di Marian L. Tupy
20.02.2019
Se oggi l’umanità è poco attenta alle questioni ambientali, è perché in passato lo era molto meno di quanto lo sia oggi.
In passato l’umanità devastava l’ambiente meno di quanto faccia solo perché eravamo molti meno abitanti sul pianeta e perché disponevamo di tecnologie molto meno impattanti.
Questo dimostra che il rispetto dell’ambiente è prima di tutto una questione culturale.
Buona lettura.
Il Primo Ministro Benjamin Disraeli una volta descrisse il Tamigi come “una piscina stagnante che ha l’olezzo di orrori ineffabili e intollerabili”
La scorsa settimana ho scritto dell’idea romantica di Jason Hickel, secondo il quale in passato le persone “vivevano bene” con un reddito scarso o nullo. Ho preso atto che prima della Rivoluzione Industriale l’abbigliamento era enormemente costoso e scomodo. I cotonifici hanno cambiato tutto. Come notò uno storico francese nel 1846, “la produzione delle macchine… porta nelle mani dei poveri un mondo di oggetti utili, persino oggetti lussuosi e artistici, che mai avrebbero potuto avere prima”.
Oggi desidero passare al tema dell’inquinamento. E’ ben noto che l’industrializzazione ha contribuito ad inquinare l’ambiente, ma ciò non significa che l’aria e l’acqua fossero pulite prima che arrivassero fabbriche e mulini!
Rispetto ad oggi, i nostri antenati hanno dovuto sopportare orribili condizioni ambientali.
Cominciamo con la qualità dell’aria.
Nella Londra del XVII secolo Claire Tomalin osservò in Samuel Pepys, The Unequalled Self ( l’io ineguaglibile), “Ogni famiglia bruciava carbone… il fumo dei loro camini rendeva l’aria scura, coprendo ogni superficie con sporcizia fuligginosa. C’erano giorni in cui una nuvola di fumo alta mezzo miglio e larga venti miglia poteva essere vista sopra città… i londinesi sputavano nero”.
Allo stesso modo, Carlo Cipolla, nel suo libro Before The Industrial Revolution: European Society and Economy 1000-1700 (Prima della Rivoluzione Industriale: Società ed Economia Europee dal 1000 al 1700), riporta dal diario dello scrittore Britannico John Evelyn che scrisse nel 1961: “A Londra vediamo gente camminare e conversare perseguitata da quel fumo infernale. Gli abitanti non respirano altro che una nebbia impura e densa, accompagnata da un vapore fuligginoso e sporco… che compromette i polmoni e mette in subbuglio l’abitudine dei loro corpi”.
Le strade erano altrettanto sporche.
John Harrington inventò la toilette nel 1596, ma i bagni rimasero un lusso raro ancora duecento anni dopo.
I vasi da notte continuavano ad essere svuotati nelle strade, trasformandole in fogne. A peggiorare le cose, gli allevamenti di animali in città sono perdurati fino al XVIII secolo inoltrato.
Come notò Fernand Braudel in The Structures of Everyday Life (Le strutture della vita quotidiana), “I maiali venivano allevati in libertà nelle strade. E le strade erano così sporche e fangose che dovevano essere attraversate su palafitte”.
Lawrence Stone osservò in The Family, Sex and Marriage in England 1500-1800 (La famiglia, il sesso e il matrimonio in Inghilterra tra il tra il 1500 e il 1800) che: “nelle città del XVIII secolo, i fossati delle città, ora spesso pieni d’acqua stagnante, erano comunemente usate come latrine; i macellai uccidevano gli animali nei loro negozi e gettavano le frattaglie delle carcasse nelle strade; gli animali morti venivano lasciati marcire dove giacevano; le fosse da latrina venivano scavate vicino ai pozzi, contaminando così l’approvigionamento idrico. I corpi in decomposizione dei ricchi nelle cripte sotterranee sotto la chiesa spesso emanavano cattivo odore sul prete ed i fedeli”.
Un “problema speciale” a Londra, scrive Stone, erano le “buche dei poveri” o “grandi profonde fosse aperte in cui venivano stesi i cadaveri dei poveri, fianco a fianco, fila per fila. Solo quando era piena di corpi veniva ricoperta di terra”.
Come osservò uno scrittore contemporaneo, che Stone cita: “Quanto è fetido l’odore che fuoriesce da queste buche”.
Inoltre, “grandi quantità di escrementi umani venivano gettate in strada di notte… Venivano anche gettate nelle strade e nei fossati circostanti, così che i visitatori che tornavano o andavano verso la città “erano obbligati a tenere il naso tappato per evitare il cattivo odore“.
Secondo Stone, “il risultato di queste condizioni sanitarie primitive erano le continue esplosioni di infezioni batteriche allo stomaco, di cui la più spaventosa, la dissenteria, spazzava via molte vite di entrambi i sessi e di tutte le età in poche ore o giorni. I disturbi di stomaco di un tipo o l’altro erano cronici, a causa di una dieta poco equilibrata tra i ricchi e il consumo di cibo guasto e insufficiente tra i poveri”.
Poi c’era “la prevalenza di vermi intestinali”, che è “una malattia lenta, disgustosa e debilitante che causava una grande quantità di miseria umana e problemi di salute… Nelle molte aree paludose, scarsamente drenate, le febbri malariche ricorrenti erano malattie comuni e debilitanti… e forse ancora più straziante era la forza lenta, distruttiva e inesorabile della tubercolosi”.
La situazione non era migliore sul continente.
Alla metà del XVII secolo la regina Anna d’Austria, madre di Luigi XIV, notava che “Parigi è un posto orribile e maleodorante. Le strade sono così mefitiche che non vi si può soffermare, a causa del puzzo di carne e pesce in decomposizione e per via di una folla di persone che urina per strada”.
Nel XIX secolo l’inquinamento era rimasto un problema.
In Inside The Victorian Home: A Portrait of Domestic Life in Victorian England (Dentro la casa vittoriana: ritratto della vita domestica nell’Inghilterra vittoriana), Judith Flanders riporta l’osservazione di Waldo Emerson, che dice “nessuno in Inghilterra si vestiva di bianco, perché era impossibile mantenerlo pulito”. Secondo Flanders le spazzole per capelli sembravano “nere dopo un solo uso” e le tovaglie venivano stese poco prima di mangiare “poiché altrimenti la polvere dei camini si depositava e si sporcavano in poche ore”.
Nel 1858 l’olezzo del Tamigi era così forte che le “tende sul lato del fiume dell’edificio erano impregnate di cloruro di calce per coprire l’odore”.
Lo sforzo non ebbe successo: una volta il primo Ministro Benjamin Disraeli fuggì da una sala di commissione “con un mucchio di carta in una mano e con il fazzoletto da taschino su naso” tanto era forte la puzza. Definì il fiume “una piscina stagnante che ha l’olezzo di orrori ineffabili e intollerabili”.
Tenete presente che anche dopo l’inizio della Rivoluzione Industriale gran parte dell’inquinamento era ancora non di origine industriale. Henry Mayhew, un ricercatore sociale e socialista inglese, scoprì che il Tamigi conteneva “ingredienti provenienti da birrifici, fabbriche di gas e industrie chimiche e minerarie; cani morti, gatti e gattini, grassi, frattaglie da macelli; sporcizia da marciapiede di ogni tipo; rifiuti vegetali;letame solido; rifiuti dei porcili; liquami; ceneri; bollitori e teglie di latta; …gres, vasi, brocche, vasi da fiori rotti, ecc.; pezzi di legno; malta marcia e rifiuti di vario genere”.
Non vi è dubbio che l’industrializzazione abbia causato gravi danno all’ambiente durante la seconda metà del XIX secolo. Ma ha anche creato ricchezza che ha permesso alle società avanzate di costruire strutture sanitarie migliori e ha stimolato lo sviluppo di una popolazione illuminata, con una preoccupazione senza precedenti storici per l’ambiente e la volontà di pagare per la sua gestione una tassazione più elevata.
Anadate avanti velocemente al 2015 e la BBC ha riferito che “2000 foche sono state avvistate nel Tamigi negli ultimi 10 anni… insieme a centinaia di focene e delfini e perfino qualche rara balena smarrita… Ci sono ora 125 specie di pesci nel Tamigi, a partire da quasi nessuna negli anni ’50”.
Allo stesso modo, le concentrazioni medie di particolato sospeso a Londra sono aumentate da 390 nel 1800 a un picco di 623 nel 1891, prima di scendere a 16 microgrammi per metro cubo nel 2016. Oggi l’aria della capitale del Regno Unito è considerata una delle più pulite tra le maggiori città del mondo.
L’evidenza dei nostri tempi mostra chiaramente che la vita di molti europei occidentali prima dell’era industriale era, almeno rispetto agli standard odierni, profondamente sgradevole.
Sarebbe una forzatura concludere che “vivevano bene”.
Tratto da:
https://humanprogress.org
Traduzione a cura di Renato Nettuno
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