di Giovanni Lazzaretti
Conoscete questa storiella?
In una zona imprecisata del Medio Oriente un padre, sentendosi vicino alla fine, fa le parti tra i figli: metà del patrimonio al figlio più grande Ashraf, un terzo del patrimonio al secondogenito Bashaar, un nono del patrimonio al figlio piccolo Fuad.
Ma il patrimonio è scomodo: si tratta di 17 cammelli. E quindi, morto il padre, i figli si trovano a litigare, perché 17 è un numero bastardo: non si divide per due, né per tre, né per nove.
Dopo aver litigato parecchio, senza cavare un ragno dal buco, decidono di rivolgersi al vecchio saggio del paese. Il vecchio li ascolta, ma, vedendoli furenti, si tira indietro: «Non posso far nulla per voi. Mi ritiro in casa. Beati voi che avete 17 cammelli! Io ne ho uno solo. Se volete, prendetevi anche il mio».
Un cammello vecchiotto, ma meglio di niente. E adesso i figli si accorgono di possedere 18 cammelli: metà di 18 fa 9, un terzo di 18 fa 6, un nono di 18 fa 2. E 9+6+2 fa 17. Per cui il diciottesimo cammello non serve e può tornare al vecchio saggio.
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Riavvolgiamo il film e vediamo su cosa litigavano i tre figli. 17 diviso 2 fa 8,50: ad Ashraf toccavano 8 cammelli e mezzo. A Bashaar spettavano 17 cammelli diviso 3, ossia 5,67. Infine a Fuad, un nono di 17, toccavano 1,89 cammelli.
Constatiamo innanzitutto che il lascito del padre era strano: 8,50 + 5,67 + 1,89 fa 16,06 cammelli, non fa 17.
Ashraf fa la sua proposta: «Prendiamoci intanto i cammelli interi: 8+5+1 fa 14 cammelli. Ne restano 3, ne prendiamo uno a testa e siamo a posto».
Reagisce Fuad: «Pessima idea. Io ho meno cammelli di tutti e ho il resto più alto di tutti (0,89): mi toccherebbe un cammello come a te che hai più cammelli di tutti e hai il resto più basso (0,50)».
Si inserisce Bashaar: «La divisione di nostro padre riguarda 16 cammelli, non 17. Io direi che, dei 3 cammelli non assegnati, ne prendiamo 1 a testa Fuad e io che abbiamo i resti più alti, e il terzo lo doniamo a un povero. Così le disposizioni di nostro padre saranno rispettate».
Ashraf si arrabbia: «Doniamo? Sarei io l’unico a donare! Voi prendereste più della vostra spettanza, e io meno della mia spettanza! Ho cinque figli, non dimenticatelo!»
Eccetera, senza tregua come tutte le liti.
L’intervento del vecchio saggio, che mette a disposizione il suo cammello e lo riceve indietro, ossia mette “zero”, risolve la questione. E rivela che la soluzione giusta era quella proposta da Ashraf: 1 cammello a testa. Infatti Ashraf, ricevendo un cammello, riceve un extra di 0,50 pari al 5,88% del suo patrimonio. Bashaar riceve un extra di 0,33 pari al 5,88% del suo patrimonio. E Fuad un extra di 0,11 pari al 5,88% del suo patrimonio.
Lo “zero” che ha valore. Quanto meno il valore di pacificare gli animi.
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Forse qualche lettore ricorderà la mia favola monetaria “Per un pugno di SyF”: don Vincenzo stanziava un milione di euro per far muovere l’uso di una nuova moneta, chiamata SyF.
Dopo complesse vicende, verso la fine della storia don Vincenzo parla al popolo da un palco, e dice tra l’altro: «A questo punto il computer segna 1.007.415 euro. Maribetta, per favore, consegna 7.415 euro a monsignor Gambino per le spese della chiesa. Ecco, io sono tornato al milione di euro iniziale e tra poco il popolo riavrà i suoi SyF. Quindi, viene da dire, io che c’entro? C’era bisogno di me per tutto questo marchingegno? Vi dico di no. Quei milioni di SyF che riavrete in mano sono la benzina necessaria per il nuovo motore che VOI, non io, avete messo in moto: nuovi beni, nuove competenze, nuove idee per il paese. Io ho fatto da detonatore, ma non sono io che do valore ai SyF. Io sono lo zero, il valore lo date voi, col vostro lavoro.»
Anche qui uno “zero” di valore: don Vincenzo mette 1 milione, don Vincenzo ritrova il suo milione, il popolo si trova con un extra di 4 milioni di SyF.
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Una storiella mediorientale, una favola ambientata in un imprecisato paesino del meridione.
Ma vorrei proporvi anche un piccolo esempio tratto dal mondo reale.
Per iscriversi alla scuola materna parrocchiale del mio paese il primo anno è necessario pagare una quota di iscrizione di 100 euro: è una forma di deterrenza per il problema delle doppie iscrizioni.
Se il bambino ha il posto, tutto ok. Se per il bambino non c’è posto, i 100 euro vengono restituiti. Se il bambino si iscrive ma poi si ritira perché sceglie un’altra scuola, perde i 100 euro.
Carla iscrive il bambino e paga 100 euro. Poi la trasferiscono per lavoro e deve cambiare scuola al bimbo: perde i 100 euro. L’anno dopo torna in paese e lo iscrive di nuovo: dovrebbe, da regolamento, pagare nuovamente i 100 euro. «Senta, Lazzaretti, non potrebbe fare un’eccezione? Non mi sembra giusto pagare due volte, visto che il ritiro non è stato di mia volontà».
Anche a me non sembra giusto. Ma so che, se si fanno delle concessioni, si possono innescare rimostranze e litigi, e tutti si sentono legittimati a mettere in campo nuove eccezioni.
Così ho proceduto in questo modo: Carla non ha pagato, io ho pagato la sua quota alla scuola, la scuola ha ricevuto il dovuto. Giustizia verso Carla, nessuna eccezione concessa per la scuola. «Già. Ma tu non hai messo lo “zero”, tu hai perso 100 euro».
No. Dal momento che in famiglia adottiamo il metodo della “decima stanziata”, io ho “dato” i 100 euro, ma non li ho “persi”.
La “decima stanziata” è un metodo per cui si stanzia annualmente per offerte e liberalità varie una somma predefinita. Chi stanzia la decima per motivazioni cattoliche, è come se aprisse un conto corrente a Gesù Cristo, sul quale la decima viene depositata. Ho dato 100 euro, e quindi il mio conto bancario è calato, ma al contempo è calato di 100 euro il mio debito con Gesù Cristo: quindi nel bilancio di casa non è accaduto assolutamente nulla. E’ uno “zero” di valore, perché ha generato un piccolo atto di giustizia, salvaguardando comunque la pace che nasce dalla certezza delle regole.
Si possono presentare esempi su più larga scala? Sì, è possibile. Lo faremo, semmai, in una delle prossime puntate.
Giovanni Lazzaretti
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