di Maria Giuliana Civinini e Giuliano Scarselli
Il perdurare dello stato di emergenza propone ancora il tema della necessità di un coordinamento del diritto alla salute con gli altri diritti fondamentali della persona, in particolare nell’ottica delle disposizioni del codice della protezione civile. Il dubbio sulla legittimità costituzionali dei provvedimenti restrittivi della libertà personale si coniuga necessariamente con l’auspicio del ritorno alla normalità degli uffici giudiziari.
1. In data 31 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri deliberava, per sei mesi dalla data del provvedimento, lo Stato di emergenza “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.
A seguito di detta delibera, su specifica posizione degli istituti scientifici sanitari, sono seguiti una serie di provvedimenti che, oltre a disciplinare i poteri straordinari attribuiti alla protezione civile e ad altre pubbliche amministrazioni, hanno inciso in modo totalmente nuovo e non secondario sui diritti dei cittadini.
Da ciò sono seguiti un certo numero di contributi, interviste sui giornali, video conferenze, ed altro, aventi ad oggetto il rapporto tra la normativa urgente dovuta al Covid 19 e la nostra Carta costituzionale.
A questo dibattito, seppur dopo varie esitazioni, abbiamo deciso di partecipare anche noi, e lo facciamo volutamente ora, in un momento in cui tutti viviamo la speranza che il peggio sia alle spalle.
Sia consentito, prima di arrivare al cuore della questione, porre alcune considerazioni preliminari.
a) La prima è che pubblichiamo questo scritto con una certa titubanza, con uno stato d’animo mai provato prima.
Si è avvertito, infatti, fra la gente, e purtroppo talvolta anche fra gli operatori giuridici, la volontà di affermare su questi temi il pensiero unico, l’idea che le cose potessero stare in un certo modo e basta, e che ogni dubbio fosse inopportuno, un vezzo fuori luogo in un contesto drammatico e doloroso.
Ebbene, il nostro intervento serve allora in primo luogo per contrastare queste posizioni e per affermare che anche in un periodo di emergenza sanitaria la libertà delle idee non può venir meno.
b) Si è soprattutto affermato che il diritto alla salute è il primo, assoluto, diritto della persona, e che ogni altro diritto, comprese la libertà personale e l’economia, devono semplicemente cedere il passo, senza alcun contemperamento tra l’un diritto e l’altro.
La posizione è probabilmente condivisibile di fronte alla pandemia che ancora stiamo vivendo; sia consentito tuttavia sottolineare che una idea del genere non emerge dalla Costituzione, e non è mai stata sostenuta da alcun costituzionalista ad oggi.
In verità, è discutibile si possa porre una scala di valori tra libertà e salute; ciò avviene nei sistemi dittatoriali, non può avvenire nel nostro.
Ad ogni modo, se si vuole, il primo diritto della persona riconosciuto dalla nostra Costituzione è proprio quello della libertà personale, che apre con l’art. 13 la Parte Prima dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, mentre la disciplina del diritto alla salute si trova all’art. 32.
E possiamo altresì ricordare che in tempi non sospetti, 1974, un costituzionalista quale Alessandro Pace, con la voce dell’Enciclopedia del Diritto Libertà personale (dir. cost.), scriveva espressamente che “Va subito affermato che non sembra che l’art. 13 possa cedere all’art. 32; pertanto tutte le restrizioni coattive per motivi di sanità devono di necessità seguire la via giurisdizionale prevista da quell’articolo” (pag. 298). Ed ancora Alessandro Paci “D’altro canto mai potrebbe, dall’autorità pubblica, essere invocato l’art. 32 Cost. per derogare, per motivi di salute, alla portata e alle garanzie dell’art. 13” (pag. 296).
Con questo, nessuno vuole prestarsi al gioco di stabilire se viene prima la libertà o la salute; solo sottolineare che ha costituito una novità l’idea che in nome della tutela della salute tutto potesse essere possibile e lecito.
È vero poi che i provvedimenti assunti hanno avuto durata limitata nel tempo; ma è anche vero che essi sono già stati più di una volta prorogati, e non è chiaro il termine entro il quale finiranno definitivamente.
Siamo arrivati alla data del 3 maggio; speriamo vivamente non vi siano ulteriori proroghe.
c) L’altra idea sulla quale, di nuovo, non si è ammesso discussione, è quella secondo la quale su questi temi la decisione spetta ai medici, che sono gli unici in grado di conoscere la materia; la politica altro non deve fare se non attenersi alle indicazioni della scienza.
Sia consentito anche su ciò esternare qualche perplessità, non solo perché anche tra gli scienziati aleggiano opinioni diverse, ma anche, e diremmo soprattutto, perché la scienza non può trasformarsi in una nuova religione alla quale tutti dobbiamo solo ossequio e obbedienza.
Ed infatti, gli scienziati devono certamente dare la loro opinione e indicare cosa sia meglio fare per conseguire l’obiettivo della salute o del contenimento di una malattia.
Dopo ciò, però, ogni decisione deve spettare alla politica e agli organi costituzionali a ciò preposti.
E la politica non deve semplicemente mettere in atto quanto la scienza indica, ma deve al contrario avere la capacità, dopo l’attenta audizione dei medici, di equilibrare le esigenze della scienza con l’intero sistema, poiché accanto ai valori della scienza vi sono altri valori da considerare, altre esigenze di cui tener conto, altri diritti che non possono essere totalmente dimenticati, e che non spetta ai medici indicarci.
d) Un’ultima considerazione preliminare.
Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha spiegato in una intervista che a marzo 2019 i morti per polmoniti varie sono stati in Italia 15.189.
Addirittura nell’anno precedente, 2018, i morti per polmonite sono stati 16.220.
L’aspetto non attiene a profili giuridici e la lettura corretta e non impressionistica di quei dati – in comparazione coi dati dei decessi di Covid 19 , per Covid 19 o per insufficienza strutturale del sistema sanitario ad affrontare la crisi – richiede attenta analisi.
Tuttavia è evidente che questi numeri sono inquietanti, e terminata questa emergenza bisognerà interrogarsi su essi, ovvero chiedersi come sia stato possibile che negli anni passati tutto potesse essere considerato fisiologico, senza conseguenze per la vita e l’economia dei cittadini, e quest’anno viceversa si sia deciso di vivere in una sorta di blocco totale del paese.
2. E veniamo al tema: i provvedimenti presi in questi giorni sono conformi alla nostra Costituzione?
Qui ci sembra che la prima questione da far emergere sia proprio quella che la nostra Costituzione niente regola al riguardo.
La nostra Costituzione conosce lo “Stato di guerra” ex art. 78 Cost., non lo “Stato di emergenza”.
Non a caso, lo Stato di emergenza è stato dichiarato in base agli artt. 7, 1° comma lettera c) e 24, 1° comma del decreto legislativo 2 gennaio 2018 n. 1, quindi in base a legge ordinaria, ovvero in base al codice della protezione civile, e non in base a Costituzione.
Ora, noi crediamo che nessuno possa pensare che lo “Stato di emergenza”, possa essere equiparato allo “Stato di guerra”, visto anche che l’art. 78 Cost. non è soggetto ad interpretazione analogica.
Ad ogni modo lo “Stato di guerra” deve essere deliberato dal Parlamento, il quale stabilisce quali sono i poteri del Governo per far fronte alla situazione (art. 78 Cost.), e infine deve essere dichiarato dal Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.).
Nel nostro caso lo “Stato di emergenza” non è stato invece deliberato dal Parlamento, ne’ dichiarato dal Presidente della Repubblica.
Si aggiunga che, se da una parte è vero che la Costituzione non regola lo “Stato di emergenza”, dall’altra è parimenti vero che l’ipotesi di una pandemia quale quella in corso non è nemmeno regolata dal decreto legislativo circa il codice della protezione civile.
Ed infatti, si tenga conto che l’art. 24, 1° comma di detto codice stabilisce che, nei casi di cui all’art. 7, il Consiglio dei Ministri autorizza “l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25”.
In base all’art. 25 del codice della protezione civile le ordinanze in questione, che devono comunque essere adottate “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea”, hanno ad oggetto i contenuti di cui al secondo comma dell’art. 25, ovvero possono essere finalizzate (si trascrive l’art. 25, 2° comma del d. lgs 1/2018): “a) all’organizzazione ed all’effettuazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall’evento; b) al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, alle attività di gestione dei rifiuti, delle macerie, del materiale vegetale o alluvionale o delle terre e rocce da scavo prodotti dagli eventi e alle misure volte a garantire la continuità amministrativa nei comuni e territori interessati, anche mediante interventi di natura temporanea; c) all’attivazione di prime misure economiche di immediato sostegno al tessuto economico e sociale nei confronti della popolazione e delle attività economiche e produttive direttamente interessate dall’evento, per fronteggiare le più urgenti necessità; d) alla realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo nelle aree colpite dagli eventi calamitosi, strettamente connesso all’evento e finalizzati prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità, in coerenza con gli strumenti di programmazione e pianificazione esistenti; e) alla ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e paesaggistici e dal patrimonio edilizio, da porre in essere sulla base di procedure definite con la medesima o altra ordinanza; f) all’attuazione delle misure per far fronte alle esigenze urgenti di cui alla lettera e), anche attraverso misure di delocalizzazione, laddove possibile temporanea, in altra località del territorio regionale, entro i limiti delle risorse finanziarie individuate con delibera del Consiglio dei ministri, sentita la regione interessata, e secondo i criteri individuati con la delibera di cui all’articolo 28”.
In sostanza, si tratta di provvedimenti che sono stati evidentemente pensati per far fronte, ad esempio, ad un terremoto o ad una alluvione, ma non ad una pandemia virale quale quella che stiamo vivendo.
Dal che, in breve, deve dirsi che né la nostra Costituzione, né la nostra legge ordinaria offrono strumenti per dar disciplina giuridica all’odierna tragedia.
Questa constatazione dovrebbe avere due conseguenze:
a) la prima è che, terminata questa drammatica esperienza, è auspicabile un intervento costituzionale volto a regolare lo “Stato di emergenza”, al fine di evitare che i cittadini si trovino senza garanzie, e in balia delle decisioni del Governo, nella disgraziata ipotesi che fatti di questo genere dovessero ripetersi.
E va da sé che, ove si dovesse dare disciplina costituzionale allo “Stato di emergenza”, lì si dovrebbe, a nostro sommesso parere, prevedere che lo stesso debba esser dichiarato dal Parlamento con maggioranza qualificata, che debba essere il Parlamento a stabilire i poteri del Governo fissandone i limiti, e che in ogni caso non possano essere pregiudicati i diritti fondamentali della persona, né quelli che si riconducano ai c.d. diritti dell’uomo, e che ogni misura del Governo debba sempre essere proporzionata, strettamente adeguata e necessaria allo scopo, limitata nel tempo.
b) La seconda è che l’assenza di riferimento costituzionali e ordinari per far fronte ad una pandemia da virus non significa allora libertà piena per il Governo di adottare ogni misura.
A questo riguardo, ciò è escluso dallo stesso codice della protezione civile, che, come detto, all’art. 25 espressamente prevede che ogni provvedimento debba essere adottato “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea”.
Dunque, seppur la nostra Costituzione non contenga una disciplina specifica dello “Stato di emergenza”, non di meno la legislazione di emergenza deve rispettare la nostra Costituzione nonché i principi dell’Unione europea per quello che dalla nostra Costituzione e dai principi dell’Unione europea emerge.
3. Ora, a noi sembra che la situazione completamente inedita e gravissima dovuta al Covid 19 abbia indotto i nostri giuristi a minimizzare le questioni di costituzionalità.
Si è sostenuto al riguardo che le decisioni prese sono conformi alle indicazioni dell’organismo mondiale della sanità, nonché conformi a quelle adottate da altri paesi a regime democratico, quali la Francia, la Spagna, l’Inghilterra e gli Stati uniti d’America; si è altresì sostenuto che la stessa nostra Costituzione prevede limiti alla circolazione delle persone per ragioni di sanità (art. 16 Cost.), e che il diritto alla salute può imporre dei sacrifici in forza di un principio di solidarietà; infine si è rilevato che comunque in Italia non vi sono rischi per la democrazia, né prove di dittatura.
Ciò è vero, e queste nostre osservazioni non suonino come stonate critiche a quanto è stato fatto.
Solo si tratta, a ben vedere, della sovrapposizione di due momenti che devono invece tenersi separati.
Una cosa, infatti, è valutare se i limiti posti siano stati o meno conformi alla Costituzione, altra cosa è valutare se, stante l’emergenza, era possibile ritenere lecita, o comunque sopportabile, una sospensione dei diritti costituzionalmente garantiti.
E se si separano le questioni, e ci si limita solo a valutare la costituzionalità dei provvedimenti adottati, noi riteniamo che dubbi di legittimità costituzionale vi fossero, soprattutto con riferimento all’art. 13 Cost., sul quale, probabilmente, una maggiore attenzione e prudenza era dovuta.
In particolare ricordiamo che, a seguito del decreto 31 gennaio 2020 con il quale il Consiglio dei Ministri deliberava lo “Stato di emergenza”, si sono disposte:
a) limitazioni e divieti alla circolazione delle persone sul territorio nazionale, anche con divieto di spostarsi da Comune a Comune (art. 16 Cost.);
b) divieto di riunione o assembramento in luoghi pubblici, aperti al pubblico, o privati (art. 17 Cost.);
c) chiusura di cinema, teatri, musei, bar, ristoranti, imprese e attività commerciali, con la sola esclusione di quelle finalizzate a fornire beni di prima necessità (art. 41 Cost.);
d) sospensione di tutte le attività didattiche, nonché chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università (art. 33 Cost.);
e) sospensione di tutte le attività giurisdizionali non urgenti, con rinvio di ogni udienza e sospensione di ogni termine processuale, in una sorta di (quasi) chiusura degli uffici giudiziari e dei servizi di giustizia da questi garantiti (art. 24 Cost.);
f) sospensione delle cerimonie e funzioni a carattere religioso e dell’ingresso nei luoghi destinati al culto (art. 19 Cost.);
g) limitazioni al diritto di proprietà, con divieto di accesso a seconde case o altri beni situazioni a distanza dalla propria residenza o dal proprio domicilio (art. 42 Cost.);
h) soprattutto limitazioni alla libertà personale, prevedendo che la libertà di allontanarsi dalla propria abitazione fosse consentita solo per spostamenti individuali, limitati nel tempo e nello spazio e motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, o da motivi di salute (art. 13 Cost.).
Il tutto, infine, salvaguardato con sanzioni relegate a una autocertificazione con la quale veniva e viene sostanzialmente richiesto al cittadino di esercitare il proprio diritto di difesa al momento della contestazione, in violazione dell’art. 24 Cost. e delle garanzie procedimentali previste dagli artt. 13-18 della legge 689/1981.
Ora, a fronte di ciò, non si tratta di dar vita a sofisticate esegesi ermeneutiche, ma solo di porre delle questioni elementari, che ogni operatore giuridico è in grado di avvertire.
Al riguardo, considerata la particolarità del momento, si poteva anche ritenere che la chiusura di ogni attività commerciale e industriale non contrastasse con l’art. 41 Cost. nella misura in cui la libertà di iniziativa economica è comunque subordinata dalla nostra Costituzione alla “sicurezza”, termine entro il quale poteva rientrare la sicurezza sanitaria; e si può parimenti ritenere che impedire l’accesso alle seconde case non contrastasse con l’art. 41 Cost. in quanto la proprietà privata può sopportare limiti “allo scopo di assicurarne la funzione sociale” (art. 42), anche se certo i nostri padri costituenti non facevano riferimento ad ipotesi di questo genere quando costituzionalizzarono la funzione sociale della proprietà privata; e si può ancora sostenere che chiudere le scuole e sospendere le cerimonie e le funzioni di carattere religioso nonché l’ingresso nei luoghi destinati al culto non contrastasse con gli artt. 19 e 33 Cost., nella misura in cui erano misure che non impedivano (del tutto) né la didattica né la manifestazione della fede ma solo ne regolavano le modalità di esercizio in combinato disposto con gli artt. 16 e 17 Cost.; e nemmeno doveva apparire formalmente in contrasto con la Costituzione porre dei limiti al diritto di circolazione e soggiorno sul territorio nazionale, visto che lo stesso art. 16 Cost. espressamente prevede che questi diritti possano subire delle limitazioni “per motivi di sanità o di sicurezza” (anche se, va detto, il motivo di “salute” era sempre stato considerato un limite per la persona malata, al fine di evitare la trasmissione della malattia, oppure un limite per la persona sana con riferimento all’accesso a certi luoghi determinati; mentre non ci risulta abbia precedenti il richiamo all’art. 16 Cost. per vietare a tutti di accedere ad ogni luogo).
Più problematico è invece ritenere conforme a Costituzione la quasi totale chiusura dei Palazzi di Giustizia e la sospensione del diritto di riunione, che è stato inteso come divieto di ogni incontro, tanto in luoghi pubblici, quanto aperti al pubblico, quanto addirittura privati.
L’art. 17 Cost., infatti, prevede dei limiti alle riunioni in luogo pubblico, ma niente dice con riferimento alle riunioni in luogo privato, e niente ancora dice in ordine al semplice diritto di incontrarsi, che sembrano diritti attinenti alla persona, e come tali non alienabili.
Nessuno mette in discussione che in questo periodo sia stato e sia da evitare ogni incontro, e che ogni persona debba tenere dall’altra, per motivi di sicurezza sanitaria, una certa distanza e precise precauzioni, ma una cosa è pretendere questo comportamento, altra cosa è spingersi fino a vietare ogni incontro, anche privato e in luogo privato, tra persona e persona, e immaginare che per un periodo non breve possa altresì sospendersi l’attività giudiziaria.
E più problematico ancora è immaginare che tutti questi diritti possano in un sol momento, e contestualmente, essere sospesi, poiché la sospensione contestuale di tutti i diritti evidentemente pone un problema in più; cosicché è dubbio ci si possa limitare ad analizzare la compatibilità a Costituzione di ogni singolo divieto per valutare la compatibilità a Costituzione di quanto è avvenuto.
4. Ma il tema più rilevante, a nostro parere, è quello della libertà personale e del suo rapporto con il diritto di soggiorno e circolazione.
Se si vuole, è il rapporto tra l’art. 16 e l’art. 13 Cost., che, appunto, si tende a minimizzare, e che invece non può non essere affrontato.
Non v’è bisogno di essere costituzionalisti per comprendere che se io non posso andare, ad esempio, da Firenze a Pistoia, questo è il diritto di circolazione, che come tale mi può essere negato ai sensi dell’art. 16 Cost. per ragioni di sicurezza sanitaria (seppur, ripetiamo, è dubbio che il limite possa essere applicato alla persona sana); ma se mi è impedito di uscire di casa e mi viene imposto un comportamento non molto dissimile da quello che deve tenere chi sia agli arresti domiciliari, lì è evidente che non si tratta più del mio diritto alla circolazione, bensì del mio diritto alla libertà personale.
E così, il divieto di recarmi da qualche parte, costituisce limite al mio diritto alla circolazione; ma se il divieto ha ad oggetto ogni luogo, e il precetto è quello che io non mi posso recare da nessuna parte e devo rimanere costretto presso la mia abitazione, lì è evidente che il limite attiene invece alla mia libertà personale e non più solo e soltanto al diritto alla circolazione.
Si tratta di due distinti diritti, così da sempre considerati dalla stessa dottrina costituzionalista.
Costantino Mortati, nelle sue Istituzioni di diritto pubblico (1967, II, 849), scriveva espressamente: “Non è dubbio che la costituzione abbia inteso configurare in modo autonomo le libertà in discorso (art. 16); ciò risulta dalla diversità della loro disciplina rispetto a quella dell’art. 13, sotto il riguardo sia della sfera dei beneficiari (i soli cittadini e non “tutti”) sia della libertà stessa (limitatamente a soli motivi di sanità e sicurezza)”. E il più grande studioso di questi temi (Vassalli, La libertà personale nel sistema delle libertà costituzionali, in Scritti giuridici in onore di P. Calamandrei, Padova, 1956, V, 354 e ss), sosteneva infatti che il diritto di circolazione si riferisce ad una zona avente rilievo giuridico (comune, provincia, regione, Stato), mentre il diritto alla libertà personale si riferisce alla libertà esterna del soggetto in tutta la serie delle sue possibili direzioni.
L’art. 13 Cost. è chiaro sotto due semplici profili:
a) la libertà personale non si ha solo di fronte alla detenzione o all’arresto ma anche di fronte a “qualsiasi altra restrizione della libertà personale”.
Al riguardo l’inciso della legge costituzionale (“qualsiasi altra restrizione della libertà personale”) è chiaro, così come chiaro fu il condiviso intervento di Corsanego in Assemblea costituente (Prima Sottocommissione, seduta del 12 settembre 1946, 1971, VI, 348): “È favorevole a conservare nel primo capoverso dell’articolo la formula proposta dai relatori. La libertà personale non si viola soltanto coll’arresto e con il fermo di polizia; vi sono state o vi sono altre forme di violazione della libertà personale”.
b) Inoltre, la restrizione della libertà personale gode non solo di una riserva di legge, bensì anche di una riserva di giurisdizione, e ciò nel senso che qualsiasi restrizione alla libertà personale deve necessariamente essere disposta dall’autorità giudiziaria.
A contrario, né il Governo né il Parlamento possono disporre restrizioni generalizzate della libertà personale, poiché trattasi di un diritto inalienabile (art. 2 Cost.), che nessun’altra ragione può impedire, e che, se del caso, può essere contratto solo in ipotesi eccezionali previste dalla legge con riferimento a singoli comportamenti, e a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
Ciò, va sottolineato, è cosa che risulta dallo stesso dibattito in Assemblea costituente.
Nella prima sottocommissione nell’adunanza tenutasi in data 12 settembre 1946 (VI, 344-5), LOMBARDI sostenne che fosse sufficiente affermare in Costituzione che la libertà personale è inviolabile nei modi che la legge fisserà (“Afferma che in uno statuto non si può che enunciare i principi generali, senza scendere nei dettagli”).
A tale impostazione si opposero Togliatti e Moro, secondo i quali, trattandosi di un diritto inalienabile, l’habeas corpus non poteva essere rimesso al legislatore e doveva necessariamente essere fissato in Costituzione come diritto inalienabile. (Moro “rileva che l’onorevole Lombardi ha delle idee singolari sui rapporti tra Costituzione e leggi speciali”). (Togliatti “rinviare tutto alla legge apre una quantità di eccezioni e allora sarà la legge che deciderà l’habeas corpus e non la Costituzione…..Per quanto riguarda la questione di rinviare alla legge o specificare in sede costituzionale, è d’accordo con l’onorevole Moro. Tutti questi rinvii distruggono l’habeas corpus il quale non verrebbe più ad essere quello che tutti vogliono”.
L’art. 13 fu approvato, come è noto, sulla impostazione di Togliatti e Moro e con la doppia riserva, di legge e di giurisdizione; ed anzi l’art. 13 Cost fu approvato anteponendo la riserva di giurisdizione a quella di legge (“se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”), ciò a maggiormente sottolineare come la libertà personale fosse inviolabile se non disposta dall’autorità giudiziaria.
E in questo senso la libertà personale può dirsi interpretata dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza 5 febbraio 1975 n. 23 per la quale rientrano nell’habeas corpus ogni degradazione della “autonomia e disponibilità della propria persona”.
È stata dunque di dubbia costituzionalità l’emanazione di provvedimenti del Governo, ancorché assunti nella forma del decreto legge, che hanno costretto a casa una generalità di persone, addirittura senza distinguere tra persone sane e malate.
È stato senz’altro un evento senza precedenti nella nostra storia repubblicana.
Questo evidentemente non significa che non fossero giustificati dalla emergenza che ci ha travolto; significa solo che l’emergenza che ci ha travolto non deve però indurci a dire che allora i provvedimenti erano costituzionalmente legittimi.
Al contrario, è stato il cittadino a rinunciare ad un diritto teoricamente irrinunciabile, e ciò è stato fatto per dovere di solidarietà, e vista l’emergenza sanitaria.
Si dia almeno atto di questo.
5. Una ulteriore considerazione ci sia concessa con riferimento alla Giustizia.
Abbiamo in questi giorni appreso con una certa amarezza che tutte le udienze e tutti i termini processuali sono stati rinviati a data dell’11 maggio 2020.
In questo drammatico momento lavorano solo i servizi essenziali, e noi non lavoriamo.
La conclusione del sillogismo è evidente: noi non siamo essenziali.
Fino ad oggi, ci eravamo invece illusi di sì; facemmo giurisprudenza per questo; pensavamo che la Giustizia fosse un bene essenziale, il primo valore di uno Stato.
Il Coronavirus ha dimostrato che non è così, c’eravamo illusi.
O forse dobbiamo concludere che una cosa è la Giustizia, altra cosa quello che avviene nei palazzi di giustizia?
Non potevamo organizzarci come nei supermercati?
Tutti in coda, uno alla volta, con le mascherine, a distanza di sicurezza.
E così come si compra il pane, si celebrano le udienze.
Quando tutto questo sarà finito, ci dovremo di nuovo incontrare con i medici.
Quello che hanno fatto e stanno facendo i medici e gli infermieri per compiere la loro Missione è sotto gli occhi di tutti.
Noi, evidentemente, una missione non l’abbiamo.
La Giustizia non può fermarsi, i Tribunali non possono chiudere, non c’è Stato senza giurisdizione, non possiamo ammettere che restino aperti i tabaccai, i giornalai, le banche, le poste, i trasporti, e chiusi i palazzi di giustizia.
Dobbiamo poter tornare a lavorare; dobbiamo poter ripartire.
Altrimenti deve suonare ancora forte il grido di Tucidide, secondo il quale Atene, più che dalla peste, fu distrutta dalla paura della peste.
E sia consentito chiudere qui con quanto Renaud Girard ha scritto su Le Figaro del 7 aprile 2020, pag. 28 (la traduzione è nostra): “60 milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo (di cui 600.000 in Francia, ossia 11.500 a settimana) e l’epidemia Covid 19 non cambierà significativamente queste cifre…I decessi provocati da Covid 19 supereranno le centinaia di migliaia di persone. Questo metterà centinaia di migliaia di famiglie nell’angoscia. Ma già avanti l’apparizione del Coronavirus (CoV – 2) le broncopolmoniti ostruttive classiche uccidevano già molto. Nel 2016 hanno fatto 3 milioni di morti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.
Quell’anno, per questo, non si è fermata l’economia del pianeta. L’anno scorso i sinistri automobilistici hanno ucciso più di un milione di persone nel mondo. Non si è per questo vietata la circolazione. Fortunatamente, si riduce il numero dei morti per la strada con delle azioni mirate (limitazioni di velocità, misure penali contro l’alcol al volante, airbags nelle automobili, rifacimento delle strade). Contro le Covid 19, bisogna così ricorrere a delle azioni mirate (esami e controlli di massa, isolamento e cura delle persone infettate, respiratori presso gli ospedali).
Per contro, la mortalità mondiale potrà benissimo aumentare a causa della disorganizzazione che provocherà il confinamento generale prolungato.
Il rimedio rischia di essere peggio del male.
La recessione economica diminuirà le speranze di vita, la grandissima maggioranza degli Stati del pianeta non beneficeranno più di uno Stato-provvidenza che cura gratuitamente i malati.
Molte famiglie si impoveriranno per la crisi e dovranno rinunciare a ricevere le cure (relative ad altre patologie) che avrebbero potuto pagare in tempi normali.
Il pericolo più grave è la destrutturazione dei canali d’approvvigionamento dei prodotti agricoli, paralizzati dal confinamento dei paesi esportatori”.
Di nuovo: non intendiamo dar ragione a Renaud Girard; intendiamo salvaguardare il diritto di avere un’opinione su questi argomenti, seppur nel dovuto rispetto delle leggi.
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