di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini (Gruppo della Moneta Fiscale)
Alcuni anni fa, abbiamo iniziato a proporre la Moneta Fiscale (MF) come strumento in grado di superare le disfunzioni dell’Eurozona. È quindi abbastanza frustrante leggere sul Financial Times (28 ottobre 2018) in un articolo di Wolfgang Munchau (“Italy is setting itself for a monumental fiscal failure”) che la MF, data la sua natura di moneta parallela, innescherebbe la rottura dell’euro.
Non è così. La MF è un titolo trasferibile e negoziabile emesso dallo Stato, che i possessori potranno utilizzare per conseguire sconti fiscali a partire da due anni successivi all’emissione. Questi titoli acquisiranno valore immediatamente, in quanto incorporeranno un impegno irrevocabile dello Stato emittente, e potranno immediatamente essere scambiati contro euro o utilizzati come strumento di pagamento (in parallelo all’euro) su una piattaforma dedicata dove verrebbero accettati su base volontaria.
La MF sarà distribuita gratuitamente per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, per integrare i redditi dei lavoratori e per ridurre il cuneo fiscale sui costi di lavoro a vantaggio delle aziende. Questo produce un incremento sostenibile della domanda interna e migliora la competitività delle aziende (con effetti analoghi a un riallineamento del cambio). Diventa quindi possibile riassorbire l’enorme output gap dell’Italia senza deteriorare il saldo commerciale estero del paese.
Secondo quanto affermato dagli IFRS (International Financial Reporting Standards), la MF non costituisce debito, in quanto non esiste obbligazione di rimborso da parte dell’emittente. L’ESA (European System of Accounts) infatti la considera un “non-payable deferred tax asset”, che non impatta sui conti pubblici fino al momento dell’utilizzo per conseguire sconti fiscali – quando, due anni dopo l’emissione, produzione e gettito fiscale si saranno incrementati grazie al maggior potere d’acquisto in circolazione.
Sulla base di ipotesi prudenziali (moltiplicatore fiscale di 1x e ripresa degli investimenti privati tale da riassorbire, in quattro anni, metà della flessione rispetto al PIL subita tra il 2007 e oggi), una graduale emissione di MF che avesse inizio nel 2019 e raggiungesse 100 miliardi nel 2021 (il che si confronta con oltre 800 miliardi di entrate fiscali del settore pubblico), continuando poi invariata di lì in poi, innalzerebbe la crescita del PIL reale al 3% nel periodo 2019-2021 e in un intervallo 1,5%-2% successivamente. Ciò genererebbe maggior gettito sufficiente a compensare gli sconti fiscali via via che arrivassero a maturazione.
In caso di temporanei scostamenti negativi rispetto alle previsioni, una serie di azioni potrebbero essere attuate per garantire gli obiettivi fiscali: finanziare alcuni investimenti pubblici in MF e non in euro; aumentare le tasse da pagare in euro ma compensare il contribuente mediante erogazioni di MF; incentivare i titolari di MF a posporre l’utilizzo per conseguire sconti fiscali riconoscendo una maggiorazione di importo dei quantitativi da essi posseduti; ridurre il debito collocando (a pagamento) MF sul mercato. Queste azioni innalzerebbero la disponibilità di euro per il governo evitando effetti prociclici e – punto di grande importanza – impedirebbero il formarsi sul mercato finanziario di situazioni di incertezza. L’alto margine di copertura (il rapporto tra gli incassi pubblici lordi e gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) renderebbe la manovra sostenibile.
Attivando un programma di MF, l’Italia farebbe ripartire la sua crescita senza richiedere alcuna revisione dei trattati, senza richiedere trasferimenti da altri paesi e senza aumentare il ricorso ai mercati finanziari. Il debito pubblico smetterebbe di crescere e si ridurrebbe in rapporto al PIL, raggiungendo così l’obiettivo del Fiscal Compact. In ogni caso, se l’Italia allentasse la sua disciplina ed emettesse un eccesso di MF, il valore di quest’ultima calerebbe senza però che questo influenzi il valore dell’euro o crei rischi di default (la MF è intrinsecamente un titolo default-free e le azioni sopra descritte garantiscono tanto che il rischio di default sugli strumenti di debito non peggiori quanto che il debito non si incrementi). L’elevato rapporto di copertura, sopra menzionato, rende peraltro questo scenario del tutto improbabile.
In un’economia con un ampio sottoutilizzo di risorse produttive, il moltiplicatore fiscale e l’acceleratore degli investimenti hanno un forte, combinato effetto sulla produzione e solo un moderato effetto sui prezzi. Inoltre, l’impatto sulla domanda è massimizzato in quanto l’azione sulla competitività (via riduzione del cuneo fiscale) evita deterioramenti del saldo commerciale estero. In ultimo, incrementare la domanda darà benefici in termini di più alta produttività e crescita di lungo termine, entrambe fortemente indebolite dai molti anni di contrazione degli investimenti pubblici e privati.
Tutto questo non è un passo verso il break-up. Eliminando le disfunzioni dell’Eurosistema, la sua rottura non è più un passo necessario. Per inciso, nella nostra proposta l’ammontare totale di FM in circolazione raggiungerebbe un massimo di 200 miliardi: una piccola frazione dei depositi bancari (4.000) e dei titoli di debito pubblico in circolazione (oltre 2.000). La MF non sostituirebbe, ma integrerebbe queste attività finanziarie; e l’euro rimarrebbe l’unità di conto dell’economia italiana.
Munchau afferma che la principale caratteristica di un’unione monetaria non è l’esistenza di una moneta legal-tender (cioè ad accettazione obbligatoria) ma il fatto che si formi un’area monetaria comune con un libero flusso di pagamenti: le moneta parallele e i controlli sui capitali sarebbero incompatibili con questo assetto. Ma la MF, strutturata secondo la nostra proposta, non richiede alcun controllo sui capitali e non ostacola in alcun modo i flussi di pagamenti.
La MF ha la funzione di mobilitare risorse produttive inutilizzate, di accelerare gli investimenti, e di riavviare il credito privato. Ottiene questi risultati in un’economia priva dei tradizionali strumenti di sovranità monetaria e di espansione fiscale convenzionale.
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