di Giovanni Lazzaretti
Aggancio alla puntata precedente
Nella terza puntata siamo arrivati a concludere la prima fase dell’epidemia.
Indico il 2 giugno 2020 come data convenzionale di conclusione della prima fase: è la data delle riaperture, che tanta angoscia aveva portato a intellettuali dalle vedute limitate.
Nonostante avessero davanti le curve dell’epidemia che precipitavano verso lo zero, avevano paura.
Paura di persone dallo stipendio sicuro, che hanno vissuto la chiusura totale in ville o attici, e che discettavano su ipotetici rischi dello zero virgola zero, dimenticando l’economia devastata in tanti settori del paese.
Fotografiamo questa prima fase. E’ una immagine falsa. Ma è l’immagine meno falsa di tutte, rispetto a quelle che ci mostreranno le fasi successive.
La curva dei casi giornalieri, delle intensive giornaliere, dei morti giornalieri, hanno una loro coerenza.
Le curve dei casi e dei morti avrebbero bisogno di un grafico con media a 7 giorni per formare delle curve più “morbide”, ma non voglio esagerare, essendo questa una “piccola storia”.
Metto alcuni dati anche in tabella, per capire meglio.
20 giorni d’isolamento in media, 7 giorni di ospedale in media, 14% dei casi vanno a morire.
I casi sono quindi dei malati veri.
La cosa è abbastanza logica, perché i tamponi in questa fase vengono fatti essenzialmente in presenza di sintomi e quindi il materiale estratto è quasi certamente quello di un malato vero.
(Cito ancora lo “scollinamento” dei morti, avvenuto in coincidenza con la liturgia di Papa Francesco nella Piazza San Pietro deserta).
E’ un andamento coerente, ma, come dicevo, ugualmente falso.
Questa infatti non è la curva dell’epidemia.
E’ la curva di un’epidemia dove si è scelto politicamente (forse è il primo caso nella storia dell’umanità) di non curare i cittadini, se non in ospedale.
Ammalati tagliati fuori dalla medicina di base e lasciati in balia del male fino alla decisione “statistica”:
- in una certa percentuale ce la farai da solo
- in una certa percentuale andrai all’ospedale
- in una certa percentuale andrai in intensiva
- in una certa percentuale morirai.
Poi l’estate chiuderà, provvisoriamente, la partita.
Metto anche le tabelle per regione, per ricordare che la prima fase è essenzialmente un’epidemia lombarda, e in seconda battuta un’epidemia del nord.
Ricordo infine, come termine di paragone, il numero di morti in Italia nell’ultimo anno “normale”, il 2019: 634.417 morti, 1.738 morti al giorno.
Le cure negate
Quando il 14,42% dei casi si trasformano in morti, è evidente che non puoi attendere “grandi trials clinici che diano evidenze solide e incontrovertibili sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci utilizzati”.
C’è un metodo molto più semplice: «Quanti ne muoiono dalle vostre parti? Da me molto meno. Anzi, non ne muoiono affatto».
Con la violenta epidemia in corso, un registro di casi trattati, confrontato con l’andazzo nazionale, dà la certezza che qualcosa di efficace si può fare e va fatto.
Cito per la terza volta “quelli che hanno fatto qualcosa”, evitando di parlare ancora di De Donno al quale ho dedicato una puntata apposita.
Cesare Perotti: «Scorte di plasma iperimmune per 650 pazienti, in associazione con l’eparina, somministrata solo dopo aver dosato l’antitrombina III; Remdesivir, ma costa troppo; cortisone (desametasone) nei casi più gravi è eccellente; clorochina non ancora sdoganata, ma aspettiamo con fiducia».
Lorenzo Mondello: «Il gold standard della terapia della fase viremica è rappresentato dall’associazione del cortisone con l’antibiotico azitromicina; se è già scattata la seconda fase della coagulazione intravasale disseminata l’unico rimedio, almeno nelle fasi iniziali, è l’eparina, capace di bloccare la cascata coagulativa, assunta seguendo parallelamente una terapia antinfiammatoria che blocchi la causa».
Luigi Cavanna: «Cure a domicilio facendo ecografia del torace, tamponi, esami ematici, lasciando farmaci basati su idrossiclorochina, secondo linee guida aziendali e regionali, lasciando il saturimetro e poi in controllo in remoto. Con questo modello ho curato personalmente a casa oltre 300 malati, dei quali il 30 per cento con forme severe e un altro 30 per cento con forme moderate. Nessun morto a 30 ed a 60 giorni, ricoverati meno del 5 per cento».
Umberto Tirelli: «Protocollo messo a punto dalla Società Scientifica Ossigeno Ozono Terapia (SIOOT); è un ottimo trattamento contro il covid. Con l’ossigeno ozono terapia possiamo fermare l’epidemia. Possiamo prevenire la diffusione del virus, curare e guarire i malati di Covid e risolvere le patologie e i danni del post Covid. L’Ossigeno Ozono Terapia è un potentissimo antivirale e antinfettivo e funziona da immunomodulatore. Lo usiamo già per molte patologie e ora lo abbiamo usato in associazione al Remdesivir. Ma anche in associazione a cortisonici e eparina funziona. E’ un protocollo di autoemotrasfusione certificato, ma moltissimi medici non lo conoscono bene e non sanno neppure che cosa sia».
Pierluigi Viale: «L’antivirale che dà più garanzie è l’idrossiclorochina, un vecchio antimalarico che blocca l’ingresso del virus nelle cellule e ha già dato buona prova di sé. È l’unico antivirale che ha anche un’azione antinfiammatoria e quindi ha funzionato anche se usato in modo incongruo. Si è visto inoltre che i pazienti che prendono la clorochina hanno un’eliminazione più rapida del virus: somministrarla precocemente significa evitare la progressione della malattia in una quota di pazienti e ridurre il tempo in cui questi pazienti sono contagiosi. È un presupposto teorico molto bello supportato da dati piccoli, ma è il punto da cui siamo partiti per sperimentare un nuovo paradigma di cura».
E’ un elenco di citazioni a campione, certamente non esaustivo. Sono tutte persone che hanno parlato in base a “registri di casi”, senza aspettare studi clinici che non hanno senso quando ogni giornata partorisce il suo conteggio di morti.
A questi pochi nomi vanno aggiunti il gruppo di medici raccolti nel gruppo “Terapia Domiciliare covid-19” e quelli di Ippocrateorg.org. Ma anche il sindaco-medico Riccardo Szumski, per fare un esempio. O i medici di Bardolino Cesenate, che ancora oggi vogliono stare coperti.
Perché coperti?
Perché, anche se il medico è libero di prescrivere e di curare in scienza e coscienza, il protocollo del Ministero e dell’Aifa prescriveva e prescrive “paracetamolo e vigile attesa”.
Quindi, per curare a casa, i medici sono di fatto costretti a discostarsi dalle linee guida.
Chi l’ha fatto ha rischiato due volte: ha rischiato di contagiarsi, perché le protezioni all’inizio erano inesistenti; ha rischiato professionalmente, assumendo decisioni difformi da quelle prescritte dal Ministero. Ma ha salvato tante vite.
Ricordiamole in ordine alfabetico tutte le cure/medicine ostacolate o negate da “loro”, e utilizzate come efficaci da coraggiosi pionieri (l’elenco non è esaustivo).
- Adenosina
- Azitromicina
- Cortisonici
- Eparina
- Ibuprofene e altri antiinfiammatori
- Idrossiclorochina
- Ivermectina
- Ozonoterapia
- Plasma iperimmune
- Quercetina e ogni integratore
Alcune di queste cure/medicine adesso sono usate correntemente da molti, ma all’inizio sono state usate da pochissimi e senza alcun sostegno ministeriale.
Se a casa vale la regola “tachipirina e vigile attesa”, in ospedale valeva l’unica regola “supporto e attesa”, descritta nei primi tempi dal dottor Gandolfini.
«La terapia che possiamo mettere in atto, si può definire di supporto e di attesa: ha lo scopo di sostenere le funzioni vitali – in primis l’ossigenazione del sangue, con la ventilazione assistita – e di proteggere l’organismo dall’assalto del virus, ma un vero farmaco “etiologico”, in grado cioè di uccidere il virus, non è a nostra disposizione.»
La terapia è “supporto e attesa”: ossia sostengo le tue funzioni vitali, ti proteggo dall’assalto, in attesa che il tuo organismo vinca il male con le sue forze.
In pratica: a casa non ti faccio nulla (la tachipirina equivale a “nulla”), in ospedale ti faccio ventilazione (un noto gestore dell’epidemia conteggiava come “posti extra in intensiva” il numero di ventilatori che riusciva a mettere a disposizione).
Il salto di qualità avvenne con le prime autopsie semi-abusive: se non potevi sconfiggere il virus, potevi però capire i suoi meccanismi e sconfiggere gli effetti del virus, quelli che portano alle intensive e alla morte.
Va beh, ma questo è il passato. Adesso (2 giugno 2020) sappiamo! Adesso abbiamo l’estate 2020 davanti e possiamo prepararci!
Tutto era chiaro
Nella pace estiva tutto era chiaro.
Era chiaro anche prima, da fine aprile: a fine aprile le intensive cominciano a svuotarsi a ritmi del 25% a settimana, dando la sensazione netta che un’inversione di tendenza in peggio sia impossibile. Nella relativa calma si poteva cominciare a ragionare.
Innanzitutto era chiaro che il nostro sistema ospedaliero non era stato in grado di reggere l’impatto: un’epidemia dove si taglia fuori la medicina territoriale e si delega tutto all’assistenza ospedaliera non può essere gestita. Quindi:
- le cure domiciliari dovevano essere strutturate e i medici di famiglia precettati e istruiti per le cure a casa; niente di particolarmente complesso: i medici di Ippocrateorg.org non hanno paura di dire che “curare il covid è semplice”;
- gli esempi dell’area Fiera di Milano e dell’area Fiera di Bergamo dovevano diventare strutture diffuse sul territorio, una sorta di “protezione civile ospedaliera” o “cassa di espansione” dell’alluvione epidemica: aree pronte, nella speranza di non doverle usare;
- è chiaro che l’area Fiera di Milano non è il modo migliore di curare i malati covid; ma l’altro metodo (creare i reparti covid negli ospedali) ha fatto morire il 14,42% dei casi e ha sfasciato la sanità ordinaria;
- erano necessari gli alberghi covid, sia per assistere persone non ancora da ospedale ma non più in grado di vivere a casa, sia per far smaltire i postumi covid prima del rientro a casa.
Poi c’erano le statistiche per età, ormai inequivocabili.
Quella a lato è una tabella redatta durante l’estate 2020 (ma al 2 giugno sarebbe stata praticamente identica).
Per l’area infanzia + studenti + lavoratori l’epidemia covid dava numeri da 64 morti per milione.
Nella fascia dei pensionati, da 65 anni in su, si passava a 2.262 morti per milione.
Constatato che l’età era il miglior fattore di protezione, e poiché l’impatto ospedaliero non lo creano le percentuali, ma i numeri assoluti, era evidente su quali fasce d’età andavano concentrati gli sforzi.
Il massacro dell’economia faceva inoltre capire che il metodo della chiusura totale non era ripetibile (anche perché gli stati che non l’avevano utilizzato andavano meglio di noi). Non parliamo poi del disastro delle scuole chiuse.
Dovendo riaprire ed essendo certa una recrudescenza autunnale, c’era da affrontare l’unico vero nodo: i trasporti.
Posso vietare la presenza agli avvenimenti sportivi, posso chiudere discoteche cinema teatri spettacoli, ma non posso evitare che la gente salga sui mezzi pubblici per studiare, lavorare, fare la spesa.
Ed è lì che avviene il vero rimescolamento per età: sul mezzo pubblico salgono tutti.
Non bisogna più fare le classi pollaio? Sì, ma per una didattica migliore, e solo secondariamente per il covid.
Gli studenti statisticamente non muoiono di covid, al massimo si può temere il contatto studenti-professori, o dei professori tra loro.
Ma anche il “temere” va regolato sui numeri della tabella: in situazione normale su 1.000 professori “vecchi” (età 60-64) 6 muoiono entro l’anno per cause varie; con il covid ne muoiono 6,36 (e il covid non è detto che lo prendano a scuola).
Quindi:
- moltiplicare i mezzi pubblici, certamente, anche sfruttando pullman privati fermi da mesi;
- aumentare le classi, se si vuole; ma soprattutto dare un ordine al movimento all’interno della scuola stessa; in situazione di ordine, il contagio non esiste, come dimostrano le Messe.
Tutto era chiaro. Ma scoppia invece la “tamponite acuta”
Niente di tutto questo viene fatto. Ci ritroveremo il 14 settembre 2020 (giorno convenzionale di inizio della terza fase) nella stessa identica situazione di prima, con l’unica differenza che i medici preparati adesso sanno quali strumenti mettere in campo.
L’estate 2020 passerà alla (triste) storia come l’estate dei banchi a rotelle: un’idea che non sai se definire folle o folkloristica. Comunque un’idea che non ha nulla a che vedere coi problemi in campo: è spesa pubblica a vuoto, allo stato puro.
Ma soprattutto in estate scoppia la “tamponite acuta”.
Il virus è “clinicamente morto”, come diceva il dottor Zangrillo: non era scomparso, ma il suo impatto ospedaliero era nullo.
Come fare allora a tenerlo vivo mediaticamente? Il capro espiatorio sono “i ragazzi che tornano dalla Croazia” (o da chissà dove). Eh, sì. Clinicamente morto in Italia, si poteva far credere che il virus era ben vivo oltre confine.
E così i ragazzi di ritorno dalla Croazia (o da chissà dove) venivano sottoposti a tamponi di controllo, anche in assenza di sintomi: persone sane che dovevano dimostrare di non essere malate.
Per come funzionano i tamponi, ci sono concrete probabilità che un tampone in assenza di sintomi intercetti sequenze del virus assolutamente prive di rilevanza per l’infezione e per la malattia.
Se moltiplico i tamponi a dismisura, ho la certezza statistica di intercettare un certo numero di positivi (positivi perfettamente sani). Se poi, azzeccato un positivo, comincio a testare i suoi contatti stretti, ne troverò probabilmente altri, fino a poter definire un “focolaio” (bastano 2 persone).
Per 4 mesi riescono a scrivere paginate sui giornali e a riempire i TG avendo a disposizione, letteralmente, il nulla.
La storia della seconda fase (3 giugno – 13 settembre 2020) si risolve nell’osservare la tabella e scuotere la testa per la nostra dabbenaggine (“loro”, ovviamente, non possono essere accusati di dabbenaggine: perseguono un piano).
Casualmente le due fasi durano lo stesso numero di giorni.
Tutti i parametri sono in crollo da azzeramento, ossia non c’è nessun impatto ospedaliero.
Ma, in assenza di sintomi, l’apparato fa quasi il 50% in più di tamponi.
Il risultato è la creazione di 50.000 casi evanescenti, utili solo a fare titolo sui giornali: “Focolaio di ragazzi di ritorno dalla Croazia!”. Focolaio = 2 persone riconducibili a un contatto diretto.
Giorni medi di isolamento in casa di persone SANE: 35 (giorni di media! C’è chi è stato dentro per 2 mesi).
L’unica cosa saggia da fare in estate era questa: poiché il virus è clinicamente morto, lasciateci girare liberamente; se c’è qualche contagio, sarà “fatuo”; creerà anticorpi “gratis”, ossia senza generare impatto ospedaliero.
La “tamponite acuta” è una malattia mentale: nell’autunno – inverno – primavera molti italiani correranno al tampone al primo starnuto, invece di curarsi coi “soliti” antiinfiammatori. Molte classi scolastiche saranno chiuse per la presenza di un positivo, in assenza di malattia.
L’importante è non fare nulla di utile. E al contempo tenere il virus “mediaticamente vivo”.
L’apparato ha agito così.
Sputnik
L’unico vero avvenimento dell’estate è l’arrivo del vaccino russo Sputnik.
Gam-COVID-Vac, nome commerciale Sputnik V: l’11 agosto 2020, il presidente russo Putin annuncia l’approvazione normativa del vaccino, prima delle sperimentazioni della Fase III.
Questa approvazione normativa indica che il vaccino potrà essere utilizzato ampiamente in Russia dal 1 gennaio 2021, ma nel frattempo potrà essere fornito a un certo numero di cittadini vulnerabili.
In pratica è l’annuncio che la Fase III (ossia la “prova di efficacia del vaccino su larga scala, in genere alcune migliaia di volontari soggetti di solito arruolati in più centri di ricerca” – Istituto Superiore di Sanità) durerà fino al 31 dicembre 2021.
Poi ci sarà la somministrazione ampia nel 2021, senza la Fase IV (La Fase IV è il “monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione in costante aumento” – Istituto Superiore di Sanità)
“This is a reckless and foolish decision. Mass vaccination with an improperly tested vaccine is unethical. Any problem with the Russian vaccination campaign would be disastrous both through its negative effects on health, but also because it would further set back the acceptance of vaccines in the population,” said Francois Balloux, a geneticist at University College London, in a statement distributed by the UK Science Media Centre.”
https://www.nature.com/articles/d41586-020-02386-2
Decisione folle! Atto non etico! Con queste e altre frasi tutti i giornali si stracciano le vesti, e ci spiegano con dovizia di particolari quale è il modo corretto di preparare i vaccini.
Esito finale?
L’occidente comincerà a vaccinare ben prima del 1 gennaio 2021, e avendo puntualmente saltato la Fase IV.
This is a reckless and foolish decision.
Mass vaccination with an improperly tested vaccine is unethical.
Spericolata. Folle. Non etica.
E’ la definizione della nostra politica vaccinale occidentale.
Identica a quella russa, iniziata in massa ancor prima della Russia, e senza nemmeno avere il materiale sovrabbondante e di qualità dell’operazione “Dalla Russia con amore”, svoltasi a Bergamo nell’epicentro del contagio.
Putin è un politico di razza.
Dal mio punto di vista mi permetto di attribuirgli questo pensiero: «Posto che i vaccini per i coronavirus sono fallimentari, tanto vale che abbiamo la nostra porcheria, invece di subire la vostra. Inoltre, invece di essere acquirenti, diventeremo anche noi venditori all’estero».
Non l’avrà pensato, ma è così che ha agito. Ha preso l’occidente farmaceutico in contropiede.
***
L’estate sta finendo, un anno se ne va…
Finisce l’estate 2020, nulla è stato fatto, siamo punto e a capo.
Siamo pronti a subire la terza fase.
Giovanni Lazzaretti
giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com
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