Condividiamo con voi questo testo dell’amico Giovanni Lazzarini inserito nel libro di Normanno Malaguti “La moneta debito” (edizioni Il Cerchio).
Il testo riporta l’intervista ad un “Alieno” ovvero un economista non allineato al “pensiero unico neoliberista” dell’Università Bocconi di Milano.
Nell’intervista si ripercorrono i fatti che hanno portato all’attuale sistema economico-finanziario fondato sul debito, che ha sprofondato l’Italia nella crisi economica.
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Passeggiando con l’Alieno
di Giovanni Lazzarini
Bologna, 10 agosto 2014, San Lorenzo
Quanti anni ha “La moneta debito”? Ufficialmente porta la data del 2012. Ma il libro si apre con un ringraziamento a Giacinto Auriti, datato 16 ottobre 2011, e con una lettera di mons. Negri ancora anteriore, 2 giugno 2010. Quindi avevo concluso il libro prima del 2 giugno 2010.
Considerato come corrono le vicende economiche e monetarie, 4 o 5 anni di distanza sono una enormità. Così, nel dare il via alla seconda edizione, il desiderio profondo era di aggiornare il testo. In che modo, però?
Revisionando capitolo per capitolo? Aggiungendo delle note? Completando con un’appendice?
Mi sono rigirato nel letto per alcune notti, poi ho preso coraggio e ho telefonato all’Alieno. No, non è un extraterrestre. E’ italiano e ha il suo bravo nome e cognome, come tutti. E’ un professore, un bocconiano eretico che insegna, fa conferenze, colloquia col dotto e con l’insipiente, e scrive pochissimo. Le sue idee sono talmente “fuori dal mondo” che viene bene chiamarlo “l’Alieno”.
Colloquia solo camminando: parchi poco frequentati, strade di campagna, sentieri collinari. Ha un passo continuo, ma non veloce: così posso tenergli dietro, nonostante i 30 anni di differenza.
– Che cosa sta facendo?
– Accendo il registratore.
– Non se ne parla nemmeno, non siamo in conferenza. Deve lasciarmi libero di dire qualche sciocchezza, almeno quando passeggio.
Spengo a malincuore.
– Ho accettato di incontrarla, ma ancora non ho ben capito il motivo del colloquio.
– Professore, “La moneta debito” è andata esaurita. Inaspettatamente esaurita. Nel ristamparla vorrei ripulirla dagli errori, ma vorrei anche aggiornarla. Mi dia un consiglio su come muovermi!
– Il libro era perfetto?
– Non capisco.
– Le sto chiedendo se pensa di aver scritto un libro perfetto. E niente modestia, per favore. L’umiltà sarà più che sufficiente.
– Sono un onesto cercatore di verità. Raggiunto un buon livello di conoscenza su tematiche monetarie, mi è sembrato giusto, o addirittura doveroso, mettere queste conoscenze per iscritto, a disposizione di tutti.
– Ottimo. Lei quindi è un autore imperfetto che ha scritto un libro imperfetto. E questo libro ha valore non perché l’autore possieda in sé tutto lo scibile, ma perché l’autore è un uomo di buona volontà che cerca il vero. Se quindi il libro è imperfetto, perché mai vuole aggiornarlo?
– Professore, mi spiazza. Quindi lei non aggiornerebbe mai un libro?
– Ha mai letto “L’evoluzione della fisica”?
– Negli anni ’70, quarant’anni fa…
– In quel libro Einstein e Infeld hanno descritto l’evoluzione della fisica dai primordi fino al 1938, anno di pubblicazione. Qualcosa è accaduto nella fisica dopo quella data, me ne darà atto, ma nessuno si è mai posto il problema di aggiornare il libro o di ritenerlo superato. Quel libro è tuttora bello, utile, affascinante. Ed è datato 1938. Punto.
– Non è la stessa cosa, professore. La fisica ha effetti lenti sulle persone. Tra la fisica e il telefonino che ho in tasca c’è di mezzo la tecnologia, quella sì che corre. Invece in economia e finanza le idee attuali hanno effetti così immediati e violenti da ridurre la gente alla disperazione. L’aggiornamento del libro mi sembra utile.
– D’accordo, ha ragione anche lei. Allora facciamo un onesto compromesso. Lei lascia il libro così com’è, e aggiunge un’appendice, una sorta di “tesina” finale che coinvolga qualche elemento di attualità.
– Mi faccia una proposta.
– Se lei fosse un mio studente, le proporrei di farla su Bankitalia.
– Pensavo a qualcosa di diverso. Il Fiscal Compact, ad esempio.
– Sì, il Fiscal Compact è stretta attualità. Ma rifletta sulla tipologia dei suoi lettori, sono un po’ come i lettori della “Evoluzione della fisica”. Devono essere dotati di una passione per le idee, di una sana curiosità che prescinda dalle conoscenze tecniche. Il capitale sociale di Bankitalia per 77 anni sta fermo a 300 milioni di lire, poi divenute 156.000 euro. Improvvisamente lo portano a 7.500.000.000 euro. Un uomo, anche lontano dall’economia e dalla finanza, potrebbe avere la sana curiosità di capire il perché. Tanto più se giornali di vertice insistono a dire che questo cambiamento è privo di effetti pratici di una qualche rilevanza.
– Vada per Bankitalia. Da dove si parte?
– Partire dall’inizio è inutile, la seconda guerra mondiale ha cambiato troppe cose. Di Bankitalia anteguerra ricorderemo solo il capitale sociale, i 300 milioni di lire. Dopo la guerra, anzi, durante la guerra, c’è Bretton Woods. Immagini di parlare con una persona priva di competenze particolari, ma desiderosa di capire. Come sintetizzerebbe Bretton Woods?
– A Bretton Woods vennero stipulati numerosi accordi, venne creato il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ma soprattutto venne creato un sistema “gold exchange standard”…
– Sa che non sopporto l’inglese.
– … fu creato un sistema fondato sull’oro solo in maniera indiretta. Il sistema era basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, e tutte le valute si rapportavano col dollaro. Solo il dollaro era a sua volta agganciato all’oro.
– Più che “fissi” i rapporti di cambio erano fortemente controllati. Pignolerie da professore, prosegua pure.
– In questo modo il “pagabili a vista al portatore” che si leggeva sulle nostre banconote in lire era teoricamente praticabile: potevo cambiare le lire in dollari, poi prendere l’aereo, bussare a Fort Knox e chiedere di cambiare i dollari in oro.
– Va bene, è una descrizione a prova di casalinga. Quale era il buco fondamentale del sistema?
– Che non c’era nessuna istituzione a controllare l’emissione di dollari. Teoricamente ogni possessore di dollari poteva andare a cambiarli in oro. In pratica il sistema si reggeva sul fatto che la gente normalmente non va a cambiare i dollari in oro.
– E’ un po’ come il sistema dei depositi bancari: tutti abbiamo “i soldi in banca”, purché solo pochissime persone chiedano di trasformarli in banconote.
– Per questa mancanza di controllo, i dollari emessi divennero rapidamente una mole molto superiore rispetto all’oro disponibile negli USA. Un sistema già centrato sul dollaro si trasformò presto in un sistema dove il dollaro fungeva da simil-oro. Poi tutto andò in crisi.
– Già. Vedendo la crescita dell’emissione di dollari e la crescita dell’indebitamento USA, le richieste di conversione in oro aumentarono, fino a diventare insopportabili per gli Stati Uniti.
– Così il 15 agosto 1971 Nixon a Camp David sospese “provvisoriamente” la conversione dollaro-oro. In dicembre il Gruppo dei Dieci (G10), che sono poi 11, firmarono lo Smithsonian Agreement che pose fine a Bretton Woods, rivalutando l’oro, svalutando il dollaro e ponendo fine al cambio dollaro-oro. Fissati i nuovi cambi, le varie monete potevano cambiare il loro valore rispetto al dollaro in una banda di oscillazione del 2,25%
– Esatto. Un dollaro poteva quindi costare da un massimo di 594,6 lire a un minimo di 568,4 lire. L’accordo era semplicemente una toppa, basata su una vaga idea di “buona volontà” tra gli Stati, senza niente di concreto a sostenerli. Sta di fatto che l’Italia regge nella banda di oscillazione per meno di 2 anni: dal novembre 1973 inizia a sfondare i limiti, nel maggio 1976 arriva a sfondare quota 900. Comandano i mercati, non le decisioni politiche. E nel frattempo gli italiani si trovano le tasche piene di bugie.
– In che senso?
– Nel senso che adesso il “pagabili a vista al portatore” non vuol dire più niente. Puoi cambiare lire carta con dollari carta, al cambio deciso dai mercati. Ma non c’è più niente di “pagabile”: non c’è l’oro finale a copertura, quella frase diventa una bugia. La moneta si è finalmente rivelata per ciò che è: una pura convenzione. Bene, abbiamo descritto il quadro generale: entriamo in casa nostra.
– Intanto in Italia, come in quasi tutti gli Stati, si fa finta di niente. Banche centrali legate al sistema di Bretton Woods, cioè plasmate con lo scopo specifico di stabilizzare i cambi, cambi a loro volta legati al dollaro e da qui all’oro, conservano le loro funzioni anche se non c’è più nessun cambio “solido” da stabilizzare.
– Però fino al 1981 Bankitalia conserva una funzione importante.
– Sì. Bankitalia aveva l’obbligo di garantire il collocamento integrale in asta dei titoli pubblici offerti dal Ministero del Tesoro. In pratica lo Stato decideva politicamente quanto debito creare, e Bankitalia aveva l’obbligo di realizzarlo concretamente. Non era forse il migliore dei metodi, ma le scelte fatte successivamente si rivelarono certamente peggiori.
– Bene, adesso le ricordo una serie di date. 12 febbraio 1981: Beniamino Andreatta è Ministro del Tesoro nel governo Forlani e scrive a Bankitalia una lettera “preparatoria”. 17 marzo 1981: viene scoperta la lista degli aderenti alla P2; da quel momento l’Italia parla solo di P2. Giugno 1981: Forlani viene costretto alle dimissioni per aver pubblicato con ritardo la lista degli aderenti alla P2. 28 giugno 1981: si insedia il governo Spadolini. Luglio 1981: il primo atto significativo del governo Spadolini è la cosiddetta “separazione dei beni” tra Tesoro (Beniamino Andreatta) e Banca d’Italia (Carlo Azeglio Ciampi). La “separazione consensuale” avvenne senza coinvolgimento parlamentare.
– Con questa separazione, il debito dell’Italia viene affidato ai cosiddetti “mercati”: il fabbisogno dello Stato prontamente si impenna. Anche se alcuni giornali di allora definivano il nostro debito del 1981 come “spaventoso”, in realtà di spaventoso non aveva nulla: arrivava al 58% del PIL. Dopo 10 anni di “cura” da parte dei mercati giungemmo al 105% del PIL. Tutto era pronto per la fine della Prima Repubblica.
– E intanto l’uomo chiave si insedia: nel 1991 Mario Draghi viene nominato direttore generale del Ministero del Tesoro e ci resta fino al 2001.
– Questo non lo ricordavo. O forse non lo sapevo.
– Draghi è davvero il factotum. Dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001 è direttore generale del Ministero del Tesoro, sotto 10 diversi governi. Dal 1993 al 2001 è anche presidente del Comitato Privatizzazioni. Dal 2002 al 2005 va ad “allenarsi” in Goldman Sachs. Il 16 gennaio 2006 diventa Governatore di Bankitalia. Il 24 giugno 2011 viene nominato Governatore della BCE. Il 5 agosto 2011, assieme al Governatore BCE uscente Trichet, scrive la famosa lettera estiva che destabilizza Tremonti e il governo Berlusconi, portando poi alla caduta del novembre 2011.
– Direi che può bastare. C’è dell’altro?
– Draghi può essere indicato come il padre del Testo unico bancario del 1993, il TUB, integrato poi con 43 leggi e decreti-legge. Con quel testo si crea il concetto di “banca universale che ha natura imprenditoriale” e salta la separazione fra banche commerciali e banche d’affari: quella separazione era voluta dalla legge bancaria del 1936, che a sua volta imitava la legge di separazione americana, la citatissima Glass-Steagall.
– Molto solerte, Draghi: negli USA la Glass-Steagall venne abolita solo nel 1999, sotto Clinton.
– Già, davvero solerte. E’ anche autore del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (o Testo unico della finanza, o TUF, o Legge Draghi). In pratica le banche come le conosciamo e la finanza come la conosciamo hanno molto del DNA di Mario Draghi. Senza contare poi che con le sue privatizzazioni 1993-2001 si viene anche a creare un “effetto collaterale”…
– Un effetto non da poco. Il popolo non si rese conto che Bankitalia, un tempo in mano a banche pubbliche ed enti pubblici secondo il suo Statuto, con le privatizzazioni passava via via in mano a privati. E intanto l’elenco dei proprietari rimaneva segreto a tutti.
– Ricorda il nome del “rivelatore”?
– No, non lo ricordo.
– Non lo ricordo nemmeno io, devo sempre andare su Internet per rinfrescare la memoria: si chiama Fulvio Coltorti, creatore di un dossier di Ricerche & Studi di Mediobanca. Indagando sui bilanci di banche, assicurazioni ed enti, riuscì a ricostruire le quote dei partecipanti al capitale di Bankitalia.
– Ricordo però chi divulgò l’elenco: Famiglia Cristiana, primo numero dell’anno 2004. Per me fu una sorpresa colossale.
– Certo, una vera sorpresa. Quella che tutti pensano essere “la Banca dell’Italia” la si scopre in mano ai privati, tranne un 5% all’INPS e una piccola quota all’INAIL. E anche adesso, dopo 10 anni, se chiede a uno qualunque a chi appartiene Bankitalia, le risponderà “allo Stato”, “al Governo”, “al Ministero delle Finanze” o qualcosa di simile. Che Bankitalia sia una struttura privata non passa nella testa della gente.
– Comunque, dopo che l’elenco segreto era diventato il segreto di Pulcinella, anche Bankitalia si rassegna e mette l’elenco dei proprietari sul suo sito.
– Sì, dal 20 settembre 2005 l’elenco dei proprietari è consultabile sul loro sito. Siamo nel 2005, ma dobbiamo fare un salto indietro.
– Come mai?
– Perché dal 2001, con la nascita del Ministero dell’Economia e della Finanze, inizia una interessante guerra del tutti contro tutti. A inaugurare il MEF c’è Giulio Tremonti, che dura dall’11 giugno 2001 al 3 luglio 2004, quando viene costretto alle dimissioni da attacchi interni alla maggioranza (Fini) e esterni (il governatore di Bankitalia Fazio). Al posto di Tremonti viene messo Siniscalco. Siniscalco nel 2005 insiste per ottenere le dimissioni di Fazio da Bankitalia, non trova l’appoggio del governo e si dimette a sua volta. Torna Tremonti dal 22 settembre 2005 all’8 maggio 2006. E in questo periodo accade qualcosa…
– Professore, le lascio totalmente la parola perché la sequenza mi sfugge.
– Le date sono essenziali. Il 20 settembre 2005 Bankitalia comunica ufficialmente di essere in mano a privati. Il 22 settembre 2005 Tremonti torna al MEF. Il 19 dicembre 2005 Fazio rassegna le dimissioni da Governatore di Bankitalia. Il 28 dicembre 2005 viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n.262 “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”. Consta di 110.968 caratteri, spazi esclusi, ma a noi interessa solo un breve paragrafo.
– Avessi il registratore acceso…
– “Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici”. Si rende conto di cosa c’è scritto?
– Certo. Visto che, con le privatizzazioni, Bankitalia era diventata privata, tutti i privati dovevano riconferire le quote allo Stato o ad altri enti pubblici, entro 3 anni.
– Bene. E visto che ormai di enti pubblici ne erano rimasti ben pochi (le banche pubbliche erano state tutte privatizzate) quel breve articolo di fatto chiedeva che lo Stato diventasse proprietario di Bankitalia. Noi non sappiamo se Antonio Fazio avrebbe eseguito il contenuto della legge. E’ certo però che Mario Draghi, che si insedia il 16 gennaio 2006, non esegue, ma rilancia.
– Rilancia? Voleva Bankitalia ancora più privata?
– Attenda un attimo, continuiamo con la semplice sequenza di fatti. Nel 2006 si propone alle elezioni la più eterogenea maggioranza governativa della storia italiana, dove si vuol tenere insieme la radicale Emma Bonino e la teodem Paola Binetti, Vladimiro Guadagno detto Luxuria con Clemente Mastella, i comunisti estremi con la Sudtiroler Volkspartei. 14 partiti per la cosiddetta “Unione”, che vince per 24.755 voti. Una vittoria di Pirro dello 0,07%. Ma vincere era necessario.
– Perché necessario?
– Senta, lei ricorda una sola cosa fatta dal governo Prodi con l’Unione?
– Onestamente no.
– Infatti quel governo verrà solo ricordato per due anni di conflittualità permanente, tanto che alle successive elezioni gli italiani erano già talmente stanchi da dare a Berlusconi una vittoria con uno scarto del 10%. Ma una cosa Prodi la fece.
– Non mi tenga sulle spine.
– Col DPR del 12 dicembre 2006 viene modificato l’articolo 3 dello Statuto di Bankitalia, che prima
recitava così “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”, articolo in consonanza con la già citata legge del 28 dicembre Draghi non esegue la legge, ma rilancia. Adesso l’articolo 3 suona così “Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge. Il trasferimento delle quote avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote”. Il trio Draghi (proponente), Prodi (esecutore), Napolitano (decretatore) ha dato la botta decisiva.
– L’ente pubblico, già sparito nei fatti, sparisce anche di diritto…
– Certo. E Tremonti che ritorna al MEF l’8 maggio 2008 non ha certo il tempo di impuntarsi sull’esecuzione della legge del 28 dicembre 2005. Scoppia la crisi mondiale e c’è ben altro da pensare. Ora saprebbe indicarmi un parallelo tra l’Unione 2006-2008 e il recente governo Letta 28 aprile 2013 – 22 febbraio 2014?
– Direi che, come l’Unione non verrà ricordata per nulla di significativo, così anche il governo Letta non verrà ricordato per nulla di significativo, ma entrambi realizzano un passaggio chiave di Bankitalia.
– Bene, “autore imperfetto di buona volontà”, vedo che le è tutto chiaro. In un unico decreto IMU – Bankitalia (pacchetto completo, prendere o lasciare) portano la quote da 156.000 euro a 7.500.000.000 euro, attingendo alle riserve di Bankitalia medesima. Il governo Letta ha eseguito il compito e può andare a casa – Professore, mi riassuma tutti gli effetti di questo decreto.
– Innanzitutto penso sia utile leggere cosa dice il Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla questione. Le leggo solo due domande che si trovano sul sito del MEF, ho il foglietto in tasca.
Il professore ha la tasca destra della giacca piena di monete da 1 e 2 euro, che risuonano durante la passeggiata, e la tasca sinistra piena di foglietti, che pesca sempre a colpo sicuro.
– Domanda “Era migliore la legge del 2005?” – Risposta del MEF: “La legge n. 262 del 2005 prefigurava il trasferimento della proprietà del capitale della Banca allo Stato. L’applicazione della legge avrebbe reso necessaria una radicale riforma dell’ordinamento dell’Istituto per tutelarne l’indipendenza. Si è quindi preferito preservare la natura privatistica dell’assetto attuale, che ha garantito per lunghi anni l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale, e proporre l’abrogazione di questa norma. Nel contempo si è scelto di riaffermare il divieto di ingerenza nelle funzioni istituzionali della Banca – in particolare la vigilanza bancaria e finanziaria e la politica monetaria – da parte degli organi che possono essere considerati espressione dei partecipanti al capitale (l’Assemblea dei partecipanti, il Consiglio superiore e il Collegio sindacale). Peraltro l’attuazione della legge del 2005 avrebbe comportato un onere per lo Stato, che avrebbe dovuto acquistare tutte le quote detenute dalle banche a prezzi attualizzati e corrispondenti al nuovo valore di 7,5 miliardi di euro”.
– Molto interessante.
– Certo che è interessante! Innanzitutto è ora chiaro e senza ombra di dubbi che il governo Berlusconi – Tremonti ha cercato di fare l’impossibile: compiere l’acquisizione di Bankitalia da parte dello Stato. Cosa tutt’altro che scandalosa, visto che così avviene ad esempio in Norvegia, uno dei paesi più prosperi del mondo, fin dal 1985.
– Quindi lei reputa un atto molto coraggioso quello del 2005.
– Io non reputo niente. Io constato che, dal 2005 a oggi, è stato fatto di tutto perché quella legge non venisse applicata. Leggo poi che “L’applicazione della legge avrebbe reso necessaria una radicale riforma dell’ordinamento dell’Istituto per tutelarne l’indipendenza”. Strana affermazione, visto che più avanti dicono che “si è scelto di riaffermare il divieto di ingerenza nelle funzioni istituzionali della Banca […] da parte degli organi che possono essere considerati espressione dei partecipanti al capitale”. Se quindi c’è divieto di ingerenza dei partecipanti al capitale rispetto alle funzioni istituzionali, questo divieto sarebbe rimasto anche se il capitale l’avesse avuto in mano lo Stato.
– Resta però l’ultimo punto: per acquisire Bankitalia lo Stato avrebbe dovuto acquistare le quote a prezzi attualizzati, e quindi sborsare 7,5 miliardi di euro.
– Ma via, caro amico! Questa è l’ambiguità più grossa. Lo Stato avrebbe semplicemente acquisito le quote al costo dei 156.000 euro simbolici e mai rivalutati. Deve ricordarsi che quelle quote sono finite nella pancia delle varie banche in violazione dell’articolo 3 dello Statuto precedente “dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”.
No, se la legge del 2005 fosse stata applicata, lo Stato avrebbe pagato solo 156.000 euro. Adesso invece sarà impossibile allo Stato acquisire Bankitalia: con un bilancio strozzato, lo Stato non troverà mai 7,5 miliardi di euro.
– In ogni caso non c’è nemmeno più la legge del 2005 e quindi il caso è chiuso.
– Già, tutto è compiuto. Ancora più buffa è la seconda domanda. Legga lei, che ho la voce un po’ stanca.
– Domanda “Un regalo sotto forma di dividendi?” – Risposta del MEF “Il decreto prevede che l’importo dei dividendi annuali non possa essere superiore al 6% del capitale (non impone quindi che i dividendi siano pari al 6% ma viene fissato un tetto così da garantire il rafforzamento patrimoniale della Banca); con il decreto legge l’ammontare massimo dei dividendi distribuibili ai partecipanti è pertanto di 450 milioni; viene inoltre precisato che i dividendi siano distribuiti a valere sugli utili netti e quindi che non possano essere erogate, diversamente dal passato, somme a fronte di riserve accantonate in anni passati. In questo modo si passa da una remunerazione di entità crescente nel tempo, potenzialmente senza limiti, a un dividendo soggetto a un limite fisso, preservando la possibilità di un rafforzamento della base patrimoniale della Banca mediante la destinazione di una parte di utili alla riserva ordinaria (fino al 20%) e alla riserva straordinaria o fondi speciali (fino al 20%). Allo Stato è comunque riservata la parte di utili non destinata ai dividendi e alle riserve della Banca.”
– A leggerlo così sembra quasi che i dividendi li abbiano calmierati… Il succo invece è un altro e, anziché basarci sulle chiacchiere, prendiamo il bilancio Bankitalia del 2012 (il 2013 non ce l’ho in tasca) e vediamo i dati. Utile di Bankitalia 2.501.215.966 euro, 500.225.193 euro pari al 20% vengono accantonati a riserva ordinaria, altri 500.225.193 euro a riserva straordinaria, ai soci va una remunerazione pari al 6%+4% del capitale. Essendo il capitale di 156.000 euro, la remunerazione corrisponde a 15.600 euro. Il rimanente 1.500.659.980 va allo Stato, come da Statuto.
– Quindi i partecipanti privati nel 2012 incassarono solo 15.600 euro?
– No, gli vennero poi erogati lo 0,50% del totale delle riserve, ossia 70.026.000 euro. Ora, giudichi lei: è vero che questa erogazione di 70.026.000 euro è “crescente nel tempo”, come dice il MEF, infatti l’anno precedente era 67.050.000 euro; ma per passare da 70.026.000 euro ai 450.000.000 che potranno incassare da ora in poi, con un ritmo di 3 o 4 milioni di crescita l’anno, ci sarebbero voluti 100 anni.
– E allora rifaccia i calcoli per me.
– Se il decreto IMU Bankitalia fosse già stato in vigore, avremmo avuto nel 2012 lo stesso utile, lo stesso accantonamento di 500.225.193 ordinari + 500.225.193 straordinari, remunerazione di 450.000.000 alle banche partecipanti e 1.050.765.610 allo Stato, che ci avrebbe rimesso (e ci rimetterà sempre, da ora in poi) 449.894.370 euro, ossia i 450 milioni meno le briciole.
– Una insipienza incredibile…
– Insipienza? Dipende da che parte la guarda. La guardi da parte del sistema bancario ed è tutt’altro che insipienza: 1) hanno rafforzato il loro patrimonio utilizzando delle riserve che dovevano essere “nostre” perché Bankitalia doveva essere di proprietà di enti pubblici, per Statuto; 2) incasseranno 450 milioni l’anno, a fronte di una modesta tassazione una tantum per la rivalutazione del capitale; 3) continueranno a essere padroni di riserve che a oggi si alimentano al ritmo di circa 1 miliardo di euro l’anno; 4) continueranno ovviamente a essere padroni dell’emissione di banconote, secondo la “regola contabile” di iscriverle a bilancio come passività, una passività inestinguibile perché le banconote non sono più “pagabili a vista”, a fronte di titoli e valute che gli vengono dati per “dar valore” alle banconote. Basta, chiudo qui, perché mi sto scaldando.
– Professore, seguendo la sua illustrazione sembra quasi che nel ventennio berlusconiano si sia combattuta una guerra bancaria.
– Perché, non si combattono le guerre bancarie? Nella guerra di Libia la prima cosa che misero su i cosiddetti “ribelli cirenaici”, prima ancora di formare un governo provvisorio, fu la CBB (Central Bank of Benghazi) banca di tipo classico, proprietà di privati come in Italia, in opposizione alla CBL (Central Bank of Libya) di proprietà dello stato libico. E’ il primo caso nella storia dell’umanità di una “rivolta bancaria”, se mi passa la battuta. Vedo però che anche lei usa l’espressione “ventennio berlusconiano”.
– Sì, viene ormai naturale quell’espressione. Credo che l’abbiano ideata per assimilare il ventennio di Berlusconi al ventennio di Mussolini.
– Non credo. Si metta nell’ottica della “guerra bancaria”. Parlare di “ventennio berlusconiano” fa dimenticare alla gente che Berlusconi ha governato più o meno 8 anni e 8 mesi, per il resto hanno governato altri. Se prendiamo il ventennio allargato, da Tangentopoli a Letta, 22 anni, hanno governato: Amato I, Ciampi, Dini, Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato II, Prodi II, Monti, Letta.
– Ma non si sono occupati solo di Bankitalia.
– Certo, vorrei anche vedere! Il popolo li avrebbe presi per scemi. Dovevano occuparsi di privatizzare tutto il privatizzabile, sistema bancario in primis, mentre stavano facendo anche altre cose. Il decreto IMU-Bankitalia in questo senso è emblematico. Visto che lei ha un telefonino con Internet, vada su Wikipedia a vedere le “benemerenze bancarie” dei vari Presidenti del Consiglio.
– Ciampi governatore di Bankitalia dal 1979 al 1993, Dini direttore generale di Bankitalia dal 1979 al 1994, più o meno gli stessi anni di Ciampi, Amato consulente in Italia per la Deutsche Bank dal 2010…
– La fermo, vado a memoria. Parto dal “comitato esecutivo dell’Aspen Institute Italia, un’organizzazione americana finanziata anche dalla Rockefeller Brothers Fund, che si pone come obiettivo quello di incoraggiare le leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo” (Wikipedia): ci troviamo Amato, Monti, Prodi; qualche tempo fa c’era anche Enrico Letta. Se va nella pagina Wikipedia su Goldman Sachs troverà i nomi di Monti e Prodi, nonché Draghi, ovviamente. “Aspeniano” anche D’Alema; del resto la super-aspeniana Marta Dassù ha collaborato come consigliere per la politica estera con il Presidente del Consiglio dei ministri nei governi D’Alema I, D’Alema II, Amato II, Prodi II, ed è stata vice-ministro degli esteri con Monti e con Letta. Non bisogna poi dimenticare il legame diretto di Prodi con Andreatta, autore del primo passo del 1981 sullo scioglimento dei legami Stato-Bankitalia. Lascio perdere invece le frequentazioni di tutto il gruppo con la Trilaterale e col Bilderberg, perché sarebbero tacciate di “complottismo”.
– Il suo non è complottismo?
– No. Dico solo l’ovvio. Se togliamo Berlusconi, tutti i capi di governo del cosiddetto ventennio erano bancario-aspeniani. Gli effetti si sono visti, con la completa privatizzazione del sistema bancario e di Bankitalia. Unico ostacolo è stato Tremonti, figura comunque che devo molto approfondire, perché nell’Aspen c’è anche lui, addirittura come presidente, anche se, nei fatti, si è rivelato un aspeniano anomalo.
– La lascio andare, professore. Credo che il materiale per la “tesina” sia più che sufficiente.
Ci salutiamo e si allontana, ma lo fermo subito.
– Professore, ma non potrei usare questa sua chiacchierata come appendice del libro, invece di scrivere una tesina?
– Le ho fatto spegnere il registratore, non ricorda?
– Vorrà dire che un autore imperfetto, che ha scritto un libro imperfetto, aggiungerà il resoconto imperfetto di un colloquio imperfetto. Il tutto condito con tanta buona volontà e con tanto amore per la verità.
– Touché. Proceda pure, autore imperfetto, ma ometta il mio nome.
– Le assegnerò uno pseudonimo, stia tranquillo.
– Non mi dica quale, lo leggerò nel libro.
– Dal che si evince che comprerà anche la seconda edizione del libro?
Ride. In realtà il libro lo comprerà sua moglie, che ha in appalto tutta la gestione economica della casa. L’Alieno tiene in tasca solo le monete per i mendicanti, non so nemmeno se ha un portafoglio.
– E si ricordi che lei non è solo nella sua caccia alla verità. La verità corre molto più veloce di noi, noi la inseguiamo e lei continuamente ci sfugge. Non ci è nemica: vuole essere inseguita, vuole essere raggiunta, ma non da uno solo. Per catturare una che corre più veloce di noi c’è un solo modo.
– Bisogna circondarla.
– Sì, circondarla, braccarla da ogni lato. Lei, io, tanti altri, a braccare la verità sempre più da vicino, in un cerchio sempre più stretto, e mai da soli. Buon lavoro, caro amico.
Adesso ci salutiamo davvero, lui va a destra con passo sicuro, io ho perso l’orientamento nel parco. Mi siedo su una panchina, allungo una moneta a un mendicante, butto giù qualche appunto frettoloso.
Sì, un colloquio è meglio di una tesina, non trovate?
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