italia ammontavano a 1.275.970.
Stanno scientemente distruggendo una parte fondamentale della sostanza stessa della vita locale, con il corrispondente disfacimento del tessuto sociale.
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