Le fake news sul Prodotto Interno Lordo

Oggi vogliamo occuparci di alcuni FALSI luoghi comuni (fake news?) che ci vengono sistematicamente propinati dai mass media “mainstream” relativamente al Prodotto Interno Lordo, il principale indicatore statistico sull’andamento dell’economia del paese.
Per chi non ne fosse al corrente, questo indicatore viene calcolato nel modo seguente:

Y(PIL)=C+I+G+(X-M)

Nella formula:

  • C sta per consumi;
  • I sta per investimenti privati;
  • G sta per la spesa pubblica dello Stato;
  • X sta per totale delle esportazioni;
  • M sta per totale delle importazioni

1. Il falso recupero del PIL
Se il PIL lo scorso anno ha avuto un calo del 3%, non lo si recupera con una crescita del PIL del 3%.
Si tratta di una evidenza matematica.
Nel 2016 avevamo prodotto un PIL di 100 euro.
Nel 2017 il PIL ha avuto un calo del 3%, pari a 3 euro, per cui il PIL si è ridotto a (100-3)=97 euro.
Se nel 2018 il PIL aumenta del 3% di 97 euro, aumenta di 3/100*97=2,91 euro.
Ovvero il PIL diventa di 99,91 euro.
Può sembrare una piccola differenza, ma una differenza di 3-2,91=0,09 euro significa, se rapportata ad un PIL nazionale dell’Italia di circa 1’700 miliardi, una differenza di 1,53 miliardi di euro, che corrisponde a circa 50’000 posti di lavoro in meno

2. La falsa fine della recessione economica
Tecnicamente parlando gli analisti economici definiscono la recessione economica come una sequenza di più trimestri con una crescita negativa del PIL.
Non appena il PIL inverte la tendenza, ponendo fine al trend negativo, la recessione si considera finita. E tutti i giornali lì pronti ad annunciarci che “la crisi è finita” ed ora l’economia va bene.

E’ certamente meglio avere un PIL in crescita che in decrescita.
Ma avere un PIL in crescita non significa automaticamente che tutti i problemi economici causati dalla precedente fase di recessione siano stati risolti.

L’andamento del PIL indica la tendenza dell’economia, non indica il valore della produzione di ricchezza nazionale.
Se il PIL cresce, significa che in questo momento la produzione di ricchezza sta aumentando, ma non significa che i danni causati dalla precedente recessione (diversi trimestri con una diminuzione del PIL) siano stati riparati.

Il valore del PIL è in qualche modo legato al numero di persone che lavorano.
La Cina ha PIL di molto superiore all’Italia, in quanto ha un numero molto maggiore di abitanti, anche se la loro produttività pro capite è di 2,5 inferiore rispetto a quella dell’Italia.
Quindi se il PIL diminuisce, si perdono posti di lavoro oppure, le imprese perdono ordinativi, si riduce il reddito.
Dopo anni di posti di lavoro persi e di reddito perso (magari con debito accumulati), non è l’inversione di tendenza di un solo trimestre a consentire di recuperare i posti di lavoro persi, di ritornare ai precedenti livelli di ordinativi o di reddito.

L’andamento del PIL, quindi, non è un indicatore di “fine della crisi economica” per le imprese ed i lavoratori.
E’ invece un indicatore interessante per gli investitori finanziari, i quali guadagnano sull’andamento momentaneo dell’economia: se l’economia in questo momento cresce, gli investitori finanziari mediamente guadagnano.
Agli investitori finanziari non interessano i posti di lavoro persi, i cali di ordinativi o la perdita di reddito, a loro interessa solo sapere se in questo momento possono guadagnare dai loro investimenti.

Ecco: quando l’informazione mainstream dice che la crisi economica è finita, siccome il PIL ha ripreso a crescere, fornisce il punto di vista degli investitori finanziari, non della gente normale che vive del proprio lavoro.

3. Il PIL al netto dell’inflazione
Se il prodotto interno lordo aumenta del 2% ed abbiamo un tasso di inflazione medio del 2%, la crescita netta dell’economia sarà pari a 2 – 2 = 0%.
Infatti il PIL misura, semplificando, l’aumento del “fatturato” del paese. Se l’aumento è pari al tasso di inflazione, allora significa che il potere di acquisto delle famiglie non è aumentato.
Nel 2017 l’Italia ha avuto un tasso di inflazione medio del 1,23% ed il PIL è aumentato mediamente dell’1,4%.
Questo significa c he la crescita reale è stata di 1,4 – 1,23 = 0,17%.
Per carità, meglio così che un tasso negativo (deflazione), ma il paese nel 2017 è rimasto sostanzialmente fermo a 0% di crescita.
Quando non vi parlando della crescita del PIL al netto dell’inflazione, significa che vogliono presentervi dei dati falsamente ottimisti (fake news!).

4. La crescita del PIL inferiore agli interessi sul debito pubblico
Attualmente gli italiani devono pagare ogni anno circa 90 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico, pari a circa il 5% del PIL.
Nei prossimi mesi, con la riduzione del programma di acquisto di titoli da parte della BCE (il famoso Quantitative Easing), i tassi di interesse sui titoli pubblici italiani rischiano di salire ulteriormente e con essi l’incidenza degli interessi sul nostro debito pubblico rispetto al nostro Prodotto Interno Lordo.
Se il PIL sale dell’1,5%, ma noi dobbiamo pagare un 5% di PIL di interessi ai “mercati finanziari”, questo significa che dell’1,5% di benefici della crescita ne verranno sottratti il 5% come denaro da pagare ai “mercati finanziari”.
Quindi una crescita del PIL del 1,5% significa una cessione netta di capitali dai lavoratori (che producono il PIL) agli investitori finanziari che hanno investito in titoli italiani (che non producono PIL, ma solo rendite parassite) pari al 3,5%.
Fino a che il tasso di crescita del PIL non supera l’icindenza sul PIL dei tassi di interesse sul debito pubblico, l’economia italiana continuerà a spostare ricchezza, al netto, dall’economia reale (imprese e lavoratori, che vivono del proprio reddito) all’economia finanziaria (i rentiers che vivono di speculazione).
Se il tasso di crescita del PIL non supera la quota degli interessi sul debito pubblico, non abbiamo nessuna crescita nellta della ricchezza del paese.

5. La crescita del PIL inferiore agli interessi sul debito privato
Il principio è lo stesso del capitolo precedente.
Attualmente l’Italia ha un debito privato dell’ordine di 1’250 miliardi di euro.
Se il tasso di interesse medio pagato è del 3% (supponiamo), allora l’Italia deve essere in gradi di pagare (alle banche) 37,5 miliardi di euro di interessi sul debito privato, pari a circa il 2% del PIL.
Se il PIL cresce solo dell’1,5% significa che l’economia reale italiana deve cedere al netto lo 0,5% del proprio reddito alle banche.
Se il tasso di crescita del PIL non supera la quota degli interessi sul debito privato, non abbiamo nessuna crescita nellta della ricchezza del paese.

6. La crescita del PIL è solo un valore medio: chi beneficia della crescita?
La crescita del PIL è un indicatore statistico medio.
E’ noto che il PIL non cresce in ugual misura nelle varie regioni italiane.
Se il telegiornale annuncia con entusiamo la crescita media del PIL in Italia dell’1,5%, questo non significa che sia aumentato il PIL nella nostra regione.
E neppure nella nostra famiglia (sulla base di quanto spiegato nei capitoli precedenti).
Il PIL viene misurato prima della tassazione.
Quindi la ricaduta positiva della crescita del PIL dipende anche da quante tasse ci pagheremo sopra.
Se vi chiamate Amazon o Google, ci pagherete sopra delle tasse ridicole e porterete poi, legalmente, i capitali all’estero.
Il Prodotto Interno Lordo dell’Italia sarà mediamente aumentato, ma l’Italia non trarrà benefici dalla spesa della ricchezza finanziaria prodotta.
Se invece vi chiamate Gennaro Esposito, onesto imprenditore con la sua piccola azienda, pagherete molte tasse sulla ricchezza finanziaria prodotta, spendendo poi i 4 soldi che vi saranno rimasti per sopravvivere. Il reinvestimento totale della ricchezza prodotta andrà quindi a beneficio di altri, tramite la successiva spesa pubblica o privata.

L’indice della crescita del PIL, quindi, non misura le ricadute economiche della ricchezza finanziaria prodotta, ma misura unicamente l’andamento del “fatturato” del paese.

Quando vi raccontano che il PIL cresce, quindi l’economia va bene,

7. Il PIL misura unicamente il “fatturato”, non la reale disponibilità di ricchezza
C0me si può vedere dalla formula del calcolo del PIL, questo indicatore misura la quantità di denaro percepita dai vari soggetti produttivi del paese.

Non prende in considerazione la produzione di beni e servizi che vengono donati gratuitamente (ad esempio nelle nostre famiglie e tramite il volontariato).
Non prende in considerazione il valore reale dei beni e servizi prodotti: il PIL considera anche i proventi di attività criminali come la prostituzione, considera anche spesa (pubblica o privata) eccessiva per beni e servizi di valore reale nullo o molto inferiore.
Ad esempio se, a seguito della privatizzazione di un servizio pubblico, le tariffe aumentano in modo eccessivo, ciò comporterà un aumento medio del PIL del paese (a beneficio dei fornitori di quei servizi), ma non aumenterà la ricchezza effettiva del paese, essendo quei servizi gli stessi di prima.

La disponibilità di ricchezza di un paese è data dalla ricchezza già disponibile, il patrimonio, più la capacità attuale di produrre nuovi beni e servizi utili.
Il PIL misura solo la produzione attuale, trascura totalmente il patrimonio.

Se capitano un terremoto o una guerra, il patrimonio di un paese viene distrutto ed il paese diventa più povero.
Dopo di che sarà necessario lavorare per ricostruire, e questo farà aumentare il PIL.
Tuttavia non si potrà dire di avere recuperato il precedente livello di ricchezza fino a che la ricostruzione non sarà terminata.

Quando sentiremo raccontare che “il PIL cresce e, quindi, la crisi economica è finita”, manteniamo tutti i nostri dubbi e valutiamo anche altri indicatori per comprendere se questo sia vero o meno.

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