di Davide Gionco
Il mese scorso si è chiuso a Katowice, in Polonia, il COP24, l’incontro mondiale in cui i vari governi decidono se impegnarsi o meno sulla riduzione delle emissioni di CO2, che causano l’effetto serra e l’aumento delle temperature medie del pianeta terra.
Stati Uniti (Trump), Arabia Saudita e Russia, tutti grandi produttori di petrolio, si oppongono all’impegno di ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030. Gli affari sono più importanti della preservazione del clima del pianeta, come noto.
Per chi opera professionalmente nel settore del risparmio energetico è evidente che un obiettivo del genere può essere perseguito solo a seguito di una forte volontà politica e a seguito di cospicui investimenti, sia nel potenziamento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sia nella diffusione di buone pratiche di risparmio energetico e di razionalizzazione dell’uso di energia nel settore industriale e dei trasporti.
L’Unione Europea intenderebbe dimostrare al mondo come sia possibile conciliare la competitività economica con la protezione dell’ambiente. Ma siamo sicuri che sia proprio così?
Dietro tante dichiarazioni di facciata e dietro a tanti servizi giornalistici su quanto siamo bravi a produrre energia da fonti rinnovabili, purtroppo la realtà dei fatti è molto diversa.
Il modello di sviluppo economico attualmente adottato dai principali paesi dell’Unione Europea, e che viene imposto a tutti gli altri paesi, a suon di parametri e di minacce di sanzioni, è in realtà INCONCILIABILE con delle vere politiche ambientali.
Il sistema economico europeo è fondato sul “libero mercato” e sulla competitività delle imprese, all’interno –però- di 27 diversi sistemi giuridici, i quali disciplinano diversamente fra loro le politiche ambientali.
Sarebbero vietati gli “aiuti di stato”. Per questo motivo le nazioni “più competitive” agiscono per favorire in altri modi la competitività delle proprie imprese.
Un fattore fondamentale per la competitività delle imprese è il costo dell’energia, che pesa in modo determinante su gran parte delle filiere di produzione di molti beni, in particolare nel settore agricolo/alimentare e nel settore manifatturiero.
Chi riesce a pagare meno cara l’energia, riesce a ridurre i costi di produzione e a battere la concorrenza.
Vediamo ora le diverse strategie energetiche adottate dai principali paesi.
La Germania nel 2018 ha utilizzato ben il 79% proveniente da combustibili fossili, con un totale di 56% proveniente da combustibili ad alto contenuto di carbonio (gasolio e carbone).
Le energie rinnovabili, tanto sbandierate sui mass media, non rappresentato che il 16% del totale.
Fonte: BP Statistical Review of World Energy 2018
Molta di questa energia è in realtà di importazione, principalmente dalla Polonia (energia elettrica da carbone) e dalla Russia (gas metano).
Le esigenze di avere energia a buon mercato prevalgono sul rispetto per l’ambiente.
La Francia, dal canto suo, da decenni ha puntato molto sul nucleare, che da solo copre il 41% della produzione energetica nazionale. L’energia nucleare non produce effetto serra, ma comporta dei gravi rischi di inquinamento ambientale in caso di incidenti. Inoltre i costi sono relativamente bassi di produzione di energia durante l’esercizio degli impianti, nascondono in realtà dei costi molto elevati riguardanti lo smantellamento delle centrali a fin di vita e di messa in sicurezza delle scorie.
Attualmente la Francia se la cava prolungando la vita degli impianti nucleari che avrebbero già dovuto essere stati chiusi da tempo. Prima o poi il conto, salatissimo, si presenterà ai francesi, quando non sarà più possibile prolungare la vita degli attuali impianti, inizialmente previsti per durare 30 anni, ma per la maggior parte già prossimi ai 40 anni.
Con l’invecchiamento degli impianti aumentano i rischi di incidenti. E se avvenissero, il problema potrebbe non limitarsi alla sola Francia.
L’Italia, invece, ha deciso di investire molto sul gas metano, che fra tutti i combustibili fossili è quello a minore effetto serra. L’utilizzo di combustibili ad alto contenuto di carbonio è pressoché nullo, mentre l’energia nucleare è stata esclusa con il referendum del 1987. Da allora abbiamo pagato l’energia sempre più cara dei francesi, che si sono tenuti il nucleare fino ad oggi, e dei tedeschi, che hanno continuato per decenni a bruciare carbone e gasolio.
In compenso l’Italia fa la prima della classe, fra le grandi potenze industriali, producendo oltre il 30% del proprio fabbisogno da fonti rinnovabili.
Purtroppo queste scelta maggiormente ecologica dell’Italia non è per nulla stata premiata a livello europeo.
Il fatto di basare l’economia europea sul libero mercato e sulla competitività fra imprese private (senza aiuti di stato) rende le imprese italiane meno competitive delle concorrenti francesi e tedesche. E questo è uno dei fattori che ha portato l’Italia ad avere un tasso di disoccupazione più elevato rispetto agli altri due paesi presi in considerazione.
Molte imprese italiane, non potendo reggere la concorrenza, hanno deciso di delocalizzare in altri paesi dell’Unione, dove l’energia costa meno che in Italia, con buona pace dell’ambiente.
La morale che ci arriva dall’Unione Europea è in definitiva la seguente: dobbiamo essere competitivi e non possiamo permetterci il lusso di investire realmente in favore dell’ambiente. E chi lo fa, viene tagliato fuori dal mercato.
Per questo motivo possiamo prevedere fin d’ora che la maggior parte dei paesi dell’Unione Europea non rispetterà gli impegni sottoscritti a Katowice. Al massimo lo faranno quei paesi, come l’Italia, poco attenti a supportare la competitività delle proprie imprese.
La Francia dovrà necessariamente sostituire l’energia nucleare con energia di origine fossile, a buon mercato; la Germania non vorrà aumentare il costo dell’energia per le propri imprese, rinunciando a carbone e gasolio.
Come ci hanno insegnato gli americani “business is business”.
Meno comprensibile risulta la posizione dei Verdi, che continuano a sostenere questa Unione Europea, senza rendersi conto che l’attuale sistema economico è del tutto incompatibile con delle serie politiche ambientali.
Per portare avanti delle serie politiche ambientali ciascun paese dovrebbe investire molto, prima di tutto sul risparmio e la razionalizzazione dell’uso dell’energia, quindi per potenziare al massimo l’uso delle fonti rinnovabili presenti sul proprio territorio.
Facendo questo sarebbe inevitabile avere delle forti variazioni del costo dell’energia fra nazione e nazione, in quanto ciascuno avrebbe una situazione diversa: chi valorizzerà il vento, chi il sole, chi il geotermico, chi il mare…
Di conseguenza sarebbe impossibile per imprese di nazioni diverse competere fra loro ad armi pari livello internazionale. Una vera competizione sarebbe possibile solo all’interno degli stati nazionali, nei quali vi è la stessa politica energetica per tutti.
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