Nella programmazione neurolinguistica giocano un ruolo fondamentale le cosiddette “cancellazioni”. Si chiamano così quei pezzi di informazione omessi (involontariamente o dolosamente) da un discorso, così da renderlo più “povero” e più facilmente fraintendibile. Una tipica cancellazione è quella costituita dal cosiddetto “comparativo mancante”. Significa utilizzare un comparativo relativo (ad es. “meglio”, “più”, “meno”, ecc.) a cui manca il termine di paragone.
Se dico che “è meglio” fare o non fare, dire o non dire, scegliere o non scegliere una certa cosa, una certa parola, una certa strada, ma non specifico rispetto a cosa “è meglio”, sono incappato in quella peculiare violazione che la PNL cataloga sotto la specie di cui stiamo trattando: il comparativo mancante, appunto. Lo stesso ovviamente può valere per avverbi come “più” o “meno” oppure “peggio” o per aggettivi comparativi come “migliore di” o “peggiore di” o per superlativi assoluti come “il migliore” o “il peggiore”.
Tutti gli elementi linguistici in grado di evocare un confronto devono metterci in allarme, da un punto di vista piennellistico, rispetto alla “pietra di paragone”. Se quest’ultima non c’è, ci troviamo davanti a un “comparativo mancante” anche se sarebbe più corretto definirlo “comparativo carente”; per la precisione, carente del suo termine di paragone.
Accade spesso, nel linguaggio comune, di imbattersi in una affermazione “monca”. Per esempio: “Bisogna migliorare questa situazione”. Al che andrebbe replicato: “Va bene, ma migliorarla rispetto a cosa?”. Oppure: “Ti stai comportando sempre peggio”. E qui si potrebbe rispondere: “Peggio in che senso? Rispetto a chi, o a cosa?”.
Ripensiamo al mitico slogan già accennato in chiusura del precedente paragrafo (“Ci vuole più Europa”) e affrontiamolo alla luce di questa peculiare declinazione del metamodello.
Nel caso del “Ci vuole più Europa”, dovremmo chiederci – e chiedere a chi ci rivolge tale esortazione – di essere più preciso: più Europa in che senso? “Più” rispetto a quale Paese dell’Unione? Oppure “più” rispetto a quale livello (ritenuto evidentemente scarso)? E soprattutto, quando finirà l’era del “Ci vuole più Europa?”. Ci sarà un momento in cui questa “Europa” sarà bastevole, sufficiente, adeguata per le aspettative di chi ne chiede sempre di più?
La potenza di questo slogan sta, ancora una volta, nella sua assoluta genericità e la prova di quanto esso sia radicato nel dibattito pubblico italiano è la nascita di un partito i cui fondatori hanno scelto proprio questo nome, e il corrispondente suo programma, qualunque esso sia: “PIÙ EUROPA”.
Di fronte ai comparativi mancanti dobbiamo esigere dettagli, precisazioni, dati, statistiche, argomentazioni. Se siamo arrivati dove siamo arrivati – e cioè a una quasi estinzione di quella entità nazionale che risponde al nome di Repubblica italiana – è proprio per questa ragione: abbiamo accettato per troppo tempo, senza fiatare e senza reagire, di farci raccontare il tema dell’unificazione attraverso un linguaggio povero e mistificante come quello indagato, in PNL, dal filtro del metamodello.
Infatti, nel processo di unificazione europea è stato fatto ampio uso del “Milton Model” anche rispetto al comparativo mancante. Ci riferiamo – ormai dovrebbe essere chiaro – al deliberato impiego di un linguaggio impoverente (proprio perché generico, quindi a-specifico, e pertanto fortemente suggestivo e manipolatorio).
Non dobbiamo mai sottovalutare l’importanza del linguaggio. Il linguaggio è lo strumento attraverso il quale noi filtriamo il mondo, lo raccontiamo a noi stessi e agli altri, e ce lo facciamo raccontare. Un uso distorsivo del linguaggio può essere frutto non solo di negligenza e insipienza del soggetto comunicante, ma anche – come abbiamo già più volte sottolineato – di una scelta strategica di chi (magari dietro le quinte dei media generalisti) ha deciso di imporci una certa road map della Storia, oltre che una ben precisa “mappa del mondo”.
Proprio il concetto di “mappa del mondo”, in PNL, riveste un ruolo cruciale.
Ma che cos’è la mappa del mondo, in fin dei conti? È il modo singolare e irripetibile, proprio di ciascuna persona, di raffigurarsi la vita, le cose, gli eventi, gli ambienti, gli altri. Significa, né più né meno, che non esiste solo “un” mondo. Esistono tanti mondi quante sono le teste degli abitanti di questo pianeta. Ciascuno vede la realtà attraverso la “griglia” dei suoi cinque sensi, delle sue esperienze, dei suoi valori, dei suoi interessi, delle sue credenze, del suo patrimonio culturale e linguistico, e quindi anche del bagaglio semantico e sintattico di cui dispone.
La mappa del mondo è fondamentale perché, come insegnano nei corsi di PNL (con un paradosso ricco di verità), “la realtà non esiste”. Non c’è un solo mondo, una sola realtà. Ci sono, piuttosto, tanti “mondi” e tante “realtà” quante sono le mappe delle persone: vale a dire, in definitiva, quante sono le teste pensanti sparse per il globo.
Per capire meglio questo fondamentale concetto, pensate a un “fatto” indubitabile come l’esito dell’ultima finale di un mondiale di calcio. Anno 2018: Francia batte Croazia 4-1. Nella mappa del mondo di un tifoso, diciamo pure di un ultrà transalpino, questa non è solo una finale, è un “trionfo”, una “goduria”, un “giorno memorabile”. Per un supporter croato potrebbe essere invece un “dramma”, una “tragedia nazionale”. Oppure, per un altro spettatore di Zagabria non così coinvolto, magari meno estremista e più equilibrato, potrebbe trattarsi di una “straordinaria impresa” della nazionale di calcio di Modric e compagni. Da come guardi il mondo, tutto dipende. Lo cantava qualche anno fa Jarabe de Palo ed è la sintesi perfetta di questo concetto della PNL.
Ora, se le mappe sono tante quante le persone, è anche vero che – lavorando adeguatamente con i sistemi di comunicazione di massa, attingendo alla forza evocativa dei simboli e a quella del linguaggio – è possibile creare, letteralmente, delle mappe collettive sulle quali convergano le “adesioni” e il “consenso” di migliaia, o addirittura di milioni, di persone.
Ed ecco perché oggi va tanto ti moda la parola “storytelling”, soprattutto in politica. Lo storytelling è il “racconto”, il modo in cui il mondo ti viene “narrato”. Cioè il modo in cui si può intenzionalmente generare una nuova mappa collettiva. Per questa ragione, i detentori del potere politico, economico, finanziario sono così attenti all’uso dei media e della comunicazione, anche digitale. Sanno benissimo che conta molto più dei nudi fatti (ma esistono davvero, poi, i “nudi fatti”?) il racconto di essi; cioè il “rivestimento” linguistico posato sul corpo spoglio di quei poveri fatti. Con lo scopo, magari, di trasformarli in una interpretazione funzionale agli obbiettivi di chi governa il mondo.
Già Nietzsche, alla fine dell’Ottocento, sosteneva che non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Anche in questo, oltre che nella sua visione nichilista della società e dell’uomo, il filosofo tedesco è stato un precursore dell’epoca corrente.
Tornando all’espressione “Ci vuole più Europa” e al comparativo mancante, si tratta di una straordinaria forma di contaminazione della nostra esperienza soggettiva, quindi della nostra personale mappa del mondo. Ricordiamoci che il linguaggio generico e poco preciso infarcito di generalizzazioni, distorsioni, cancellazioni (quindi, il “Milton Model”) determina, sempre e comunque, l’impoverimento della mappa del mondo di una persona ed è quindi un riduttore di complessità. Il che può tradursi in un considerevole aumento delle libertà individuali se lo strumento è usato da un bravo psicoterapeuta nei confronti del proprio paziente; ma anche in una drastica diminuzione di libertà collettive se esso è impiegato con finalità manipolatorie in altri settori del vivere.
Se ci abituiamo a pensare per slogan, ad accettare gli slogan, a cantilenare gli slogan anche in ambito politico (“Ci vuole più Europa”, “Ce lo chiede l’Europa”, eccetera eccetera) così come facciamo con le pubblicità (“Non ci sono paragoni”, “Persone oltre alle cose”, eccetera eccetera) allora ci predisponiamo a essere manipolati.
Il comparativo mancante, nel caso di specie, è veramente tutto. Quest’ultima, nel caso non lo aveste notato, è per esempio una generalizzazione. Ed è anche una cancellazione sotto forma dicomparativo mancante. Ho scritto che il comparativo mancante è veramente tutto: ma perché mai – repetita juvant – il comparativo mancante è veramente tutto? Dovremmo chiedercelo. E, ancora: rispetto a che cosa esso “è tutto”?
Accettiamo la sfida delle domande di precisione appena formulate e proviamo a rispondere. Intanto, il comparativo mancante è tutto perché è precisamente quanto servirebbe per capire (e invece manca). Insomma, la mutilazione contenuta nell’esortativo (“Ci vuole più Europa…”) è il fattore dirimente: la parte taciuta del monito potrebbe fungere da pietra di paragone rispetto a quell’Europa che ci incitano a chiedere in dosi sempre più massicce. “Ci vuole più Europa…”: riempite i puntini. Come comparativo mancante potremmo inserire, tanto per esser chiari, “… piuttosto che Italia”. Già messa così, la frase è più esplicita e ci suscita anche una resistenza, o addirittura una ripugnanza, ben maggiore.
Molti di noi sono disposti ad accettare l’idea che “ci vuole più Europa” proprio perché non gli è mai stato detto (e non si sono mai chiesti) rispetto a cosa “ci vuole più Europa”. È uno slogan che non impegna, che va bene con tutto, come i vestiti delle mezze stagioni, a tinta neutra. Abbatte i nostri sacrosanti pre-giudizi e consente all’europeismo di farsi strada nel modo in cui si è sempre fatto, tradizionalmente, strada: all’insaputa, o quasi, del cittadino elettore e quindi decisore e pertanto titolare della cosa pubblica (detta, non a caso, Repubblica dal latino res publica, vale a dire “di tutti”).
Occhio: quello di procedere “all’insaputa” non è altro che lo stratagemma del cavalcare il mare senza che il cielo se ne accorga. Ancora una volta, torniamo alla filosofia di fondo dei 36 stratagemmi e di qualsiasi tecnica di manipolazione. Si tratta sempre di strumenti miscelati e utilizzati insieme. L’uno rafforza gli altri e tutti si rafforzano a vicenda.
Riassumendo, anche il comparativo mancante è un’arma a doppio taglio. La usiamo inconsapevolmente nei nostri discorsi di tutti i giorni, senza grossi problemi, ma ci viene poi ritorta contro come strumento di “educazione civica europea” o, meglio, di “formazione” di una nuova massa di cittadini filoeuropeisti. Pure in questo caso, come in tutti gli altri trattati nel presente saggio, c’è una sola possibilità di scamparla: la conoscenza. Se sappiamo come e quanto possono essere inquinate le mappe del mondo soggettive, ci accorgeremo immediatamente di chi sta provando ad alterare le nostre e in quale modo.
E cominceremo a fare, e a farci, domande di precisione: i soli quesiti in grado di preservare la nostra indipendenza di giudizio e la nostra capacità di affrontare e capire il mondo. Senza essere usati e senza trovarci a fare i conti con una mappa che non è la nostra. E con un mondo che non avremmo mai voluto, se ce lo avessero chiesto.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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