di Davide Gionco
La perdurante campagna di terrorismo mediatico intorno alla pandemia del covid-19 (perché se fosse informazione corretta, sarebbe un’altra cosa) fa leva sul nostro istinto di sopravvivenza: se so che una certa azione comporta dei rischi per la mia incolumità, la evito. Si tratta di un atteggiamento che funziona bene nel caso di un pericolo immediato, come il rischio di un incidente stradale, ma che non sempre porta dei vantaggi nel caso di situazioni che perdurano nel tempo.
Un esempio classico è quello del fumo: tutti sanno che fumare fa male e che riduce la speranza di vita, tuttavia molti fumano (per la cronaca: non sono un fumatore), perché ritengono che fumare sia un “piacere della vita”, che la rende più piacevole, anche se forse più breve. Tutti sanno che un’alimentazione sana unita ad una regolare attività fisica è qualcosa che può allungare la vita, ma molte persone preferiscono alimentarsi con cibi più saporiti (anche se meno sani) e non affaticarsi a fare sport, preferendo altre attività ritenute più piacevoli. Tutti sanno che è pericoloso viaggiare, tuttavia molte persone viaggiano, perché viaggiare consente di lavorare, di rendere visita a persone care, di gustare qualche splendido angolo del mondo.
Il famoso filosofo Epicuro di Samo (341-270 a.C.) si era giustamente occupato del ruolo del piacere nella vita umana. Non siamo dei vegetali che devono sopravvivere, ma delle persone che desiderano vivere, riempire la propria esistenza di esperienze piacevoli che rendano la vita degna di essere vissuta.
Ho conosciuto una signora che era terrorizzata dai “microbi” che avrebbero potuto far ammalare i suoi figli. Per questo non lasciava mai i figli uscire di casa, per ridurre i rischi di malattie. Alla fine i figli si ammalarono comunque, una volta diventati adulti. E in compenso crebbero come delle persone tristi ed asociali, perché per evitare le malattie avevano sistematicamente evitato di tessere relazioni sociali.
Gli gnu della savana sanno che per vivere (nutrirsi, accoppiarsi, riprodursi) dovranno passare dall’altra parte del fiume, dove li attendono i verdi pascoli. Per questo motivo non esitano ad attraversare il fiume infestato dai coccodrilli. Sanno che qualcuno morirà (il quale lotterà per non soccombere), ma sanno anche che è il prezzo da pagare per continuare a vivere.
E noi essere umani, come ci siamo ridotti dopo un anno di pandemia e di misure di confinamento?
Abbiamo ridotto ai minimi termini le nostre relazioni sociali, proprio noi che siamo la specie sociale per eccellenza: chiusi in casa per evitare i rischi del contagio, senza potere scherzare (o piangere) con gli amici, senza poter corteggiare una ragazza di cui ci siamo innamorati, senza poter partecipare al funerale di una persona cara deceduta (sì, siamo arrivati anche a questo), senza poterci gustare un’opera d’arte o un concerto musicale, senza poter andare al mare a godersi il tramonto sulla spiaggia.
Si tratta di attività definite “non essenziali”, senza le quali, però, nessuno di noi potrebbe vivere. Se i nostri genitori non si fossero innamorati in occasione di attività “non essenziali” (un ballo, una vacanza al mare, in pizzeria, tutte cose oggi rigorosamente vietate in nome del covid…), non ci avrebbero messi al mondo e nessuno di noi oggi esisterebbe. Le attività legate alla socializzazione sono quindi più che mai essenziali per l’esistenza degli essere umani e per la perpetuazione della nostra specie.
Stiamo smettendo di fare all’amore. Secondo uno studio che ha coinvolto 500 italiani fra i 16 ed i 55 anni, lo stress generato al terrore sociale e dalle misure di confinamento ha portato ad un calo del desiderio sessuale, con conseguente riduzione dei rapporti. Fare all’amore con la persona che si ama è una attività essenziale o non essenziale?
Stiamo smettendo di fare figli. Nel 2020 ci sono stati circa 80 mila morti in più rispetto alla media, ma nessuno ha fatto notare come ci siano stati 160 mila nati in meno rispetto al 2010 (nostra stima, in attesa dei dati ufficiali ISTAT per il 2020). Questo processo di denatalità è peraltro in atto da molti anni, probabilmente causato dalle paure e dalle incertezze della persistente crisi economica, perché sempre meno giovani coppie osano investire nel futuro. Se giustamente intendiamo salvare dal covid-19 le persone anziane che abbiamo a cuore, per quale motivo abbiamo rinunciato a dare origine a nuove vite? Il fatto di non mettere al mondo dei figli, che certamente saprebbero riempire di gioia la vita degli adulti, oltre che garantire un futuro alla nostra società, significa privarsi di affetti fondamentali per la nostra esistenza, probabilmente molto di più di quanto lo siano gli affetti verso le persone anziane delle quali prolungheremo la vita grazie alle misure anti-covid.
Anche se, ovviamente, non si tratta di numeri comparabili, vale di più prolungare di qualche anno la vita delle persone anziane o mettere al mondo dei nuovi bambini che le sostituiscono, secondo come ha previsto Madre Natura? Che senso ha attuare misure di restrizione sociale anti-covid (unite al terrorismo mediatico) che consentono di salvare alcune decine di migliaia di vite di persone anziane, se poi questo ci costa, socialmente parlando, una riduzione del numero delle nascite di nuovi bambini? Oltre a danni sociali difficilmente misurabili in tutta la società.
Ogni anno in Italia muoiono circa 70 mila persone per le conseguenze del fumo (il “piacere della vita” sopra citato). Nessuno se ne scandalizza, eppure potremmo evitare queste morti con un ferreo divieto del fumo in Italia, che sarebbe certamente molto meno devastante, dal punto di vista sociale, delle limitazioni imposte per evitare un numero eccessivo di morti per covid-19.
Ogni anno muoiono in Italia circa 40 mila persone per le conseguenze dell’alcolismo. Nessuno se ne scandalizza. Perché non si vieta in modo assoluto il consumo di alcool? Non lo si fa, perché l’alcool, se assunto con moderazione, è uno dei piaceri della vita, ma un divieto assoluto dell’alcol sarebbe socialmente meno dannoso dell’attuale lockdown.
Con le restrizioni anti-covid abbiamo sostanzialmente sospeso ogni iniziativa di tipo economico: chi mai può pensare (a parte Jeff Bezos, che ci sta guadagnando con le vendite online) di fare investimenti economici in un periodo portatore di tutte queste incertezze per il futuro?
E’ stata uccisa la speranza in un futuro migliore, ciò che dà sapore alla vita che viviamo. Siamo stati ridotti a vegetali da mantenere in vita, mentre prima eravamo persone che vivevano.
In tutta la sua storia l’umanità ha affrontato numerose pandemie, anche molto più gravi di quella attuale, senza per questo mai cessare di godersi la vita, di fare figli e di investire nel futuro. La naturale paura di morire non ha mai portato a smettere di vivere, riducendosi a sopravvivere. Agli eventi della vita, comprese guerre e malattie.
Non si tratta di un discorso cinico, ma del significato e della qualità della nostra vita: fino a che punto ha senso che una intera società RINUNCI A VIVERE, per mesi e mesi, senza prospettive, solo per ridurre l’incidenza di una delle molte cause di morte fra la popolazione?
E’ qualche cosa che ricorda la situazione di persone che sono state rapite, rinchiuse in carcere a vita o detenute in confino, le quali sono ridotte a vivere alla giornata, senza poter guardare al futuro, senza poter sognare qualcosa che possa dare senso alla loro vita. La speranza viene ridotta all’attesa che la situazione di reclusione finisca, senza alcuna idea su quello che seguirà.
Il coronavirus in un anno ha fatto 80 mila morti su di una popolazione di 60 milioni di abitanti, il che significa lo 0,13% di morti per questa malattia. Se non ci fossero state le misure restrittive, ma sono misure mirate a proteggere le persone a rischio, supponiamo che saremmo arrivati ad un tasso di mortalità dello 0,2% (120 mila morti). Evitare la morte dello 0,2% della popolazione vale il prezzo della distruzione della socialità, del senso di vivere delle restanti 59’780’000 persone?
Forse dietro a tutto questo c’è una visione egoistica della vita: abbiamo paura di morire, abbiamo paura che muoiano i nostri cari. Per questo preferiamo imporre a tutti quanti di smettere di vivere, per ridurre il rischio a nostro carico di dover soffrire.
Anche io ho toccato con mano la morte di persone care a causa del covid, anche io sto attento a non contagiare le persone a rischio, per rispetto della salute di quelle persone. Ma per questo non mi sento in diritto di mancare rispetto alla stragrande maggioranza di persone “non a rischio”, privandole del mio apporto di socialità, di vita piena.
Mi auguro che queste riflessioni aiutino a superare la sterile contrapposizione “normali contro negazionisti” o “vaccinisti contro antivaccinisti”. Non è questo il punto. Il punto è che, senza accorgercene, stiamo diventando persone disumane, perché stiamo reprimendo la nostra umanità in nome delle misure di prevenzione anti-covid. Siamo davvero sicuri che il prezzo che pagheremo per questo, alla fine, non sia ben più alto di quello che avremo guadagnato?
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