di Davide Gionco
18.09.2019
L’esistenza di confliti è una cosa del tutto naturale, sia tra persone, sia fra gruppi di persone.
Troppo spesso questi conflitti sono mal gestiti, concludendosi con la vittoria di una parte e l’umiliazione dell’altra.
Questo tipo di soluzioni apre la strada ad un ulteriore inasprimento dei conflitti.
Gli studiosi di nonviolenza hanno sviluppato delle tecniche sagge ed intelligenti per affrontare in modo costruttivo i conflitti.
Queste tecniche consentono di risolvere i conflitti in modo meno traumatico e con conseguenze più accettabili da entrambe le parti.
I 5 stili di gestione dei conflitti
Si possono individuare almeno 5 stili di gestione dei conflitti:
1) Fuga-evitamento
2) Competizione
3) Adeguamento
4) Compromesso
5) Collaborazione
Frequentemente si scopre come la collaborazione sia il metodo più efficace e più capace di dare soddisfazione ai contendenti; alcune volte possono essere utili delle “fughe strategiche”, oppure delle ricerche di compromessi… è importante rilevare comunque che CIASCUNO PUO’ SCEGLIERE LA MODALITA’ DI APPROCCIARSI AD UN CONFLITTO.
Il triangolo della nonviolenza
LA VIOLENZA è impedimento, oltre un limite accettabile alla soddisfazione dei bisogni umani essenziali.
La violenza emerge da una situazione iniziale, che di per sé non mostra alcun problema: si tratta di una situazione in cui sono presenti almeno due punti di partenza diversi che possono essere caratteristiche, comportamenti o punti di vista di due persone o di due gruppi di persone.
Il modo tradizionale o abituale di comportarsi con questi due diversi punti di partenza è quello che si basa sul modello di comportamento Maggiore/minore (modello M/m): ognuno cerca di presentare la propria caratteristica o il proprio comportamento come migliore di quello dell’altro.
Ognuno cerca di avere ragione, di dominare, di vincere, di mettere se stesso in una posizione di superiorità e l’altra persona o gruppo in una posizione di inferiorità.
Le conseguenze di questo modello di comportamento sono i tre meccanismi della violenza:
– violenza contro se stessi o rimozione ed interiorizzazione della violenza/aggressività;
– violenza contro l’altro che per primo ci ha messo in una posizione di inferiorità o escalation della violenza;
– violenza contro una terza parte o catena della violenza.
La violenza non è naturale, l’aggressività è naturale e può essere positiva
L’esperimento di Milgram sembra mostrare che la violenza deriva principalmente dall’obbedienza, dall’abdicare alla propria coscienza (che di per sé non vorrebbe la violenza), dal rinunciare alla propria responsabilità.
Dunque LA VIOLENZA NON E’ NATURALE; piuttosto è l’aggressività ad essere naturale, ma l’aggressività non è violenza, è piuttosto combattività, tendenza all’affermazione di sé, assertività; è un fattore energetico di autoconservazione.
La questione diventa allora: E’ POSSIBILE UTILIZZARE QUESTA ENERGIA IN MANIERA NONVIOLENTA?
LA NONVIOLENZA non è affatto debolezza, rinuncia, assenza di conflitti.
C’è anzi una bella definizione di Andrea Cozzo: la nonviolenza è l’arte di pensare e condurre un buon conflitto in tutti gli ambiti della vita per la trasformazione sociale e di noi stessi.
I grandi protagonisti storici della nonviolenza hanno condotto conflitti: Gandhi, Luther King, Mandela, Danilo Dolci, Alberto L’Abate, Don Milani…
Tipi di nonviolenza
Possiamo distinguere due tipi di nonviolenza:
1) NONVIOLENZA ETICA (“tresformazione di noi stessi”)
2) NONVIOLENZA PRAGMATICA (“arte di condurre…”)
Principi pratici della nonviolenza
Ecco alcuni princìpi pratici della nonviolenza:
Interessi: la regola è il riferimento agli interessi (fondamenti) e non alle posizioni.
Persone: distinguere le persone dai problemi.
Opzioni: pensare a diverse possibilità di azione prima di decidere cosa fare; riflettere non soltanto sul da farsi, bensì su una serie di possibili azioni e contro-azioni.
Criteri: badare che il risultato soddisfi criteri vincolanti per tutti.
Verità: la regola è che esistono più verità, la tua, la loro e forse un’altra ancora.
Mezzi: la regola è rispettare l’unione di mezzi e scopi.
Premesse: attenersi a dei principi e costruire su di essi la strategia; perseguire soltanto quegli obiettivi che sono validi sia per se stessi che per l’altra parte, anche se quest’ultima non si comporta allo stesso modo.
Potere: il potere è la capacità di raggiungere i propri obiettivi e non di punire gli altri.
I 3 tipi di accordo per la risoluzione di un conflitto
Laddove pare particolarmente difficile trovare un esito soddisfacente , Lederach ha individuato 3 tipi di accordo per la risoluzione di un conflitto:
1) Accordo di principio
2) Accordo di procedura
3) Accordo frazionato
Al fine di arrivare ad un accordo è fondamentale che la “procedura” sia portata avanti da un MEDIATORE, una persona che conosca molto bene le tecniche di gestione dei conflitti e che sia super partes ovvero non coinvolta dalle conseguenze dell’esito del confronto.
La strategia di scelta non viene selezionata a priori dal mediatore, ma sulla base dell’andamento delle trattative.
1) Accordo di principio, si affrontano i vari punti concreti, fino all’accordo finale
2) Problema insolubile, prima si fa un accordo sulla procedura, quindi si punta ad una soluzione finale
3) Problema confuso, grande, apparentemente senza soluzioni. Si ridefinisce il problema come un insieme di problemi minori, maneggiabili e risolvibili, fino ad arrivare all’accordo finale.
Parzialmente tratto da:
https://www.peacelink.it/px2/docs/794.pdf
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