di Guido Grossi
Dopo il mezzo milione di visualizzazioni per “Il furto del Debito Pubblico”, Guido Grossi risponde su Byoblu alle critiche ricevute, e lo fa con un testo potente, definitivo, un vero e proprio manifesto di buon senso e saggezza, richiamando ogni uomo su questa Terra a risvegliarsi dalla follia collettiva del delirio tecnofinanziario che divora uomini e democrazie. Un articolo lungo, ma che in maniera semplice e toccante colpisce dritto al cuore il mostro finanziario che incombe sui cittadini indifesi. Una pergamena accorata da leggere, rileggere e far leggere, mentre giunge ormai il tempo di rivendicare la fine di questa età dello smarrimento e il ritorno ad un nuovo Umanesimo illuminato, dove gli uomini e le donne riscoprano il senso più autentico della loro esistenza, oltre al delirio di macchine e algoritmi: un’economia che torni a mettere al centro l’Uomo e i suoi bisogni reali, spirituali o materiali. È il tempo delle responsabilità diffuse e condivise.
Il 21 settembre scorso, a Roma, si è tenuto l’evento “Finanza al servizio della Politica, un approccio responsabile a Risparmio e Investimenti“, organizzato dal Centro Studi della Confederazione Sovranità Popolare. Uno degli interventi del convegno è stato quello di Guido Grossi, giurista ed ex manager BNL, che ha parlato di debito pubblico. Il suo intervento, ripreso dalle telecamere di Byoblu, ha riscosso un successo enorme, totalizzando in un meso oltre mezzo milione di visualizzazioni su Youtube.
Come prevedibile, e anzi come auspicato – perché la democrazia e la conoscenza si nutrono di dibattito – ci sono state alcune critiche. Guido Grossi risponde oggi pubblicamente, qui su Byoblu.com.
Guido Grossi: il tempo delle responsabilità diffuse e condivise (risposta a “Noise From Amerika”)
La nostra difficoltà ad approfondire è direttamente proporzionale alla distanza che ci separa dalla libertà. Di tutti i personaggi coinvolti, puoi dimenticare il nome, ma delle idee, dei dubbi, del bisogno di capire, per favore, non ti dimenticare mai.
Premessa: il valore della semplicità
Tra tutte le critiche alla mia esposizione sulla natura del debito pubblico, ce n’è una che merita attenzione e una risposta adeguata, visto che ci porta “ rumori” dall’America e pretende, come lascia intendere dal titolo della rubrica, di farlo “EX-KATHEDRA”: http://noisefromamerika.org/articolo/propaganda-pentastellata-come-asfalto-video-sovranista-sul-debito.
Ringrazio l’autore, Andrea Moro, professore associato presso la Vanderbilt University e già collaboratore con la Federal Reserve Bank of New York (così leggo su Facebook) per lo stimolo che ci offre alla riflessione, ed al chiarimento di alcuni aspetti che vanno assolutamente sottoposti all’attenzione pubblica. L’articolo merita infatti una risposta non tanto per la vivacità e lo “stile” con cui dichiara già dal titolo di voler direttamente “asfaltare” un presunto pentastellato (che tristezza, le etichette!). Probabilmente si è preoccupato – e lo dichiara – del successo che ha conseguito il video sulla conferenza che è visibile qui ed ha superato il mezzo milione di visualizzazioni. Si direbbe talmente preoccupato da avvertire il bisogno “urgente” di farci “capire” due cose (a noi e ad altri, “più esperti” di noi). Due cose gravi che, se lo leggi con attenzione, emergono prepotenti fra le righe del suo articolo, e che mi permetto di evidenziare:
- la verità è – ed è bene che rimanga – riservata a pochi: tecnici, iniziati, specialisti, esperti. Le persone comuni non se ne debbono occupare e, comunque, non sarebbero in grado di capire, meno che mai approfondire.
- L’Italia è, ed è bene che rimanga, bisognosa e dipendente da prestiti esteri.
Vi invito a leggere di persona il suo articolo, per verificare, perché io potrei essere confuso. Non fidatevi quindi ciecamente delle mie opinioni, che sono per definizione personali. Non bisogna fare il tifo, come certe trasmissioni televisive ci spingono a fare, impedendoci di capire e di approfondire. Scaricate, leggete, studiate, analizzate. Confrontatevi con gli amici. Certe cose meritano una riflessione pacata, approfondita, il più possibile ampia e diffusa.
Prima di procedere nel merito, vorrei rassicurare Andrea su alcuni punti, anche se marginali, pensando soprattutto a quanti possano essersi impensieriti, leggendolo.
- Non è stato necessario scomodare i fondi russi per finanziare la conferenza, come garbatamente “insinua e contemporaneamente cerca di sminuire”: è costata giusto i 120 euro necessari alluso della sala (prezzo peraltro “di favore”, concesso in nome di una collaborazione pluriennale dalle suore Orsoline che ci hanno ospitato). Oltre, naturalmente, alla preziosa collaborazione di tante care persone, organizzatori e relatori inclusi, che è stata totalmente gratuita. Approfitto per ringraziarli, di cuore.
- Un po’ di esperienza diretta nel settore della gestione dei rischi finanziari e dell’intermediazione, e perfino delle aste, l’ho avuta.
- Non ho, invece, grandi “titoli” da vantare, a parte la laurea in giurisprudenza e vari corsi di formazione di cui ho dimenticato il nome. E ne sono felice!
Ritengo infatti importante, molto importante, invitare tutti a riflettere su questo punto. La comprensione completa e profonda di certi argomenti che finiscono per condizionare pesantemente le nostre vite, e la politica nazionale, deve diffondersi capillarmente, e scendere, scendere molto, fino a raggiungere le scuole elementari. Non lo dico tanto per dire: è una cosa seria. Quando io ero bambino, alla scuola elementare ci regalavano un salvadanaio d’acciaio, per “educarci al risparmio”.
Solo allora, quando la conoscenza sarà scesa nel tessuto sociale, alla portata di tutti, le soluzioni semplici e possibili ci salteranno agli occhi. Solo le persone semplici, comuni, normali, alle quali sia stata offerta la possibilità di conoscere e di riflettere, sono in grado di individuare soluzioni semplici ed efficaci.
Purtroppo il sistema mediatico parla poco, di certi argomenti, a noi “persone comuni”; lo fa con linguaggio noioso e incomprensibile, riservato agli “specialisti”. Allora mi domando e vi domando: cosa veramente “conta di più”: cento lauree specialistiche? Oppure l’esperienza diretta di una “qualsiasi persona comune”, unita alla curiosità, alla volontà di analisi critica, alla ricerca umile e faticosa di approfondimenti e confronti, al bisogno di onestà intellettuale, al desiderio sincero di farsi capire?
Se, come me, condividete l’opinione che conti di più l’esperienza diretta, allora possiamo condividere una notizia meravigliosa: perché questa scoperta ci fa capire, senza più ombra di dubbio, che la libertà è a portata di mano. Unendo infatti le esperienze e le intelligenze, la curiosità e l’onestà intellettuale di tante persone comuni, potremo finalmente tornare ad essere pienamente “responsabili del nostro comune destino”, liberandoci finalmente dalla dipendenza e dalla tirannia dei “tecnici”. Ognuno di noi può essere, davvero, prezioso.
Dovremmo infatti convenire al più presto, alla luce dei risultati che abbiamo sotto gli occhi, che non è stata una buona idea, per l’umanità, quella di affidare le nostre vite ad evidenti “apprendisti stregoni”, ai quali le cose sono oggettivamente scappate di mano. Così abbiamo fatto – poco responsabilmente – negli ultimi decenni. E’ tempo di responsabilità diffuse e condivise.
Non è forse per questo motivo che la conferenza ed il video hanno avuto successo, e cioè perché ci si è sforzati di parlare direttamente ai cittadini, con linguaggio semplice e chiaro? È stato fatto con un discorso armonico, condiviso fra diversi relatori, centrato sulle cose che toccano molto da vicino e molto direttamente i nostri interessi, a volte devastandoli. Argomentazioni che, finora, purtroppo, sono state riservate a tecnici e presunti specialisti, proprietari esclusivi di linguaggi incomprensibili e presunte sapienze. A proposito: vanno visti e pubblicizzati tutti, i video della conferenza, perché il discorso è unitario, ed ha senso migliore nella sua completezza.
[ndr: qui quelli usciti: “Noi non ci inginocchiamo più“; “Evitare il crollo con la Moneta Fiscale“; “Come superare l’euro con la moneta fiscale“]
Ancora un’ultima domanda: a chi sono indirizzate le “osservazioni” di Andrea: ci avete fatto caso? A chi è rivolto l’accorato appello a mettere il naso in quella che viene definita una “follia collettiva”? Non certo alle persone “credulone” che hanno visto il video, fra le quali afferma di poterne convincere solo una su centomila (e me ne domando il perché: mancanza di autostima? Scarsa fiducia nella capacità ricettiva dei destinatari? O, piuttosto, totale disinteresse verso il settore?). Riporto direttamente la sua frase, in proposito: “Mi limiterò a sintetizzare e criticare la “logica” delle storielle raccontate da Grossi, nella speranza di (a) convincere due o tre di quei trecentomila della quantità di fregnacce a cui, ignari, hanno creduto (b) aprire una riflessione fra i più esperti sull’origine e le cause di questa follia collettiva.”
Interessante, questo concetto della “follia collettiva”, di un popolo che si sveglia e decide di fare a meno dei “servizi” dei mercati finanziari, dei prestiti esteri e delle spiegazioni incomprensibili degli esperti. Attenzione, ci avvisa: questa che viene squalificata come una “storiella”, merita però l’attenzione dei più esperti! Fissiamolo nella mente: parole e concetti come “semplice”, “comune”, “normale”, riferiti agli esseri umani, sono elevatissimi; sono qualifiche di cui andare orgogliosi. Tanto più è vero, quanto più diventa evidente che gli specialisti, i tecnici, gli esperti, hanno perso il senso della realtà, e della misura.
Ora, entriamo nel merito delle osservazioni.
1) La “maggior parte” dei titoli italiani è detenuta da italiani, ci dice il professore, sottolineando che io, preoccupato dei titoli detenuti da soggetti esteri, ignorerei questo “fatto”.
Mi rendo conto che durante la conferenza non devo essere riuscito a passare un messaggio importante, che invece mi sta cuore, ed approfitto per precisarlo ora, ringraziando Andrea che me ne offre lo spunto. Il tema centrale non vuole essere (solo): “Italia” contrapposta ad “estero”. Il tema centrale che intendevo passare è: “cittadini risparmiatori” contrapposti a “investitori istituzionali professionisti”. Oltre il 90% di quel debito è controllato da questi ultimi.
Però c’è un problema: questi ultimi, gli investitori istituzionali professionisti, tendono spessissimo a confondersi con soggetti esteri, sia per quanto riguarda gli assetti proprietari, che non sono proprio trasparenti, sia per quanto riguarda i legami “professionali”.
L’investitore istituzionale “pensa” inglese, che è la lingua del business finanziario. La “cultura” dell’investitore istituzionale professionista è sopra nazionale, sempre e ovunque, per definizione. Forse è da qui che nasce l’equivoco.
Comunque, approfondiamo certamente questo argomento “portafogli esteri”, legato alla misura dal “debito estero”, che può essere utile proprio per tutti, viste le catastrofi che la storia ci racconta di Paesi e popolazioni letteralmente strozzati dal debito estero, e mai dal debito pubblico.
Facciamo attenzione, nel frattempo, alla differenza buttata lì fra soggetto “estero” e soggetto “non residente”. Sembra la stesa cosa, no? Ma una banca che risiede in Italia, ed è di proprietà straniera, come la consideriamo, una banca italiana o straniera?
Andrea, per rassicurarci, ci mostra un grafico che fa vedere come negli ultimi anni la percentuale dei titoli del debito pubblico italiano posseduta da soggetti “non residenti” sia scesa dal 40% al 30% più o meno, e continui a scendere. Quindi, ci suggerisce: di che ci preoccupiamo?
Formalmente è vero. Però a me piace la sostanza che si cela dietro alla forma e all’apparenza, e ho il viziaccio di andare in giro a curiosare, di pormi domande alla ricerca di quella sostanza.
- Banca d’Italia detiene grosso modo 3-400 mld di titoli di stato italiani (quasi il 20% del totale!), che ha acquistato in buona parte da soggetti esteri (e non residenti), durante le operazioni di quantitative easing. Come la vogliamo considerare, oggi, Banca d’Italia che, di fatto e di diritto, è una agenzia della BCE, e che ha perfino il divieto di prestare soldi allo Stato italiano? Che, se anche volesse, non potrebbe anteporre gli interessi degli italiani alle “istruzioni” vincolanti di Francoforte?
- BNL è interamente francese, ma risiede in Italia. Unicredit (dati del sito istituzionale) è controllata da fondi esteri. Intesa, poco ci manca. Come li “classifichiamo” i titoli nei portafogli di quelle banche? Se invece di usare il criterio della residenza, usassimo quello della “proprietà o del “controllo”, come cambierebbe quel 30%?
Io direi questo: oggi le informazioni statistiche sono “pensate” per gli specialisti (guarda caso, esattamente come per i titoli di stato, che, come abbiamo spiegato nella conferenza, sono “pensati” per gli operatori “specialist”). Un povero cittadino non si può orientare con facilità! Si direbbe che certe informazioni che contano non sono pensate per i semplici. Io ho una laurea, ed ho esperienza. Non mi vergogno mica di dirvi: ho difficoltà a trovare dati “certi”. E questo è un male, grave, per tutti.
La BNL, per fare un esempio, che ha residenza in Italia, se dovesse trovarsi in una situazione di conflitto di interessi fra l’interesse pubblico italiano, e gli interessi degli azionisti francesi, da che parte farebbe pendere la bilancia, secondo voi? Come è classificata? Io, per togliere ogni dubbio (ma anche per risolvere alla radice molti altri problemi importanti), la farei ricomprare dallo Stato italiano. Che ne pensate?
Secondo te, semplice cittadino, che nella mente degli specialisti plurilaureati sei ingenuo e ignorante proprio come me, e quindi non meriti certe informazioni “specialistiche”, è importante o non è importante sapere, almeno con buona approssimazione, a quanto ammonta, esattamente, il debito estero? Quello che, per una ragione o per l’altra, il nostro paese ha contratto nei confronti di soggetti esteri? Può far comodo a qualcuno, la confusione o, magari, la nostra ignoranza?
Se vogliamo prenderci le nostre responsabilità, come possiamo non sapere, non essere informati? È importante per me il tuo pensiero, che io rispetto perché pari al mio. Pari, perché come me sei divino nella visione dello spirito, e come me sei sovrano, nella visione della Costituzione che ci unisce.
Non ritieni, con me, che sia arrivato il momento di chiedere a gran voce, ai nostri rappresentanti in Parlamento, che le Autorità competenti (Banca d’Italia, Istat, Ministeri) cambino registro, ed inizino ad elaborare e pubblicare con ben altro linguaggio le informazioni che contano, visto che queste Autorità le paghiamo noi, per servirci? Io sono un po’ stanco di dover rimanere con dubbi amletici, mentre è permesso poi ad un “esperto qualunque” di vantare “capacità interpretative” tutte da dimostrare, usate con disinvoltura per tacitare le voci più scomode. Magari, anche i giornalisti potrebbero dare una mano. Lo fanno? Ce lo dite chiaro e tondo, per cortesia, Autorità e giornalisti, ed in maniera ufficiale e incontestabile, con cadenza almeno trimestrale, a quanto ammonta il debito che l’intero paese deve rimborsare a soggetti esteri, indipendentemente dalla loro residenza? Grazie. Se non altro, per rassicurarli, i creditori stranieri: non vedete che si innervosiscono, se li ignoriamo?
Rappresentanti nel Parlamento, per cortesia, la scrivete una legge sulla trasparenza delle informazioni statistiche, che obblighi le Autorità a fare il loro dovere in maniera più consona al bisogno irrinunciabile di conoscenza chiara, accessibile ed elementare dei fatti importanti per la vita della nostra comunità? Grazie.
Torniamo un attimo sul grafico che ci propone Andrea, per evidenziare una circostanza importante; anzi, una carenza che è grave: non c’è il dato puntuale, in quel grafico; non c’è il fatto che cerchiamo! Come facciamo a sapere quanto è questo benedetto debito pubblico in mano a non residenti? In quel grafico c’è solo la rappresentazione dell’andamento percentuale. Facci caso: accade spesso. Perché tu, cittadino che devi rimanere ignaro ed ingenuo, è meglio che la ignori, la dimensione reale dei fenomeni, perché potresti spaventarti. Accontentati delle “percentuali e degli “andamenti”!
Dire: “meno del trenta percento” è quasi rassicurante. Ma, bada bene: il 30% di 2.000 (totale titoli di stato italiani in circolazione) è pari a 600 miliardi. Sono tanti o pochi? Preoccupanti o meno? Se sei in dubbio, invece di andare a “buttare la pasta”, disinteressandoti del tema, come esplicitamente ci consiglia Andrea, proviamo a fare mente locale sugli ordini di grandezza.
Nell’estate del 2011, pare, la Deutsche Bank ha venduto 7 (sette) miliardi di euro di BTP, titoli di stato italiani; sembra che lo abbia fatto senza avvisare nessuna autorità, come dovuto, né tantomeno Parlamento e Governo italiano (sai, per discrezione), mentre acquistava più o meno contemporaneamente 1,4 miliardi (un miliardo e quattrocento milioni) di derivati, che scommettevano sulla salita dello spread italiano. Nelle settimane successive lo spread, guarda caso, è esploso fino a quota 550, entrando prepotentemente a sconvolgere le nostre vite (e a far cadere un Governo eletto). Bada bene: fino ad allora, prima di assurgere all’onore delle prime pagine, lo Spread viaggiava tranquillo su due cifre, (10, 30… 50… e da anni). Nell’immaginario collettivo non era mai esistito, e neppure sui giornali che fanno opinione.
Ora, domandiamoci: se 7 (sette) miliardi sono ritenuti talmente capaci di far impazzire lo spread da giustificare una indagine giudiziaria, come infatti c’è stata, cosa possono provocare allora 600 (seicento) miliardi, in mani sbagliate? Rimani davvero ancora tranquillo, di fronte a quel “meno del 30%”, così come Andrea ti suggerisce, invitandoti, ancora esplicitamente, a non “ingoiare l’idea che anche il 30% sia troppo”? E se poi, lasciando da parte la “non residenza”, occupandoci della sostanza, dovessimo accorgerci che la cifra potrebbe essere ancora più grande?
Tranquilli, distratti, al mare, d’estate: così ci vogliono gli esperti. Che tanto a noi ci pensano loro.
Veniamo ora alle cose importanti.
2) Andrea contesta con virulenza, cercando di negarla integralmente, la differenza fra risparmio e investimento.
Attenzione. la differenza tra risparmio e investimento è nel cuore e nel titolo della conferenza, e non a caso. Andrea non riesce proprio a vedere che un cittadino risparmiatore e un investitore professionista, sono due cose ben diverse, come l’intenzione di risparmiare e l’intenzione di investire. Ancora, che ci sono prodotti adatti a certi bisogni, dei risparmiatori, e prodotti adatti ad altri bisogni, degli investitori. Ci ammonisce, scatenato, con queste sue parole:
Merita sottolineare quanto fittizia sia questa la distinzione fra risparmio e investimento. Non esiste. Ogni euro risparmiato è investito. Anche quello messo sotto il materasso… è investito male, e ha un rendimento negativo (inflazione, umidità e roditori vari …) ma è investito anche quello. […] ma anche il più tonto, se informato, preferisce a parità di rischio tassi di interesse più alti […] Nella mente di Grossi c’è invece l’idea che il risparmiatore sia un bonaccione semi-ignorante al quale basta non perdere soldi […] Insomma, l’investitore italiano è scemo, perché accetta qualsiasi rendimento gli imponga il governo.
(ricorda, lettore, di leggere per intero il pezzo dal quale io ho estratto qua e là. Si dice: contestualizza. Importante, perché fuori dal contesto in cui nascono, frasi e parole possono assumere significati diversi).
Nella mia testa di persona ignorante, questa differenza fra risparmio e investimento finanziario invece è importantissima. Ci cambia la vita. La confusione ha scatenato guerre, in passato, e non in senso metaforico.
Solo l’ossessionante ricerca del rendimento “preteso” dal capitale, quasi fosse un diritto “naturale”, pretesa che nel mondo della finanza è oramai totalmente slegata dalla ricchezza materiale che si produce nei campi, nelle fabbriche e nelle imprese, può impedire di vederla, questa differenza. Suggerisco ad Andrea di porsi molto seriamente la domanda: “che senso ha un rendimento del capitale che non corrisponde alla produzione di nuova ricchezza reale?”
Un cittadino risparmiatore è essenzialmente un cittadino cha fa magari l’idraulico, il professore universitario o il guardiano notturno. Casualmente, ma in Italia accade spesso, questo cittadino è anche un risparmiatore. È preoccupato dell’incertezza crescente sul futuro della vita propria e dei propri figli. Per questo risparmia. È disperato per l’evidente incoscienza con la quale il mondo della finanza, che ha imbrigliato la politica, riesce a chiudere gli occhi sui bisogni delle persone. È offeso dall’evidente intenzione di pochi di continuare ad accumulare una ricchezza che è di carta, fatta di strumenti derivati incomprensibili, di crediti inesigibili, fatta di miliardi e centinaia di miliardi e migliaia di miliardi che oggi compaiono dal nulla e domani, misteriosamente, si bruciano e scompaiono, sugli stessi mercati, nascosti nelle viscere misteriose dei computer che gestiscono i mercati finanziari, con i giornalisti che ce ne danno notizia di prima mattina, quasi che fosse la cosa più importante del mondo mentre noi, comuni mortali, i pochi euro che ci servono per vivere stentiamo a procurarceli con un onesto lavoro, alla luce del sole.
Se è di “follia collettiva, che vogliamo parlare, parliamone, a viso aperto.
Confesso: se fossi rimasto a giocare a quel gioco, che incanta, non avrei mai potuto vedere, come vedo ora, gli esseri umani, con i loro problemi e le loro preoccupazioni, né avrei potuto scoprire la mia, di umanità, che è la stessa di tutti, fragile, quanto stupenda, accecato com’ero da quelle potenti illusioni! Ti garantisco, Andrea: c’è un mondo meraviglioso, qui fuori.
Dentro quel mondo, invece, fatto di ricchi investitori, fatto di derivati, titoli, algoritmi complessi, banche più grandi degli Stati, di mercati dei capitali, dove la responsabilità è messa fuori perfino dalla struttura societaria e le persone diventano prigioniere del “pensiero del capitale”, intento ad accumulare sé stesso, si rischia di perdere il contatto con la realtà. Prigionieri di quell’incantesimo, la circostanza che una persona possa non essere attratta dall’idea di fare soldi con i soldi sconcerta, sorprende, stupisce, diventa inconcepibile, mette paura e diventa “follia”, e finisce per scatenare reazioni scomposte, che non si addicono ad un professore universitario.
Eppure siamo tanti, e siamo veramente “normali”, noi che al mondo vellutato e sfavillante della finanza preferiamo il mondo reale. Lo preferiamo, per quanto possa apparire duro, perché qui, mentre produci la ricchezza vera, se ti interessa, e te la produci con il sudore della fronte, incontri persone semplici, e vere. Ed è impagabile. Vedi perfino uno Stato che non è più il tuo nemico, ma un tuo alleato. Ti accorgi che i tuoi interessi e quelli dello Stato, che siamo tutti noi, coincidono, si incontrano, e si rafforzano. E ti rendi conto, con immediatezza, del perché questo Stato appare tanto minaccioso a chi vive facendo soldi con i soldi, sui mercati dei capitali, o facendo soldi vendendo idee, in quelle università e nei media che questi mercati rispettano ed idolatrano.
Dov’è dunque, la follia? Torniamo alle differenze. Forse, ora, meglio visibili, osservate da una diversa prospettiva.
Un investitore istituzionale è un professionista. Sceglie, professionalmente, come impiegare il risparmio, che quasi sempre non è il suo: gli è stato affidato, appunto, da un risparmiatore. Fermati, e rifletti: lo vedi, nella realtà, che un soggetto “risparmia”, ed un altro soggetto, che è diverso, “investe”? E, per di più, investe il risparmio del risparmiatore? Sono cose molto diverse, fatte da soggetti diversi, che perseguono scopi diversi, con diverse spinte motivazionali. A me sembra evidente.
Ma non è solo Guido, a pensarlo! Magari oggi Guido è fra i pochi che, oltre a ricordarlo, lo gridano. L’umanità intera l’aveva ben chiara, questa diversità, questa differenza sostanziale, verso la metà del secolo scorso. Lo aveva ben chiaro nel 1933, quando ha scritto il Glass Steagal Act, in America, o la legge bancaria italiana del ’36, e tante altre simili, nel mondo, che dicevano tutte, più o meno, nella sostanza, la stessa cosa: da una parte le banche commerciali, che intermediano il risparmio dei cittadini con gli investimenti degli imprenditori (roba seria, economia reale) e dall’altra le banche d’affari, a giocare con investimenti in titoli e derivati, ma con le mani legate dietro la schiena, questa volta, in punizione, visto che gli eccessi di quei giochi avevano scatenato, negli anni venti, follie speculative, e subito dopo la Grande Depressione che, si dice, abbia spalancato le porte ai nazionalismi, ai nazismi e, pochi anni dopo, alla follia della guerra mondiale.
Attento, ancora. Nel concetto (organizzativo) della intermediazione creditizia, che purtroppo non esiste più, da decenni, si possono vedere posizioni e responsabilità chiarissime:
- Io sono il risparmiatore che porta il suo risparmio in banca e se ne può disinteressare.
- La banca sceglie l’imprenditore al quale presta quei soldi ed è responsabile della scelta: se l’imprenditore fallisce, è la banca che paga, mica il risparmiatore. Tu banca scegli, tu paghi, se sbagli. Io risparmiatore non c’entro.
- L’imprenditore investe nell’economia reale. Se è bravo o non è bravo, non è un mio problema: se la vede lui con la banca.
Patti chiari, amicizia lunga.
Oggi, con la disintermediazione creditizia, che risulta perfino incentivata dalle regole “prudenziali” sulla “adeguatezza patrimoniale”, pensate a Basilea e recepite nelle normative di mezzo mondo, tutto si confonde, a partire dalle responsabilità. E, nella confusione, tutti diventano nemici (è la competizione, bellezza!). Vediamo.
- Il risparmiatore porta il suo risparmio in banca ma la banca non lo vuole. Gli propone, invece, di acquistare, con quei soldi, un “prodotto per l’investimento” (che, strano a dirsi, non è mai un titolo di stato). Questo, Andrea, lo possono testimoniare milioni di clienti italiani, e non solo. Ma sono ben sicuro che lo sai anche tu, come lo sanno perfettamente tutte le banche straniere che vengono ad investire in Italia: vengono per prestare soldi alle nostre aziende? O, piuttosto, per vendere prodotti ai risparmiatori italiani, con il fine di “estrarne valore”? Che si dice, a riguardo, da quelle parti, nelle università? Che c’è scritto nei business plan di quelle banche che studiano come venire a comprarsi le banche in Italia?
- Io che ho comprato un prodotto per l’investimento, mi sono comprato un rischio. E sto finanziando qualcuno, che non conosco. Me ne sono reso conto? Ce ne siamo resi tutti ben conto, sì o no? Le Autorità, lo hanno capito?
- Tu banca, ti sei sfilata. Nel tuo bilancio non c’è nessun rischio (se non quello “legale” e “di immagine”), ma rimangono belle commissioni. Potrebbero rimanerci perfino un po’di margini, magari nascosti nel prezzo del prodotto che mi hai venduto. Come faccio a misurarlo, quel prezzo? Io che non ho gli strumenti? Le Autorità, che fanno?
Approfondiamo, che il tema merita attenzione. Anche giudiziaria. Banca d’Italia e Consob, perse nei cavilli illeggibili di TUB e TUF, sembrano non preoccuparsi un granché.
Sebbene io risparmiatore abbia firmato carte illeggibili ed abbia giurato di aver capito che sto rischiando di brutto, ho una notevole difficoltà a rendermi conto che i miei soldi sono realmente finiti a finanziare l’impresa che una volta finanziavi tu, banca, ed ora mi chiedi di finanziarla io, perché a te non conviene più farlo.
Con quella firma, tu banca, credi di pararti il sedere, sul piano formale, pensando di avermi trasformato da un risparmiatore in un investitore. Ma la mia natura, ed il mio intendimento, non sono mica cambiati. Chi è questa impresa? Che ne so, io? Io mi fido, e firmo: me lo chiedi tu. L’avrai studiata tu, la sua situazione patrimoniale, o no? I suoi progetti, i suoi “business plan”, fatti da tanto power point e tanto marketing, e di executive summary ma poca conoscenza diretta, quella che una volta era solida e chiara. Sbaglio? La conosci tu, o la conosco io, questa impresa? Famo a capisse! (a volte, il dialetto, quanto è più chiaro dell’inglese). E se poi dentro quel prodotto non ce n’è una sola, di impresa, ma tante, ma come faccio io che sono un idraulico o un medico, a studiarle tutte? Che dici, mi posso fidare della qualifica di eccellenza che gli hanno dato le agenzie di rating? E se poi, addirittura, non ce n’è più nessuna, di impresa, dietro a quel prodotto per l’investimento? Se c’è solo una scommessa, lì dentro, allo stato puro, che di algoritmo in algoritmo, di indice in indice e indici sugli indici, se l’è proprio scordato del grano che cresce nei campi, e della fatica che occorre per fare il pane, come faccio a capire? Chi ha scelto? Chi ha calcolato? Perché tu scegli ed io pago, quando tu sbagli? Perché la banca non lo vuole, il mio risparmio? Eh, bella domanda, non ti pare? Magari ne parliamo un’altra volta, che qui si apre un mondo troppo vasto per poterci addentrare qui ed ora.
Si, Andrea, ti capisco. Come si fa a non confondersi? Hai una buona attenuante, devo ammetterlo: s’è un po’persa, quella chiarezza che c’era una volta ed è durata troppo poco, non trovi?
La confusione di cui le norme avevano fatto giustizia negli anni trenta del secolo scorso, è tornata, silenziosamente, dopo pochi decenni di pace, di duro ma onesto lavoro, di boom economico fatto di impresa e infrastrutture, di economia reale e di diritti civili (oh, guarda, vanno di pari passo, la crescita dell’economia reale e quella dei diritti delle persone! e una volta, a sinistra, lo sapevano tutti…).
Ne hai sentito parlare anche tu, Andrea, del processo di liberalizzazione, lento e silenzioso che, lontano dai riflettori, ha portato le banche centrali ed il loro immenso potere fuori dal controllo della politica? E le banche commerciali a diventare private, sopranazionali, e abilitate a mischiare l’economia reale con la finanza speculativa? Spinte, perfino, da regolamenti tanto assurdi quanto ipocriti, a confondere il risparmio dei cittadini con l’ingordigia degli speculatori? Io quel processo l’ho vissuto da dentro. Era troppo lento, e paziente, e silenzioso per essere notato. Sono dovuto uscire, per poterlo osservare da altri punti di vista, nel suo insieme, e “vederlo”, finalmente, in tutta la sua assurdità. Non sono un genio, e neppure un eroe: ho avuto solo la fortuna di poter vedere le cose da tanti punti di vista. E la voglia di raccontare, quello che vedo e quello che penso. Perché ti spaventa? Perché mi offendi? Perché hai bisogno di “asfaltarmi”?
Vieni, disintossicati, scendi dalla cattedra, queste cose fanno male più a chi le fa che a chi le riceve. Per tua informazione, ho avuto bisogno di due anni di semi eremitaggio in campagna, per cominciare appena a disintossicarmi e a vedere il mondo, e l’umanità, in maniera diversa. Ci sono realtà meravigliose che posso consigliarti, quando ne avvertirai il bisogno. C’è Darsi Pace, che ti aiuta a guardarti dentro per capire meglio come è fatto il mondo là fuori e ti dà l’energia per cambiare tutto: dentro e fuori; c’è Aleph Umanistica con la sua ricerca infinita che ora sfocia in un progetto magnifico, di università popolare, dove nessuno parla ex cathedra, perché è pensata per i semplici; c’è Byoblu con le sue interviste, che offrono a tutti noi la possibilità di una opinione diversa, da confrontare con le news “ufficiali”, perché certe news che ci propinano giornali e TV controllate dai signori dei mercati, a volte, a noi comuni mortali, ci sembrano un po’ “fake”. Poi ti potrei citare un mondo intero, su internet e per le strade, nelle case, nelle associazioni che nascono come funghi e si cercano, si riconoscono, si incontrano, si toccano, si abbracciano, cercando di capire, e di vedere oltre lo squallore di una ricchezza di carta che ci porta lontano dalla ragione. Lontano dalle ragioni della mente, che ci illudiamo di dominare e, ancor di più, dalle ragioni dello spirito, che ancora non sappiamo ascoltare.
Ancora qualche pensiero prosastico, perdonami, ma è importante per tutti, capire. Quando un cittadino risparmiatore sceglie come impiegare il suo risparmio, ha un obiettivo chiaro e pregnante: deve proteggere il suo risparmio. Non te lo dico io, Andrea, credimi. Scendi per le strade, smettila di parlare solo con gli specialisti, frequenta le persone normali, fermale e chiedigli: “ma tu, il tuo risparmio, lo vuoi proteggere o lo vuoi mettere a rischio?”.
Devono essere persone semplici, però, non quelli ricchi ed un poco esaltati che frequenti tu, perché quelli sono già troppo confusi, troppo tentati dalla voglia di fare fortuna, e dall’illusione potente di poter “fare i soldi con i soldi”, come purtroppo il gatto e la volpe, nelle favole come nella realtà, ci spingono a credere, traendone, talvolta, beneficio.
Lo hai scritto tu, ed è vero: c’è una regola ferrea che non può essere mai violata. Non c’è rendimento che non comporti del rischio, ed è vera sui mercati finanziari, come nella vita. Escludendo, s’intende, la truffa. Perché ti contraddici? Perché sostieni che gli italiani che si accontentano di un basso rendimento siano “sciocchi” quando è così evidente e ce lo insegni tu, che, se non vogliono rischiare, si devono accontentare di un rendimento più basso, forzati da una legge inviolabile? Questo fa quadrare i conti, e permette di far incontrare gli interessi di tutti: lo Stato spende meno, e il risparmiatore è al sicuro!
Legge inviolabile, Tu lo sai bene. Ma magari lo scordi, a furia di convivere con certe allucinazioni che possono sempre arrivare, nel mondo della speculazione. Come quando si confonde il prezzo del derivato sul grano, che sale su un computer solo perché qualcuno lo compra (il derivato, mica il grano), con il grano che cresce nei campi. Non è forse questa una allucinazione che può far immaginare come superabili le leggi della natura e della fisica, dove nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto scorre?
Basso rischio, basso rendimento. Non si scappa. Ed è pure giusto e bello, oltre ad essere vero ed a far quadrare i conti.
Il nostro investitore istituzionale, o piuttosto il bancario allo sportello ed il promotore finanziario professionista, tutti chiusi nei loro freddi uffici, lontano dal contatto caldo della natura, non sono forse costretti da pericolosissime e diffusissime pratiche di mercato, che li premiano se vendono prodotti rischiosi anche a chi non vorrebbe rischiare, a fare cose che non vorrebbero fare?
Per quanto possa essere umana, una persona, spinta dalla coscienza a vedere il vero, e a fare il giusto, cosa speriamo che riesca a fare, quando è messa sotto quella tentazione che nel mondo spietato di oggi è diventata anche una minaccia, e neppure velata: “o chiudi gli occhi, ti adegui, e magari fai carriera e diventi ricco, oppure muori, professionalmente parlando”. Pochissime le scappatoie, le possibilità intermedie, che pure vengono continuamente ricercate da insospettabili persone eroiche, nel settore. Cercatele, sostenetele.
Dov’è allora la Repubblica, che siamo tutti noi, che in base all’art 47 della Costituzione, ci obbliga tutti a tutelare il risparmio? Confusa, anche Lei. Molto confusa! Nelle leggi e nelle organizzazioni. A me questa cosa fa imbestialire, non so voi. Ora mi spiego. Ma prima ci metto su una bella meditazione, per sbollire la rabbia.
Mentre le attività commerciali e le attività finanziarie sono mischiate pericolosamente nelle banche universali, ecco che risparmio e investimento tornano a separarsi nelle Autorità a presidio dei mercati e nelle norme che distinguono l’Attività Bancaria (nel TUB), dall’Attività Finanziaria, (nel TUF). Banca d’Italia, da una parte, a presidiare le attività bancarie di risparmio e prestiti, Consob dall’altra a tenere a bada Titoli e derivati, e i prodotti per l’investimento.
Ma come? Separi le norme e le Autorità di controllo, perché hai capito che la differenza c’è, ed è importante! Come è allora possibile che non ti rendi conto quanto sia sicuramente più importante, decisivo, risolutorio, intervenire alla radice e separare, una volta per tutte, direttamente le attività, ed i soggetti che possono svolgerle? Banche commerciali da una parte, con risparmio e prestiti, e finanza dall’altra, con titoli e derivati. Sempre ammesso che l’umanità non voglia piuttosto decidere, finalmente, di farne a meno, di titoli e di derivati… Magari! Un’altra volta ne parliamo.
La confusione genera mostri. I Testi Unici, non sono quello che un giurista si aspetta. Capisco che un diplomato del liceo classico o scientifico (esistono ancora?) non ci faccia caso: non si insegna il “diritto” nelle scuole dove si formano le classi dirigenti del Paese! Ma la parola dovrebbe avere un significato, ed anche il buon senso hanno la loro parte. Tu, legislatore, fai un testo unico quando le leggi sono diventate troppe e non ci si capisce più niente. Le metti allora tutte insieme, in un “testo” che diventa “unico”, e rendi un servizio alla nazione. Bene. Ti prego, diplomato italiano. Ma anche te, laureato in ingegneria o medicina o fisica quantistica: osserva di persona. Ci vuole poco e resta impresso per sempre.
Questo è il TUB, Testo Unico Bancario: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/intermediari/Testo-Unico-Bancario.pdf
E questo è il TUF, Testo Unico della Finanza: http://www.consob.it/documents/46180/46181/dlgs58_1998.pdf/e15d5dd6-7914-4e9f-959f-2f3b88400f88
Solo alcune righe da leggere, che ti segnalo, e poche pagine da osservare: basta il colpo d’occhio, ti assicuro, per capire l’unica cosa importante che c’è da capire. È una esperienza che ti consiglio di vivere di persona.
Tieni presente che sul frontespizio del Pdf scaricato dal sito di Banca d’Italia c’è scritto: “Versione aggiornata al decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 218”. Insomma, è la versione della “legge” in vigore, almeno così ti aspetti… Andiamo a vedere.
Dopo una ventina di pagine di solo indice, arrivi finalmente alla Legge, e trovi scritto questo: Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e successive modifiche e integrazioni Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (1)
Nella prima nota (1), prima ancora di poter leggere il primo articolo di legge, c’è scritto che… la chiarezza non ci può essere, in quel testo, che “unico” non è, e non è neppure una legge. Si legge infatti nella nota, scritta in piccolo, che quel testo che stai leggendo non è “la legge”: “(1) Testo coordinato, per finalità esclusivamente informative, con le modificazioni e integrazioni apportate con”, dove quell’apportate con si traduce nella bellezza di cinque pagine, scritte piccole e fitte, che riportano solo i riferimenti a tutte le norme che hanno modificato il Testo unico a partire da ‘93 fino ad oggi. Ognuna di quelle norme, a sua volta, è piena di riferimenti e richiami normativi, in un rimando senza fine, nei quali Giobbe s’è perso, ed era uno paziente.
La Banca d’Italia s’è presa la briga di scrivere un testo che “coordina” la legge del ‘93 con tutte le successive modifiche (quelle 5 pagine di rimandi), ma ti avvisa, scritto piccolo in una nota, ancorché sottolineandolo, che tutto quello che stai leggendo non è “la legge”, ma un testo con “finalità esclusivamente informative”.
Che vuol dire? Che se vuoi conoscere davvero “la legge”, quella che si applica nei tribunali (ma, ti garantisco, anche lì si confondono), devi studiare tutte le norme indicate, una per una, nelle cinque pagine di riferimenti normativi scritti piccoli piccoli nella nota. Auguri.
Detto per inciso: va a leggere i “Trattai consolidati” (concetto simile a quello di “testo unico”) e scopri la stessa, sconcertante filosofia: la Commissione europea fa la fatica di coordinare trattati scritti in tempi diversi, in lingue diverse, ma non si assume la responsabilità di una interpretazione autentica.
Chi scrive le leggi, oggi? Cosa è diventata mai la legge, se un cittadino laureato non può, materialmente, conoscerla, neppure se vuole? Non è forse in questa confusione fatta sistema, in questa incertezza pervasiva e onnipresente, che “dobbiamo fidarci” degli esperti, dei tecnici, degli specialisti, ci piaccia o non ci piaccia? Ma la fiducia è una cosa seria: a chi mai ci stiamo affidando, con evidente incoscienza?
Chi è responsabile di cosa, oggi, nel mondo? Questo è il livello della “trasparenza”. Fattela questa esperienza, lettore. Devi capire e vedere con i tuoi occhi. Resta impresso.
Ne vuoi un altro esempio? Proviamo. Banca d’Italia disciplina la “Trasparenza delle condizioni contrattuali” (fra cittadini e intermediari) con il Provvedimento del 9.2.2011 che integra il Provvedimento del 29.7.2009.
Sul suo sito, a questo indirizzo (https://www.bancaditalia.it/servizi-cittadino/cultura-finanziaria/informazioni-base/trasparenza-condizioni-contrattuali/) troviamo questa frase:
“La disciplina di trasparenza non si applica ai servizi e alle attività di investimento e al collocamento di prodotti finanziari aventi finalità di investimento, (nota bene: il neretto, qui come sopra, è di Banca d’Italia) quali ad esempio, obbligazioni e altri titoli di debito, certificati di deposito, contratti derivati, pronti contro termine… Le regole di trasparenza per i servizi, gli strumenti e i prodotti finanziari che hanno finalità di investimento sono infatti contenute nel TUF; la disciplina d’attuazione è emanata dalla Consob…
Quando ho letto che la disciplina della trasparenza non si applica ai prodotti per l’investimento finanziario, che sono quelli meno trasparenti e densi di pericoli, per non dire “potenzialmente truffaldini”, mi si sono drizzati i capelli! Sembra che la Banca d’Italia preferisca “sfilarsi”, almeno parzialmente, per lasciare la palla alla Consob, da quella che noi potremmo immaginare come una sua responsabilità: “tutelare il risparmio”. Lo può fare, nascondendosi dietro norme troppo confuse, dove nessuno è più pienamente responsabile di quello che fa.
La chiarezza, necessaria, sarebbe questa:
– un risparmiatore va trattato come tale; trovandosi in una inevitabile asimmetria informativa, rispetto agli intermediari professionisti, (traduci: che ravanello ne posso capire io di ste cose?) deve essere tutelato, protetto, dalla Repubblica, da tutti noi;
– il conflitto di interessi di chi è irresistibilmente tentato di trasformare un risparmiatore in uno speculatore incallito, va eliminato. Ti prego: non lasciarti confondere. Non può essere semplicemente “disciplinato, regolamentato, gestito, controllato”, non può funzionare. Va invece eliminato, alla radice. Le spinte motivazionali sono più forti di qualsiasi disciplina imposta, di qualsiasi regolamento illeggibile, di qualsiasi gestione improbabile e di qualsiasi controllo a posteriori, destinato ad essere inefficace, come storia ed esperienza insegnano. Come? Separando le attività bancarie da quelle speculative. In quel modo, e solo in quel modo, il giorno in cui entro in banca, lo saprò per certo: nessuno avrà il permesso, lì dentro, di propormi un “prodotto per l’investimento”. E se proprio ne avverto il bisogno, di speculare, per sognare di diventare ricco con la finanza, allora attraverso la strada, con atto responsabile, e decido io di entrare nel mondo affascinante dei “prodotti per l’investimento”. Esattamente come oggi, lo sappiamo, alcuni disperati entrano nei bar con le slot machine… sognando di diventare ricchi. Ma questo è un altro discorso.
Questa è la tutela che la Repubblica deve dare al risparmio. Come prescrive l’articolo 47 della Costituzione:
“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.”
Chiarezza cristallina, nella Costituzione, altro che TUB e TUF.
A proposito di TUF: Consob, se ci sei, batti un colpo. Invece di scrivere regolamenti illeggibili, prova anche tu a metterci il naso di persona, nelle cose. Entra dentro le formule dei prodotti per l’investimento, e raccontaci cosa ci trovi, se sei capace di capire davvero di cosa si tratta. Perché io, con la mia esperienza diretta, te lo posso testimoniare: ho la sensazione, nettissima, che nessuno, al mondo, possa avere le idee davvero chiare sul genere dei rischi che si trovano lì dentro. Neppure quelli che li strutturano, quei prodotti, che sono ingegneri, fisici e matematici iper specialisti e strapagati, possono davvero capirli. Può succedere, quando i bonus milionari ti fanno credere che sia possibile misurare il futuro con la matematica, e quando le leggi dello Stato ed i regolamenti internazionali sono talmente confuse che ti permettono di vendere quelle “misure” a un idraulico inconsapevole, ad un professore di fisica quantistica, o ad una vecchietta alle poste. Banca d’Italia, ritieniti coinvolta.
La mia opinione, sicuramente personale e opinabile, è che non ci sia una grande differenza, fra le ricette fatte di ali di pipistrello e code di lucertola, e le formule di certe strutture derivate infilate dentro, o al lato, di alcuni di quei prodotti. Ma io, lo sapete, sono ignorante.
Chi è responsabile di cosa, oggi? Banca d’Italia? Consob? Gli intermediari? Le banche universali? La Commissione europea? Sta a vedere che la colpa, come al solito, se le cose non vanno, è tutta del “risparmiatore, che s’è lasciato confondere… Pensi sia una battuta? Purtroppo, no.
L’idea che il risparmiatore sia responsabile delle scelte che fa è radicata. Non è forse vero che se sbaglia addirittura a scegliere la banca dove deposita (questo sì, ingenuamente) i suoi soldi, è bene che paghi di persona? Talmente radicata dentro il pensiero un po’ strano di certa cultura finanziaria, di cui è purtroppo imbevuta la Commissione europea, che si è tradotta, pari, pari, nelle norme sul bail-in. La banca fallisce, tu paghi, e perdi i tuoi soldi. Dicono che fino a 100.000 puoi stare sicuro, ma lo puoi credere solo perché le norme non le hai potute leggere bene: sono scritte in linguaggio tecnico, riservate agli specialisti, di cui dovremmo fidarci. Per evitare “il rischio sistemico”, all’occorrenza, esce da un momento all’altro un decreto d’urgenza, magari imposto dal MES che è venuto di corsa a “soccorrere” le banche italiane, che italiane non sono, ed ecco che 100.000 diventano 25.000, o 10.000. Chissà. E si prendono tutto, per legge. La coscienza se la mettono a posto convincendosi che è colpa tua, risparmiatore italiano, che non hai saputo sceglierti la banca giusta.
Vogliamo fare le cose per bene?
Mentre il Governo, con un decreto d’urgenza, può sospendere la procedura del bail-in, tanto per togliere a qualcuno la tentazione di affrettare il fallimento di qualche banca residente, chiediamo al Parlamento di intervenire in maniera un po’più strutturale. È tempo di Testi unici, ma quelli veri. Quelli che fanno tabula rasa di una legislazione illeggibile, che può diventare semplice e chiara. Come sempre deve essere una legge che sia giusta e utile, solo se è scritta da persone di buon senso comune: guai a farle scrivere dagli specialisti, queste cose.
È tempo di tagliare con l’accetta i grovigli di conflitti di interessi che si annidano nel sistema finanziarioche, infiltratosi a tutti i livelli nel sistema bancario, lo ha avvelenato. Quanto profondamente lo abbia avvelenato, lo si può vedere nei bilanci insostenibili delle banche di tutto il mondo. Di tutto il mondo, ricordiamolo. Il problema è lì dentro, non nelle banche italiane (che, ricordiamo anche questo, italiane non è detto che siano).
Spero che quanto detto fin qui sia sufficiente a fugare i dubbi di Andrea, sul motivo per cui gli italiani, secondo la sua opinione, “non vogliono” comprare titoli di Stato italiani.
Se ancora non è chiaro, aggiungo una cosa per tutte: le direzioni delle banche, private e spesso straniere, vietano ai propri dipendenti di offrire titoli di stato alla propria clientela. Non ci credi? Che dici, ci accontentiamo di quello che ci suggeriscono gli esperti, in materia, o vogliamo chiedere ai “semplici” dipendenti italiani che lavorano nel settore, se sono disposti a testimoniarlo?
Nel dubbio, una bella Commissione d’inchiesta parlamentare potrebbe aiutarci a fare chiarezza.
3) Altri dubbi di Andrea, che ci avverte: per vendere Bot e CCT ai risparmiatori italiani, facciamo salire il costo per lo Stato; inoltre, accorciando la durata, aumenterebbe il rischio di non riuscire a coprire il debito in scadenza.
Vogliamo chiederlo direttamente ai risparmiatori italiani? Quelli che “non esistono”, se preferiscono speculare comprando quei “prodotti per l’investimento”, nella speranza di guadagnare di più, o piuttosto se si accontentano di un tasso di interesse che (sembra) un poco più basso, ma intanto è onesto e trasparente e ti consente di mettere il risparmio al sicuro?
Al sicuro:
- Comprando un titolo di stato “pensato” per andare incontro ai loro interessi;
- Depositando il proprio risparmio presso una banca pubblica, garantita dallo Stato;
- Perfino in un conto aperto con il Tesoro, che taglia alla radice il problema della confusione che oggi regna nel mondo bancario, e il bisogno di usare “titoli”.
Lo Stato siamo tutti noi: se ce ne ricordiamo, e gli stiamo vicino, ma anche col fiato sul collo, ci difende dai prepotenti. Se ce ne scordiamo, diventa strumento in mano ai prepotenti: dipende da noi.
Io (e non solo io) auspico questa composizione dei titoli del debito pubblico:
- CCT a 7 o 10 anni che offrono un rendimento in linea con l’inflazione potenziale. Servono al Tesoro per gestire la durata del portafoglio, mentre garantiscono al risparmiatore la tutela piena del suo risparmio. Possiamo dire che il CCT (n.b.: non i CCTeu, ma non voglio qui entrare nel tecnico), rappresentano il titolo di stato più costituzionale che si possa immaginare: perfettamente in linea con l’art 47!
- BOT a 3, 6 e 12 mesi che, in cambio della flessibilità concessa al risparmiatore, offrono un rendimento di poco più basso di quello dei CCT;
- pochi BTP, per obiettivi specifici, con rendimenti superiori all’inflazione.
Un portafoglio del genere abbassa drasticamente il costo complessivo per lo Stato rispetto alla composizione attuale (oltre a donarci la libertà, che nella testa di chi si occupa di finanza, sembra non avere valore).
Nota bene: scende anche, e di sicuro, il tasso che conta: il tasso “reale”, quello al netto dell’inflazione. Magari un giorno ci torniamo, su questo argomento del tasso reale, della necessità di gestirlo, che è importantissimo, ma un po’ lungo. Intanto, se ci muoviamo in quella direzione, il tasso di interesse comincia a scendere, assieme allo spread.
P.s.: a chi ti mette la pulce nell’orecchio e ti sussurra: non ti fidare dello Stato, che può fallire, rispondi a voce alta: “lo Stato siamo tutti noi e, non possiamo fallire, perché siamo fra i migliori al mondo… e siamo ricchi, fra i più ricchi al mondo”.
4) Due parole sulla legge della quantità dell domanda di titoli di stato italiani, che più è alta e più fa scendere i rendimenti, quindi i costi per lo Stato. Secondo Andrea, l’avrei ignorato.
Forse sono stato frainteso (o, forse, confesso, in qualche momento di rabbia l’ho anche pensato), ma l’obiettivo delle proposte contenute nella conferenza non è quello di “cacciare i cattivi investitori professionisti stranieri”. Non sono loro, oltretutto, i “cattivi”. L’obiettivo che è stato proposto da tutti i partecipanti alla conferenza, ed è bene chiarirlo, è quello di mettersi in condizione di “non dover dipendere” dai “capricci dei mercati”, purtroppo assecondati da un insieme di regole sopranazionali che sono poco chiare, nell’immaginario collettivo, e che finiscono per esacerbare quei condizionamenti. Se gli investitori istituzionali professionisti di tutto il mondo vogliono comprare anche loro i nostri titoli, però alle condizioni “gestite” e controllate dal nostro Governo, ben vengano: siamo generosi, noi italiani.
Per non “dipendere”, è sufficiente avere delle alternative, e lo si fa rivolgendoci ad altri soggetti che ora, purtroppo, sono esclusi. E non per loro scelta. È infatti rivolgendosi alla massa enorme dei risparmiatori italiani (che qualcuno si sforza di nascondere alla nostra vista) che si aumenta la domanda complessiva! E quindi, come giustamente ci viene ricordato, scendono i tassi, ed il costo per lo Stato.
Breve ripasso: perché i risparmiatori italiani oggi sono esclusi?
- perché i titoli adatti alle loro esigenze (BOT e CCT) hanno avuto rendimenti negativi;
- (che è sempre più grande di 1) perché gli intermediari finanziari hanno un interesse oggettivo, ma illecito, a non farglieli neppure conoscere, i titoli di Stato, ai risparmiatori che non esistono.
Facciamo chiarezza, portiamo la luce dove c’è oscurità, e complicazione inutile, e la domanda esplode.
5) Ultimo pensiero di Andrea: l’Italia ha “bisogno strutturale” di debito estero, perché “non ha risorse” e “non ha risparmio”.
Questa che ci hai lasciato intendere, Andrea, è una falsità di cui ti dovresti rendere conto, e vergognare.
Magari ti confondi sul concetto di “risorsa” e magari, orientato come sembri verso l’America, conosci poco gli italiani, e le loro capacità che sono le vere “risorse”. Magari sei poco informato sulla quantità del nostro risparmio, e qui ti consola la scarsa chiarezza nei dati ufficiali, non lo so. Magari sono solo io che ho male interpretato le tue parole e, ti giuro, mi sarebbe di enorme sollievo scoprirlo, perché mi fa stare veramente male l’idea di un italiano che disprezza il proprio paese. Penso anche che, se ti dovessi rendere conto che è vero che disprezzi il tuo Paese, o lo conosci poco, potresti star male – e molto – anche tu. Forse, scoprirlo ti aiuterebbe a scendere dalla cattedra, per scegliere di venire in mezzo a noi.
Riporto la frase, per intero e non la commento, lasciando ognuno libero di farsi un’idea.
“Concludo con un punto che forse è fuori tema, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho sentito, all’inizio del video, l’affermazione che gli italiani sono pieni di risorse. Grossi pensava a risorse finanziarie per coprire il debito pubblico, ma subito ho pensato alle risorse naturali, che l’Italia non ha. L’Italia ha cominciato ad arricchirsi negli anni ’50 quando le prime comunità europee hanno permesso agli italiani di commerciare con il resto dell’Europa. Il primo accordo si chiamava CECA, comunità europea per il carbone e l’acciaio: ci permetteva importare carbone, ferro, trasformarli ed esportare acciaio. Un paese senza risorse naturali questo può fare: importare, trasformare, e rivendere. Aprendoti ai mercati internazionali lo fai in modo più vantaggioso per tutti, ma questo vale anche per il debito e i prodotti finanziari: importi risparmio che non hai e paghi meno interessi per il finanziamento del tuo, purtroppo enorme e crescente, debito.”
L’unica cosa che viene in mente a me, e che non posso non dire, è il rinnovato appello alle Autorità, a partire dal Parlamento: fate in modo che le cose “vere” si sappiano, e che siano chiare e diffuse.
La verità è rivoluzionaria
Lascia un commento