Pubblicato da www.24heures.ch/
il 04.09.2019
L’ospite Michel Haldy, ex deputato svizzero, sottolinea l’attaccamento degli svizzeri al loro diritto, pegno d’identità.
Quando, nel 1992, con la maggioranza degli abitanti del cantone di Vaud, avevamo sottoscritto l’adesione della Svizzera allo spazio economico europeo, nel dibattito vi erano due opposte visioni politiche. I favorevoli puntavano sulla prospettiva di un’Europa liberata dalle follie delle guerre, rispettosa delle diversità; i contrari invocavano l’attaccamento ad una Svizzera la cui sicurezza e libertà si basano sulla saggezza di stare lontani da conflitti e poteri. Anche se era solo ancora un progetto [nel 1992] nella fase di bozza, la comunità europea ha suscitato le solide speranze di alcuni e le ipotesi prudenti di altri.
Un quarto di secolo dopo le reazioni alla consultazione sul progetto di accordo istituzionale sono contrassegnate da aspetti economici. Questo cambiamento nelle priorità apparenti ha una spiegazione. Gli uomini non sono quasi cambiati, ma l’approccio concreto evidenzia gli interessi materiali e, soprattutto, l’evoluzione dell’Unione Europea che ha preso la direzione opposta alle aspettative di allora.
Questa deriva del dibattito non cambia la natura delle conseguenze: a breve termine, i calcoli economici tengono conto dei vantaggi e delle convenienze dell’attuale generazione; nel lungo termine, invece, le scelte politiche determinano il paese che verrà ereditato dai nostri discendenti.
“L’integrità delle nostre istituzioni non è una mera preferenza”
Dei cinque requisiti della mozione della Camera dei Cantoni adottata il 12 giugno, due – la legislazione sull’esecuzione e la risoluzione delle controversie – toccano la questione fondamentale della sovranità.
Questo valore significa la protezione delle comunità attaccate ad una terra.
Per la Svizzera e i suoi Cantoni, che condividono la sovranità, l’integrità delle nostre istituzioni non è una mera preferenza, ma la condizione di armonia e durata dell’alleanza confederale.
Apparteniamo a varie culture. Tre di loro sono quelli dei nostri grandi vicini [Germania, Francia, Italia].
Questa realtà rende la struttura federalista una insostituibile garanzia di rispetto per le minoranze. Questo è sufficiente per escludere l’adozione in automatico di un diritto proveniente dall’estero, non possiamo fare affidamento su comitati congiunti o un processo arbitrale. Considerando le istituzioni come libertà personali, l’attaccamento delle persone al loro diritto, una garanzia della loro identità, è una costante nella nostra storia.
A questo proposito, il termine stesso “ripresa dinamica” del diritto europeo, rischio permanente di cambiamenti incontrollati, è in contraddizione con la preziosa qualità della sicurezza del diritto.
Contrariamente a molte altre questioni politiche, la questione dei negoziati con l’Unione Europea riguarda un bene comune per tutti noi.
Per il cittadino comune il dibattito richiede un approccio che rispetti due regole:
1) la sovranità non deve essere, o apparire, la prerogativa di una parte sola;
2) i legami ereditati dal nostro passato vietano di ostracizzare i Confederati a causa dell’ardore del loro patriottismo.
Il Consiglio federale ha avuto il merito di fare le consultazioni in termini incoraggianti la libertà di espressione. L’uso di questi ultimi può servire solo le nostre autorità e la nostra diplomazia, soprattutto per fare comprendere ai nostri interlocutori che ne sono capaci, che una Confederazione di Stati secolare non ha solo delle preoccupazioni economiche.
Tratto da:
https://www.24heures.ch/signatures/reflexions/enjeu-politique-laccord-institutionnel-lue/story/26501631
Traduzione a cura di Mario Grisorio
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