di Alberto Bradanini
Ieri 26 marzo, con il dissenso italiano e spagnolo sul testo conclusivo, i 27 leader Ue hanno fotografato la frattura tra i paesi che avevano ingenuamente creduto nella nozione di Unione e quelli che hanno sempre concepito l’Europea come una giungla dove la legge del più forte è destinata a prevalere, incuranti a un tempo del benessere, della dignità e della vita stessa delle altre nazioni, che non sono né partner, né amiche. Quel che avviene in queste ore conferma d’altro canto il postulato empirico (sia concesso questo ossimoro) che i popoli sono generati dalle tragedie della storia e non certo da una qualunque Commissione o Eurogruppo.
Le istituzioni europee che starebbero cercando soluzioni al tracollo delle nostre economie a seguito del coronavirus, sono come noto: la Commissione, la Banca Centrale, Eurogruppo/Ecofin, il Consiglio e il Parlamento Europeo. A parte quest’ultimo, che non a caso non ha alcun potere reale, nessuna di esse risponde al principio di democrazia, non essendo responsabili di fronte ai popoli europei, ma solo a istanze tecnocratiche non-elettive o come la BCE ai mercati. Questo è il primo, pesantissimo deficit di questa creatura mitica che chiamiamo Unione Europea.
Alla riunione di ieri, Germania e satelliti (Austria, Finlandia e Olanda) hanno tentato di imporre il cosiddetto Meccanismo di Stabilizzazione, che è invero un meccanismo di destabilizzazione, un mostro giuridico-finanziario ideato per sottomettere i paesi impoveriti dall’introduzione dell’Euro e ora recalcitranti ad accettare il loro destino, per succhiarne la residua ricchezza a vantaggio dell’élite germano-centriche. Per ora l’Italia si è opposta suggerendo, invano tuttavia, l’adozione di uno strumento di debito comune, che nelle parole di Conte non dovrebbe nemmeno prevedere alcuna mutualizzazione del debito, e di cui ciascun paese continuerebbe a rispondere in prima istanza (Conte tuttavia non elabora come potrebbe l’Italia gestire un debito pubblico nel frattempo cresciuto a dismisura).
L’Eurogruppo avrà ora due settimane di tempo, tempo prezioso invero, per ideare qualche soluzione che provenendo dalla “Trilaterale” Bruxelles-Francoforte-Berlino possiamo profetizzare nasconderà di certo qualche trappola, trappola alla quale l’Italia deve essere pronta a opporsi, se non vuole ipotecare il benessere dei suoi figli e nipoti, oltre che la stessa residua libertà democratica.
Angela Merkel – che il clero mediatico italiano giudica singolarmente un leader moderato sui temi europei, pur avendo essa sempre sostenuto le mortifere politiche di austerità in ogni occasione, contro la Grecia a suo tempo, e ora contro Italia, Spagna e gli altri paesi cosiddetti pigs – cerca di acquisire benemerenze a buon mercato accogliendo qualche paziente italiano che non trova posto negli ospedali italiani ridotti allo stremo proprio dalle sue politiche. Mi auguro che gli italiani non si facciano sedurre dal sapore amaro di questo piatto di lenticchie.
Questa Merkel è la stessa che ha ieri proposto l’utilizzo del Meccanismo di Stabilizzazione, un percorso che con le condizionalità che equivarrebbe alla colonizzazione economica e politica dei paesi del Sud Europa. Si tratta in buona sostanza della continuazione – a distanza di 75 anni – della devastatrice politica di Hitler, con i mezzi odierni della finanza predatoria e con scarsa consapevolezza, questa sì misteriosa, degli stessi paesi che ne sono vittime.
Oggi le economie del vecchio continente sono sull’orlo del baratro. Il virus ha messo in ginocchio lavoro, produzione, assistenza sanitaria, libertà e sicurezza dei cittadini. I cosiddetti parametri di Maastricht, sono stati solo accantonati, pronti per essere reimposti dagli usurai nord-europei non appena la crisi sarà stata superata.
Ecco perché l’Italia deve cogliere questa occasione unica per muoversi in una diversa direzione, abbandonando l’illusione che basti modificare qualche marginale stortura della tecnocrazia dell’Ue, o di sostituire la Von Der Leyen o Christine Lagarde con figure meno vampiresche, poiché la patologia è collocata nell’edificio medesimo del processo europeo. Si tratta di un obiettivo che andrebbe perseguito sia da coloro che sono contrari a ogni genere di aggregazione europea, sia da coloro che sono a favore di un’Europa Confederale, e infine sia da coloro che – seppure meno realisticamente – si battono per un’Europa Federale. Una volta smantellato l’attuale assetto privo di democrazia e distruttore di benessere, allora ciascuno potrà battersi, facendo tesoro di questa tragica lezione, per i suoi obiettivi.
Va rilevato che nemmeno i cosiddetti e ora tanto agognati coronabonds/eurobonds sarebbero la soluzione. A parte la loro consistenza, ancora incerta, e che difficilmente sarà sufficiente a riparare i danni economici emergenti, essi costituirebbero in futuro un debito in valuta pesante per il paese che dovesse uscire dall’eurozona (di sua volontà o cacciato dai paesi nordici).
L’Italia dovrebbe dunque agire per suo conto – e a prescindere dalle decisioni che la Germania cercherà d’imporci tra 15 giorni – adottando subito quelle misure che possono mettere in sicurezza la nostra economia. Numerosi bravi esperti e studiosi del libero pensiero hanno esplorato alcune opzioni: l’emissione di CCF (certificati di credito fiscale), di minibot e soprattutto il salto di qualità, l’emissione di biglietti di stato a corso legale senza debito, sulla falsariga delle 500 lire di Aldo Moro negli anni ’60-’70, tutte iniziative che sarebbero pienamente rispettose persino delle norme europee. In particolare, i biglietti di stato a corso legale senza debito costituirebbero un salto quantitativo e qualitativo decisivo, consentendo allo Stato di creare tutta la moneta necessaria all’economia per riprendersi, senza dover gestire le obiettive complicazioni che un’eventuale uscita unilaterale dall’euro implicherebbe.
Gli ostacoli dunque sono altrove, e tutti nella mente dei nostri governanti, chiamati a una responsabilità storica per impedire la distruzione economica e materiale e la definitiva colonizzazione del paese da parte delle fameliche oligarchie tedesche. Il primo ostacolo è l’angoscia che Berlino e Bruxelles possano nutrire il sospetto che l’Italia non intenda onorare i propri debiti; la seconda è rappresentato dalla burocrazia del Ministero italiano dell’Economia e Finanze da sempre inspiegabilmente allineata al mantra tedesco-europeista; la terza è di natura psicologica, riconoscere che le speranze riposte da gran parte dei politici, economisti, intellettuali e accademici nell’euro e in quella chimerica struttura che chiamiamo Unione Europea, sono state mal riposte. La quarta infine, e forse la maggiore, è la seduzione dell’asservimento, vale a dire il piacere malsano dell’ideologia del vincolo esterno, l’ingiustificato convincimento che non riusciremmo mai a risollevarci con le nostre sole forze, quando è vero l’esatto contrario: il benessere costruito dall’Italia nei decenni prima dell’euro, e di cui l’Italia ancora gode nonostante le tragedie odierne, è dovuto solo ed esclusivamente al lavoro e all’ingegno degli italiani.
Con la riconquistata sovranità di emettere moneta (nella forma di biglietti di stato), che la legge italiana e gli stessi Trattati europei consentono, si potrà fare un mondo di cose. Innanzitutto, dare lavoro a milioni di disoccupati e sottoccupati e precari, tenendo amente che in ogni paese del mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, alla Svezia, il principale datore di lavoro è lo Stato. Ed era così anche in Italia fino all’arrivo dell’Euro, quando gli apparati pubblici hanno iniziato a sguarnirsi di personale e oggi languono esausti, con uffici e competenze svuotate. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: emigrazione qualificata di laureati e professionisti che contribuiscono a fare crescere altri paesi, degrado dei servizi sociali, a partire dalla sanità, abbandono del territorio, e non solo il Sud, privatizzazioni scellerate, industria strategica di Stato quasi scomparsa, e così via.
Il debito pubblico non rappresenta un ostacolo in un paese sovrano della moneta e che dispone di un’enorme riserva di lavoro come l’Italia e di sottoutilizzo della sua capacità produttiva, come insegnano storia e teoria economiche.
La classe dirigente deve solo accettare di aver preso un abbaglio a credere in questa Unione Europea, ed è giunto il momento di riconoscerlo, con coraggio morale e determinazione. Ma subito dopo aver riconosciuto questo errore, occorre agire, ma subito, non tra 15 giorni. Gli storici futuri collocheranno tra i giganti della storia coloro che oggi avranno il coraggio di risollevare le sorti dell’Italia, anche se qualche ignaro o assoldato contemporaneo dovesse perseguitarli.
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