di Massimo Bordin
Un analista serio deve stare attento a non confondere la personale visione politica con il giudizio che fornisce sulla bontà o meno di un investimento, di un progetto, di una soluzione ad un problema. Beninteso, chi scrive qui promuove sempre le proprie preferenze, ma sente la necessità di dirlo ogni volta, senza prendere in giro i lettori facendo passare per oggettivo ciò che è soggettivo. Mi sono allora chiesto se, nel caso delle privatizzazioni, il mio giudizio fortemente negativo non fosse inficiato dall’ideologia.
Siccome mi sono risposto che l’alto valore che di norma attribuisco alla cosa pubblica nulla abbia a che fare con la mia netta condanna al fenomeno delle privatizzazioni, meglio chiarire i motivi del loro fallimento.
Le privatizzazioni non hanno funzionato, nè possono funzionare in futuro, perchè riguardano beni e servizi in regime di monopolio. E per fortuna che lo sono.
Il monopolio è un tipo di mercato dove esiste un unico venditore che offre un prodotto o un servizio per il quale non esistono sostituti stretti (monopolio naturale) oppure opera in ambito protetto (monopolio legale, protetto da barriere giuridiche). La domanda e l’offerta non si incontrano nel monopolio: semplicemente sono in mano ad un unico soggetto.
L’esperienza mi suggerisce che non tutti i beni ed i servizi siano in grado di prosperare in una situazione di monopolio. Anzi, pochissimi!
Immaginatevi di frequentare una cittadina dove esiste un unico Bar. E’ del tutto ovvio che se tutti gli avventori sono costretti ad andare lì perchè non c’è altra offerta, il proprietario potrà aumentare i prezzi dei prodotti come più gli pare e piace, abbassando pure l’asticella della qualità. Lo vediamo spesso quando frequentiamo località turistiche ad “imbuto”, dove per fruire delle bellezze del luogo incappiamo in un’offerta di tipo monopolistico (ehm, abito vicino a Venezia e credo di sapere di che parlo…).
Nonostante la concorrenza e la molteplicità dell’offerta siano positive per l’ottimizzazione dei servizi, non tutto può essere lasciato alla libertà di intraprendere. Alcuni servizi sono strategici per il benessere colletivo e devono prosperare solo in una situazione di monopolio. A tal proposito propongo un esempio personale.
Quando frequentavo l’università di Bologna, la mia casa madre era ancora nel bellunese, in una amena (ma bellissima) località che si chiama Valbelluna. Il treno per raggiungere Bologna (con cambio alla stazione di Padova) si trovava lungo l’asse chiamato Padova – Calalzo. Nonostante la tratta servisse alcune località importanti del Veneto come Feltre e Castelfranco, la parte alta della linea era considerata dai vertici aziendali un “ramo secco”. Tutti, nessuno escluso, considerano la montagna veneta strategica per storia, tradizione, turismo, sport, industria distrettuale degli occhiali e della refrigerazione, risorse idriche e chi più ne ha più ne metta. Tutti, nessuno escluso, piangono per il suo spopolamento e si stracciano le vesti se qualcuno dei duecentomila scarsi abitanti che risiedono nelle valli osano andare a vivere in pianura. “Così nessuno sfalcia i prati e arrivano parassiti e malattie”, “così avremo tragedie idriche tipo il Vajont”, “così muoiono i pittoreschi paesini famosi in tutto il mondo come Cortina d’Ampezzo”. Insomma, sul tema dello spopolamento tutti citano a modello Svizzera e Tirolo e nessuno frigna più dei bellunesi.
Quando però si va al sodo e si parla, ad esempio, di viabilità, i treni che attraversano quelle valli sono considerati una spesa inutile e superflua per la società trenitalia. Sono un costo, che andrebbe tagliato, visto l’esiguo numero degli utenti e l’asperità del vasto territorio bellunese.
Se la società fosse al 100 per 100 privata, la tratta Padova-Cadore andrebbe smantellata il più presto possibile, con inevitabile morte della montagna veneta. Dunque è ovvio, sacrosanto, e persino conveniente che le tratte dei treni riamangano pubbliche, anche se rappresentano un costo per l’azienda, così come appena descritto.
Ho proposto un esempio sulla viabilità non a caso, perchè farlo con istruzione e sanità sarebbe stato troppo semplice, e basti guardare a tal proposito agli Stati Uniti che hanno regimi misti pubblico-privato e che sulla tragedia di questi servizi dedicano ore di servizi CNN e di film Hollywoodiani strappalacrime.
Nel caso delle privatizzazioni di servizi pubblici operate soprattutto negli anni Novanta, si è ragionato in modo ideologico, promuovendo l’idea che la gestione privata funzioni sempre meglio di quella pubblica. In verità, l’esperienza ci dice che la gestione privata funziona meglio di quella pubblica quando abbiamo un privato che è in concorrenza con altri privati. In altre parole, se esiste un unico bar “statale” nel tuo paesello, bene sarebbe permettere ai privati di aprirne altri affinchè anche quello pompi a meraviglia birra e patatine. Ciò non è stato fatto per Eni, Autostrade ecc ecc. perchè il privato ha comprato dallo stato in regime di monopolio. Il privato, vista la ghiottissima occasione, ha profittato della ventata iperliberista e dei trattati capestro targati Unione Europea e si è comprato la concessione di un monopolio, indebitandosi fino al buco dello sbaragnaus.
I privati dunque non c’hanno messo soldi loro, ma DEBITO, perchè le banche – sapendo molto bene che si trattava di monopoli – prestarono quella volta anche la mamma!
Ho sostenuto in diverse occasioni che l’economia NON è una scienza. Ma nel caso delle privatizzazioni occorre ricredersi un attimino. Quando un monopolio naturale viene privatizzato, immancabilmente accade quanto segue: i prezzi del servizio aumentano, la qualità del servizio diminuisce cosi come gli investimenti. Tutto ciò che costa, anche se utile, viene smantellato. Ci sono pochissime cose di cui gli economisti possono essere certi. Ma questa è una di quelle.
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