di Maurizio Franzini e Michele Raitano
In Italia negli ultimi tre decenni la disuguaglianza tra redditi di mercato è cresciuta enormemente, causata da deregolamentazione dei mercati dei capitali e delle forme contrattuali, tolleranza verso i monopoli e decrescente attenzione verso la cruciale questione dell’eguaglianza delle opportunità. Se si vuole combattere la disuguaglianza bisogna prendere seriamente le politiche pre-distributive.
- Per comprendere a fondo le cause della disuguaglianza bisogna guardare alla pre-distribuzione: quella disuguaglianza che si genera nei mercati del lavoro e dei capitali prima dell’intervento redistributivo dello stato.
- Negli ultimi tre decenni le disuguaglianze tra redditi di mercato in Italia sono cresciute enormemente.
- Per combattere sul serio i divari sociali e migliorare la crescita bisogna rivedere una serie di scelte politiche che vanno dalla deregolamentazione dei mercati e la decrescente attenzione verso la cruciale questione dell’eguaglianza delle opportunità.
Circa dieci anni fa un politologo americano, Jacob Hacker, scrisse un articolo (The Institutional Foundation of Middle-Class Democracy, Policy Network, 2011) in cui sosteneva che per comprendere a fondo le cause della crescente disuguaglianza nei redditi occorreva guardare a quella che chiamava pre-distribuzione.
Si tratta, in breve, della disuguaglianza che si genera nei mercati, (del lavoro e dei capitali) e che si rileva nei redditi misurati prima dell’intervento redistributivo dello stato realizzato attraverso le imposte e i trasferimenti. Il termine usato da Hacker era nuovo ma non lo era il concetto che esprime; tuttavia, è suo merito aver ribadito quanto importante sia prendere sul serio la pre-distribuzione. Lo è per una più accurata analisi delle caratteristiche e delle tendenze della disuguaglianza nonché per individuare le politiche più appropriate per fronteggiarla.
Il divario nei redditi di mercato
Analizzando i dati sulla disuguaglianza nei redditi di mercato in Italia negli ultimi tre decenni emerge che questa disuguaglianza è cresciuta in modo enorme: partendo da livelli relativamente bassi nei primi anni Novanta siamo oggi uno dei paesi con la più elevata disuguaglianza nei redditi di mercato.
Questa enorme disuguaglianza aggiuntiva generata dai mercati si è tradotta solo in piccola parte in disuguaglianza nei redditi disponibili. Infatti, al di là dei suoi limiti, l’azione redistributiva dello stato –attraverso imposte dirette e trasferimenti monetari di varia natura – è stata efficace nel contrastare la crescita delle disuguaglianze. Va, però, detto subito che il maggior impatto lo hanno le pensioni, un tipo di trasferimento il cui effetto redistributivo può essere più apparente che reale. Le pensioni, infatti, rappresentano soprattutto, un trasferimento di risorse fra fasi di vita.
La crescita della disuguaglianza di mercato non è, però, un fenomeno solo italiano. In un recente contributo Piketty con un gruppo di collaboratori confronta su un lunghissimo orizzonte temporale Francia e Stati Uniti prestando attenzione alla disuguaglianza di mercato e a quella nei redditi disponibili e conclude che quest’ultima è minore in Francia perché in quel paese la disuguaglianza di mercato è stata sempre più contenuta, ancorché in crescita negli ultimi decenni. L’attenzione per la pre-distribuzione da parte di uno studioso che nel suo libro di straordinario successo, Il Capitale nel XXI secolo, l’aveva di fatto trascurata va accolta positivamente.
Le politiche della disuguaglianza
La tendenza a crescere della disuguaglianza di mercato non dipende da forze misteriose: in larghissima misura è il frutto di politiche, nazionali e sovranazionali, che hanno favorito, forse anche in modo non intenzionale, l’affermarsi di questo fenomeno. Per citarne alcune: la liberalizzazione senza limiti dei movimenti dei capitali; la deregolamentazione del mercato del lavoro; la tolleranza di forme di monopolio nei mercati rafforzata dal regime estremamente protettivo della proprietà intellettuale, anche di fronte al progresso tecnico; la tolleranza verso le rendite finanziarie permesse da mercati scarsamente regolamentati e la decrescente attenzione verso la cruciale questione dell’eguaglianza delle opportunità. In vario modo queste politiche hanno contribuito ad ampliare i divari tra i redditi guadagnati nei mercati, siano essi da lavoro o da capitale.
E lo hanno fatto impedendo la crescita dei redditi più bassi e favorendo la crescita dei redditi più alti che non sono soltanto quelli da capitale o da rendita finanziaria, come in passato, ma anche quelli da alcune forme un po’ speciali di lavoro (top manager e non solo) che hanno tratto vantaggio dalla tolleranza dei monopoli e dall’indebolimento della forza contrattuale del lavoro più tipicamente tale.
Gli effetti di queste politiche sulla disuguaglianza di mercato non si sono affatto esauriti e rischiano, anzi, di manifestarsi con rinnovato vigore nell’economia post-pandemica, in assenza di chiari interventi correttivi sul funzionamento dei mercati. Uno sguardo alla situazione dell’ultimo decennio mostra che sono pochissimi i paesi occidentali in cui la disuguaglianza di mercato non è cresciuta e, soprattutto, che senza riduzione della disuguaglianza di mercato è praticamente impossibile ridurre la disuguaglianza nei redditi disponibili, anche a causa della crescente opposizione verso misure fortemente redistributive (al di là di quelle rivolte a dare un sostegno minimo ai poveri).
Vantaggi per crescita e bilancio
Occorrono, dunque, politiche pre-distributive, di segno opposto a quelle introdotte negli scorsi decenni e che hanno prodotto l’esito di cui si è detto. Politiche che migliorino le dotazioni (anche di capitale umano) di chi ne è sprovvisto; rafforzino la posizione dei lavoratori nella contrattazione e nei mercati (ad esempio, con un salario minimo ben disegnato e eliminando le forme contrattuali più precarie); limitino il potere di monopolio che si traduce anche in potere di contrattazione dei manager all’interno delle imprese. Anche nella scelta delle più idonee politiche redistributive si potrebbe considerare la loro capacità di avere effetti pre-distributivi, modificando incentivi e equilibri dei mercati. Ad esempio, l’aumento delle aliquote marginali potrebbe attenuare l’incentivo alla ricerca di rendite e super-retribuzioni.
Scegliere la strada delle politiche pre-distributive non è certo facile, anche considerando il ritardo di riflessione accumulato su questo tema. Ma appare necessario. Ed è così anche per altre ragioni. Ad esempio perché a parità di disuguaglianza nei redditi disponibili la crescita economica è maggiore dove la disuguaglianza nei redditi di mercato è più bassa e, inoltre, la pre-distribuzione non crea aggravi per il bilancio pubblico. Infine, se la pre-distribuzione incontra ostacoli politici forse non ne incontra meno una seria politica redistributiva. Dunque, se si ritiene che la disuguaglianza sia un problema, occorre prendere la pre-distribuzione molto sul serio.
Lascia un commento