Non Torneremo alla Normalità. Perché la Normalità era il Problema.

di Vijay Prashad
27.03.2020

Quando scoppia una pandemia globale, il modello di austerità del settore privato va semplicemente in frantumi.

E’ difficile ricordare che solo qualche settimana fa, il pianeta era in movimento. C’erano proteste a Delhi (India) e Quito (Ecuador), eruzioni contro il vecchio ordine che andavano dalla rabbia verso le politiche economiche di austerità e il neoliberismo alla frustrazione per le politiche culturali di misoginia e razzismo. Ingegnosamente, a Santiago (Cile), durante le ondate di protesta, qualcuno ha proiettato un potente slogan sulla facciata di un edificio: “non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”. Ora, nel mezzo del romanzo coronavirus, sembra impossibile immaginare un ritorno al vecchio mondo, il mondo che ci ha lasciato così impotenti prima dell’arrivo di queste micidiali particelle microscopiche. Prevalgono le ondate di ansia; la morte continua a perseguitarci. Se c’è un futuro, ci diciamo, non può imitare il passato. 

Certamente il coronavirus è una questione seria e sicuramente la sua diffusione è una conseguenza del suo pericolo per il corpo umano; ma qui ci sono problemi sociali che portano a un’attenta riflessione. La chiave di qualsivoglia discussione deve essere il vero e proprio collasso delle istituzioni statali nella maggior parte del mondo capitalista, dove queste istituzioni sono state privatizzate e dove le istituzioni private hanno lavorato per minimizzare i costi e massimizzare i profitti. 

Li Zhong, Cina, Dipinti per Wuhan, 2020

Ciò è più evidente nel settore sanitario, dove le istituzioni sanitarie pubbliche sono state sottofinanziate, dove le cure mediche sono state trasferite a società private e dove ospedali e cliniche private operano senza alcuna capacità di gestire un’improvvisa impennata del flusso di pazienti. 

Ciò significa semplicemente che non ci sono abbastanza letti o attrezzature mediche (mascherine, ventilatori etc…) e che gli infermieri, i medici, i paramedici, gli inservienti e altri in prima linea sono costretti a operare in condizioni di drammatica scarsità, in molti casi senza le protezioni basilari. Sono spesso le persone che guadagnano il minimo a mettere in gioco il massimo per salvare vite di fronte a una rapida pandemia. Quando scoppia una pandemia, il modello di austerità del settore privato cade semplicemente a pezzi. 

Li Zhong, Cina, Dipinti per Wuhan, 2020

Si aggiunga a questo che il nostro sistema economico è stato talmente incline a favorire il settore finanziario e la plutocrazia che -per lungo tempo- ha semplicemente ignorato l’aumento su larga scala dell’occupazione precaria permanente, della sottoccupazione e della disoccupazione. Questo non è un problema creato dal coronavirus o dal calo dei prezzi dl petrolio; questo è un problema strutturale per il quale un termine-precariato o proletariato precario-è stato inventato almeno una decina di anni fa. Con la chiusura e l’isolamento sociale molte attività hanno chiuso, e i lavoratori precari realizzano che la loro precarietà li definisce interamente. Anche i politici borghesi più incalliti sono ora costretti a confrontarsi con la realtà di due punti: 

1. Che i lavoratori esistono. Lo sciopero generale imposto dallo stato per prevenire la diffusione del virus e le sue conseguenze hanno dimostrato che sono i lavoratori a produrre valore nella nostra società e non “gli imprenditori”che generano idee, che secondo loro producono fantasiosamente ricchezza. Un mondo senza lavoratori è un mondo che si ferma. 

2. Che la quota di ricchezza e reddito globale che i lavoratori controllano è adesso così bassa che hanno riserve limitate, quando i loro redditi derivanti da lavoro pesante collassano. Negli Stati Uniti, uno di paesi più ricchi al mondo, uno studio della Federal Reserve del 2018 ha rivelato che il 40% delle famiglie statunitensi non ha i mezzi per sostenere spese impreviste di circa 400 dollari. La situazione non è molto migliore nel’Unione Europea, dove i dati Eurostat mostrano che il 32% delle famiglie non può sostenere spese impreviste. Questo è il motivo per cui negli stati capitalisti si parla ora di un ampio sostegno al reddito -persino di un reddito di base universale- per gestire il collasso dei mezzi di sussistenza e stimolare la domanda dei consumatori. 

 


Josef Lee (Singapore), Fumetti in risposta al coronavirus, 2020

La scorsa settimana, l’International Peoples Assembly (Assemblea internazionale dei popoli) e Tricontinal: Institute for Social Research (Tricontinentale: Istituto per la ricerca sociale) hanno pubblicato un programma di 16 punti per questo momento complicato.

Una concatenazione di crisi ci ha colpito: ci sono le crisi strutturali a lungo termine del capitalismo (calo del tasso di profitto, bassi tassi di investimento nel settore produttivo, sottoccupazione e occupazione precaria), e ci sono crisi congiunturali a breve termine (crollo del prezzo del petrolio e coronavirus).

E’ ormai ampiamente riconosciuto, anche dalle case d’investimento, che la strategia di ripresa dalla crisi finanziaria del 2008-2009 non funzionerà; pompare grandi quantità di denaro nel settore bancario non sarà di aiuto. Sono necessari investimenti diretti in aree che in precendenza avevano subito gravi tagli di austerità, aree come l’assistenza sanitaria, compresa la sanità pubblica e il sostegno al reddito. Manuel Bertoldi del Frente Patria Grande (Argentina) ed io, proponiamo un serio dibattito su questi temi. Più che un dibattito su ciascuna politica separatamente, abbiamo bisogno di una discussione sulla natura dell’ intendere lo stato e le sue istituzioni.
Un risultato fondamentale del capitalismo dell’austerità è stato quello di delegittimare l’idea delle istituzioni statali (in particolare quelle che migliorano il benessere della popolazione). In Occidente, l’atteggiamento tipico è stato quello di attaccare il governo come nemico del progresso; ridimensionare le istituzioni governative-eccetto l’esercito-è stato l’obiettivo. Qualsiasi paese con un governo e una struttura statale solidi è stato definito “
autoritario”.

Ma questa crisi ha scardinato quella certezza. I paesi con istituzioni statali intatte, che sono state in grado di gestire la pandemia, non possono essere facilmente liquidati come autoritari; la comprensione generale è stata anzi che questi governi e quelle istituzioni statali sono stati efficienti. Al contrario, gli stati dell’Occidente che sono stati divorati dalle politiche di austerità stanno ora armeggiando per affrontare la crisi. Il fallimento del sistema sanitario “di austerità2 è ora chiaramente visibile. E’ impossibile continuare a sostenere che la privatizzazione e l’austerità siano più efficienti di un sistema di istituzioni statali reso efficiente nel tempo dal processo di tentativi ed errori. 

 

Abduh Khalil (Egitto), Senza Titolo, 1949 

Il coronavirus si è ora insinuato in Palestina; fatto molto allarmante, c’è almeno un caso a Gaza, che è una delle più grandi prigioni a cielo aperto del mondo. Il poeta comunista palestinese Samih al-Qasim (1939-2014) definiva la sua patria “la grande prigione”, dal cui isolamento ci ha donato la sua poesia luminosa. Una delle sue poesie, “Confession at midday” (Confessione a mezzogiorno), regala un breve viaggio attraverso il danno emozionale fatto al mondo dall’austerità e dal neoliberismo: 

Ho piantato un albero

Ho disprezzato il frutto

Ho usato il suo tronco come legna da ardere

Ho fatto un liuto

E ho suonato una melodia

Ho rotto il liuto

Perso il frutto

Perso la melodia 

Ho pianto sull’albero 

 

Il coronavirus ha appena iniziato il suo impatto sull’India, il cui sistema sanitario pubblico è stato profondamente eroso da una generazione di politiche economiche neoliberiste. In India, lo stato del Kerala (35 milioni di abitanti), governato dal Fronte Democratico di Sinistra, è nel mezzo di una campagna per combattere il coronavirus, come Subin Dennis, ricercatore del Tricontinental Institute for social research ed io , chiariamo in questo rapporto. I nostri risultati suggeriscono che il Kerala ha alcuni vantaggi intrinsechi e che ha messo in atto misure meritevoli di studio.

 

 

In che modo il Kerala sta affrontando la pandemia del coronavirus?

1 I governi di sinistra del Kerala negli ultimi decenni hanno lottato per mantenere e addirittura estendere il sistema sanitario pubblico

2 I partiti e le organizzazioni di sinistra del Kerala hanno contribuito a sviluppare una cultura dell’organizzazione, della solidarietà e dell’azione pubblica. 

3 Il governo di sinistra del Kerala è stato rapido nel mettere in atto misure per rintracciare le persone infette dal virus attraverso la “tracciabilità dei contatti” e i test nei centri di trasporto.

4 Il Primo Ministro e il Ministro della Salute hanno tenuto conferenze stampa quotidiane che hanno fornito in maniera pacata al pubblico informazioni credibili e un’analisi della crisi e degli eventi in corso

5 Lo slogan “spezzate la catena” cattura il tentativo da parte del governo e della società di imporre forme di isolamento fisico, quarantena e trattamento per prevenire la diffusione del virus.

6 Lo slogan “Distanza Fisica, Unità Sociale” sottolinea l’importanza di raccogliere risorse per assistere le persone in difficoltà economiche e psicologiche . 

7 L’azione pubblica- guidata da sindacati,gruppi di giovani, organizzazioni femminili e cooperative- di pulizia e preparazione delle forniture ha sollevato lo spirito delle persone, incoraggiandole ad avere fiducia nell’unità sociale e a non frammentarsi nel trauma.

8 Infine il governo ha annunciato un pacchetto di aiuti del valore di 20.000 crore di Rupie, che include prestiti alle famiglie attraverso la cooperativa femminile Kudumbashree; stanziamenti più elevati per un regime di garanzia dell’occupazione rurale; due mesi di pensione agli anziani; cereali gratuiti; e ristoranti per fornire cibo a tariffe agevolate. I pagamenti delle utenze di acqua ed elettricità nonché gli interessi sui pagamenti del debito saranno sospesi. 

Questo è un programma razionale e dignitoso; esso, insieme al piano in 16 punti, andrebbe studiato ed adottato altrove. Tergiversare significa giocare con la vita delle persone.

 

Kate Janse Van Rensburg (Sud Africa), Marco Rivadeneira, 2020

La Colombia ha messo in atto una quarantena nazionale di 19 giorni. Nel frattempo nelle carceri in Colombia i detenuti hanno protestato contro il sovraffollamento e le cattive strutture sanitarie, temendo il conto dei morti qualora il coronavirus dovesse oltrepassare le mura carcerarie; la repressione da parte dello stato ha causato la morte di 23 persone. Questa è una paura comune a tutte le carceri del mondo. 

Nel frattempo, il 19 Marzo, Marco Rivadeneira, un importante leader del movimento agricolo e contadino in Colombia, si è riunito con i contadini nel comune di Puerto Asìs. Tre uomini armati hanno fatto irruzione durante l’incontro, hanno catturato Marco e lo hanno assassinato. E’ uno degli oltre 100 leader di movimenti popolari assassinati quest’anno in Colombia e uno degli 800 assassinati dal 2016 quando la guerra civile fu sospesa. Come mostra il dossier 23 di Tricontinental: Institute for Social Research, questa violenza è una conseguenza della riluttanza dell’oligarchia di permettere alla storia di avanzare. Vogliono ritornare a una situazione “normaleche li avvantaggia. Ma Marco voleva creare un nuovo mondo. E’ stato ucciso per la speranza che lo motivava. 

 

Tratto da:
https://consortiumnews.com/2020/03/27/covid-19-we-wont-go-back-to-normal-because-normal-was-the-problem/

Traduzione a cura di Renato Nettuno

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