14.08.2020
Nel 2016 due terzi dei decessi di persone con età inferiore ai 75 anni potevano essere evitati, rileva Eurostat. I dati rilanciano il dibattito sul sistema di salute pubblica già ripreso con la pandemia di COVID
Bruxelles – La malasanità provoca nell’UE almeno un milione di morti. Tanti sono i decessi che “avrebbero potuto essere evitati attraverso efficaci interventi di sanità pubblica e prevenzione primaria (decessi prevenibili) o tramite interventi sanitari tempestivi ed efficaci (decessi curabili)”. La denuncia è contenuta nei dati diffusi da Eurostat sulle morti evitabili. I dati si riferiscono al 2016, anno in cui sono morte 1,5 milioni di persone di età inferiore a 75 anni. Due terzi di loro (un milione) possono essere considerate come premature, vale a dire evitabili”.
Il rilievo dell’istituto di statistica europeo ripropone il dibattito sulla sanità esploso con la pandemia di COVID-19. In molti Paesi tutto è stato rimesso in discussione. L’Irlanda ha nazionalizzato gli ospedali, in Spagna il governo ha fatto praticamente lo stesso mettendo la sanità privata al servizio del sistema nazionale, in Belgio c’è stata una levata di scudi contro la privatizzazione della sanità voluta negli anni passati dal partito liberale.
I dati non si riferiscono alle morti da Coronavirus, ma ad ogni altro tipo di patologia (in particolare cardiopatie ischemiche, il cancro del colon-retto, il cancro al seno, malattie cerebrovascolari e polmonite) a causa delle liste d’attesa interminabili, assenza di prevenzione ed efficacia delle terapie.
In questo quadro di malasanità pre-COVID l’Italia si distingue per avere il sistema sanitario meno carente dell’UE. Nel 2017 l’Italia è stato il Paese con il minor numero di morti per malattie prevenibili (107 ogni 100mila abitanti), un terzo in meno dell’Ungheria (326 ogni 100mila abitanti), con il triste primato in questa classifica. Per numero di pazienti morti a causa di malattia trattabili, anche qui l’Italia si colloca agli ultimi posti della classifica di malasanità: 67 morti ogni 100mila abitanti. In ben sei Paesi, tutti dell’est (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Ungheria) nel 2017 si sono registrati oltre 150 casi.
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