Legalità e Giustizia, queste sconosciute
di Guido Grossi
Noi italiani siamo abituati, anzi, direi rassegnati, ad una sistematica violazione delle leggi. Siamo maestri nell’aggirare le norme e ci sentiamo a volte furbi nel farlo, ma non ci rendiamo conto che così facendo, alimentiamo un vero e proprio circuito vizioso: noi ignoriamo le leggi e le leggi diventano più stringenti e cattive; più le leggi cercano di imbrigliarci e più ci appare “giusto” aggirarle. Ma giusto è un termine ambiguo, perché si riferisce all’etica, e questo ci piace, ma si riferisce anche al necessario rispetto della legge, dello “jus” latino (justitia), e questo ci piace un po’ meno. In realtà ci verrebbe molto più spontaneo rispettare le leggi, se il loro contenuto coincidesse con le regole di buon senso, etico e pratico. La coerenza, fra quanto sentiamo, pensiamo, diciamo a parole e realizziamo nei comportamenti, è estremamente importante per sentirsi in pace: con se stessi e con la società intera. Rispettare una legge che ci appare “giusta” anche in senso etico, ci fa sentire bene. Rispettare invece una legge che ci appare contraria al nostro senso spontaneo di giustizia, è tutt’altra cosa.
Art. 4.
Mi viene da dire : sì, hai capito bene, siamo noi popolo che dobbiamo comandare, noi i sovrani, noi i Re! Il lavoro è finito? I soldi sono finiti? Ma di che stai a parla’! Guarda che abbiamo diritti INVIOLABILI! La SOLIDARIETA’ E’ UN DOVERE di tutti, mica un optional, e la repubblica ha dei COMPITI, li ha fatti? Mi chiedi le tasse? Si, le pago ma guarda che ti interrogo sui compiti a casa, li hai fatti? No? vaffanculo! (quando ci vuole, ci vuole, uno sfogo) Sono io il Re. E se voglio essere un re buono, responsabile, debbo ricordarmi che ho preso un impegno, serio, a fare le cose che abbiamo deciso che DEVONO essere fatte. Prima di altre. Lo abbiamo pensato (questa Costituzione non scende dal cielo, ma è il frutto di un pensiero collettivo, molto ben ponderato) e lo abbiamo scritto. Anche col sangue, non lo scordiamo, non lo scordate, voi furbi che chiedete l’applicazione solo delle regole che vi farebbero comodo! Ora, dobbiamo solo farlo; realizzarlo, metterlo in pratica.
Ci guardiamo intorno e ci viene da dire: Ma è il mondo dei sogni? la dignità, la sovranità popolare, un lavoro dignitoso, la piena realizzazione della persona umana, la solidarietà, l’uguaglianza reale di tutti, proprio di tutti!
Cercando di essere ancora più precisi sul senso della “correttezza giuridica”, possiamo ora dire che le uniche leggi veramente “legittime” sarebbero quelle che si spicciassero ad attuare il “dettato costituzionale”. “Ascolta” la parola “dettato” e va con la mente alle scuole elementari: non devi scegliere di scrivere quello che ti pare, ma eseguire quello che il maestro t’ha detto; capire e applicare. Nient’altro. Allora un parlamentare che propone, discute o approva una legge qualsiasi, dovrebbe domandarsi, per prima cosa: “questa nuova norma come si relaziona con la Costituzione? L’applica o la contraddice?” Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare una nuova legge, dovrebbe porsi la stessa domanda. Un Giudice, prima di applicare una qualsiasi norma, dovrebbe chiedersi la stessa cosa; se la legge da applicare sembra (basta il dubbio) contraria alla Costituzione, il giudice ha il DOVERE di non applicarla e di portarla all’attenzione della Corte Costituzionale. Ma non solo il giudice: ognuno di questi soggetti, investiti di COMPITI istituzionali, esercitati in nome e per conto del popolo sovrano, dovrebbe, nel dubbio, quantomeno alzare la bandiera di pericolo, per condividerla con la comunità intera, ed astenersi dal mandare avanti la norma, fino ad aver risolto positivamente il dubbio stesso. E la Corte Costituzionale, valutando le leggi che vengono sottoposte alla sua attenzione, dichiara se sono compatibili con la Costituzione, oppure le elimina dall’ordinamento. Qui, per inciso, dobbiamo ammettere: il processo di verifica è fragile, poco efficace, tardivo, ma prima ancora del procedimento immaginato e scritto, è la mentalità diffusa ad essere davvero fragile e per niente efficace! Siamo una collettività rassegnata alla illegalità diffusa. Questo è il grande dramma del popolo italiano, un po’ vittima, un po’ carnefice di se stesso.
Siamo infatti abituati ad una realtà nella quale i parlamentari scrivono leggi palesemente contrarie alla Costituzione, i Presidenti le promulgano, i giudici le applicano senza battere ciglio, ed il popolo sovrano al massimo borbotta, si lamenta, ma abbozza. La “legalità”, in fin dei conti, non è un astratto concetto giuridico e tecnico: è invece una cosa profondamente culturale, antropologica: se il popolo ce l’ha nella testa e nel cuore, il senso della legalità, allora diventa normale che le leggi scritte siano coerenti con i principi e quindi anche con il senso etico diffuso e condiviso. Vogliamo il rispetto dei principi? Dobbiamo iniziare a pretenderlo. E’ nostro DOVERE.
Gli strumenti ci sono, anche se un po’ arrugginiti, ma è l’uso frequente che ne spazza via la ruggine.
Abbiamo le idee confuse. E poco coraggio. Dai, su, passiamocela ogni tanto una manina sulla coscienza collettiva: noi popolo sovrano dovremmo non solo farci una domanda assai simile quando votiamo (ma questo tizio che si candida, la conosce la Costituzione, la rispetta o segue l’andazzo generale?) dovremmo fare molto di più, se avessimo le palline: rifiutarci di obbedire ad una legge che ci appare chiaramente contraria alla Costituzione, portarla in giudizio e sollevare l’eccezione di incostituzionalità. Se lo facessimo, non ne resterebbe in piedi nemmeno una, delle leggi emanate negli ultimi trenta-quarant’anni.
Schiariamocele le idee, ed in fretta, dunque, perché dei vecchi marpioni si stanno organizzando dettagliatamente per spogliarci non solo di ogni ricchezza, che noi italiani ne abbiamo a iosa, da fare invidia ai paesi più forti del mondo, ma soprattutto della nostra preziosa, residua libertà. E’ di quello che ci vogliono privare. Perché? Ne siamo veramente poco consapevoli, ma la realtà è che mettiamo paura, noi italiani, ai potenti del mondo. La nostra Costituzione, mette paura. La nostra storia, la nostra cultura. la nostra capacità di essere spontaneamente solidali, in un mondo che vuole legittimare con lo stupido concetto della competizione di tutti contro tutti, l’idea che chi è il più forte avrebbe il diritto di prendersi tutto. Altro che competizione: noi italiani della solidarietà ne abbiamo orgogliosamente fatto un DOVERE e lo abbiamo scritto non solo nei Principi Fondamentali (inviolabile!) ma lo abbiamo puntigliosamente dettagliato nelle norme della Costituzione economica: quella che fa tremare i polsi dei ricchi e dei potenti del mondo.
Per questo motivo, è previsto un intervento importante dello Stato nell’economia, volto a garantire la piena realizzazione della persona umana attraverso un lavoro che sia dignitoso, utile, rispettato e remunerato in maniera totalmente adeguata, strumento di partecipazione alla elevazione nazionale.
Si potrebbe scrivere un libro intero per spiegare per filo e per segno il collegamento “matematico” fra Principi Fondamentali e “Rapporti Economici” del Titolo III. Ma siccome la Costituzione è scritta per essere capita con immediatezza, è sufficiente leggere con la dovuta attenzione (ed un minimo di onestà intellettuale) gli artt. dal 35 al 47, per verificarlo di persona. Vi invito a farlo: è bene fare uno sforzo personale per capire e ricordare. poi, senz’altro se ne può dialogare insieme. Qui c’è un link, per i pigri: https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf
A proposito di principi cardine dell’ordinamento giuridico, fissiamo un altro grande alleato del popolo sovrano: la prevalenza della sostanza sulla forma. Alla faccia dei cavilli degli azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Quando qualcuno ci porta nelle nebbie dei cavilli formali, nei quali per definizione non ci si capisce niente, dovremmo semplicemente abbandonarcelo, lasciarlo solo, e spicciarci a tornare sul piano della sostanza, coerente con i principi e con l’etica. Con fermezza, gentilezza e coraggio.
I Trattati internazionali che hanno dato vita alle Istituzioni dell’Unione europea, a differenza del modello previsto dalla Costituzione italiana, si sforzano di ostacolare in ogni modo l’intervento pubblico nell’economia. Guarda un po’! leggili attentamente (se ci riesci: oltre cinquecento pagine incomprensibili) e scoprirai che privilegiano :
I Trattati europei, non a caso, sono scritti in maniera davvero non trasparente, estremamente tecnica e inutilmente complicata. Potete verificare di persona, sul sito ufficiale dell’Unione europea: https://europa.eu/european-union/law/treaties_it
Già la mancanza di buona fede contrattuale, applicata a quello che viene inteso come il patto sociale fondante di una intera comunità sopra nazionale, ne svuota alla base ogni pretesa di legittimità, sia formale che sostanziale. Il tuo intuito coincide con quanto sostenuto da qualsiasi giurista informato e formato: senza buona fede, nessuna legittimità.
Ma anche altre gravi violazioni dei nostri fondamentali principi giuridici devono essere rilevate:
1) la sovranità, che è il diritto legittimo di prendere qualsiasi decisione nel momento del bisogno, “appartiene” al popolo. E’ del popolo. Questo è il Primo dei principi! Non può mai essere legittimamente “ceduta”, la sovranità, senza realizzare un tradimento stesso del patto sociale; senza far venire giù irrimediabilmente tutto il castello della legalità. E se il patto sociale è tradito, tutto ciò che viene dopo è privo di legittimazione: basato sull’inganno e sulla forza bruta.
Quindi: ogni formale apparente o presunta “cessione di sovranità” contenuta nelle norme dei Trattati nasce priva di legittimità. Questo aspetto è di importanza capitale.
Ora, io mi rendo certamente conto della circostanza che, mentre leggete, state pensando: ma come: Primi Ministri e Presidenti della Repubblica ci hanno detto e ripetuto in tutte le salse che la sovranità è già stata ceduta e, anzi, ancora ne dovremmo cedere, per vivere felici e prosperi insieme gli altri!
Questo concetto è importante, e va ben chiarito e rafforzato anche con un esempio: se Pinco Pallino vende la mia casa a Mario Rossi con un bel contratto scritto e lo registra regolarmente, ma si è dimenticato di avermi pienamente informato e di aver raccolto formalmente un mio esplicito e consapevole consenso, nella stessa forma scritta, la proprietà NON SI TRASFERISCE. Mario Rossi non può avere nessuna pretesa sulla mia casa: l’atto è giuridicamente “nullo”, morto. Non produce effetti, sin dall’inizio: cioè, quella casa, per la legge, è sempre rimasta mia e non è mai stata trasferita! Basta dichiararlo.
Da questa scoperta discende una conseguenza pratica molto importante. Visto che nessuno ci ha mai chiesto esplicitamente di rinunciare alla nostra sovranità popolare; visto che nessuno ci ha mai informato in maniera chiara che intendeva toglierci il diritto fondamentale di applicare la Costituzione stessa e che noi popolo sovrano avremmo quindi perso d’un colpo tutti quei bei diritti; considerato che nessuno ci ha mai chiesto su tutto ciò un esplicito consenso scritto; diventa allora evidente che questa cessione NON E’ MAI AVVENUTA. Se qualcuno afferma di aver “ceduto la nostra sovranità”, quindi, conferma implicitamente la nullità di quell’atto, e mai e poi mai potrà invocare quella cessione per impedirci (legittimamente) di esercitarla, la nostra preziosa sovranità. Qui potremmo inserire il discorso del ricatto materiale che i potenti del mondo operano sulle decisioni politiche italiane, attraverso la strumentalizzazione del debito pubblico, il cui controllo è finito (illegittimamente) nelle loro mani. Ci porterebbe lontano, ma notiamo che la consapevolezza da parte dei potenti della mancanza di legalità in certe loro pretese, viene compensata, appunto, con l’uso della forza, che è la negazione della legalità.
2) Abbiamo poi le “limitazioni” della sovranità, che rappresentano un concetto giuridico assai diverso dalla cessione: la sovranità è sempre mia, ma mi impegno ad usarla in maniera limitata, concedendo ad altri la gestione parziale, limitatamente a quanto descritto in maniera precisa nella eventuale “limitazione di sovranità”. Va da sé che, qualora una limitazione non dovesse lasciare uno spazio residuale apprezzabile di sovranità in capo al titolare, non potrebbe più parlarsi di una limitazione, ma diventerebbe una cessione vera e propria. In tal caso si ritornerebbe alla situazione precedente: nullità; nessun effetto giuridico. Non solo. La nostra preziosa Costituzione è di una chiarezza cristallina nel precisare un altro aspetto molto, molto importante: possono essere concesse “limitazioni della sovranità” solo ed esclusivamente a condizione di parità con altri Stati e per il fine esclusivo di assicurare pace e giustizia fra le nazioni. Il che, guardandosi bene in giro, non esiste proprio. Voi vedete condizioni di parità, giustizia e pace fra le nazioni? O non vedete piuttosto con i vostri attenti occhi una guerra sempre più manifesta fra nazioni europee, di tutti contro tutti, figlia inevitabile di quella competizione che si è voluta mettere fra le fondamenta di un patto che, mano a mano che si schiarisce nei contenuti, appare sempre più scellerato? E’ dunque chiaro il concetto? Limitazioni di sovranità che non sono prese in condizioni di parità con altri stati, e che non abbiano il fine esclusivo di assicurare pace e giustizia fra le nazioni, NON SONO LEGITTIME. Alla faccia della stabilità della moneta, dell’elevato livello di competizione, del pareggio di bilancio e del contenimento del debito pubblico (tieni a mente).
Detto questo, possiamo ora incominciare ad entrare nel merito e parlare di sovranità monetaria, per verificare come stiano le cose dal punto di vista della sostanza materiale e giuridica.
PRINCIPIO UNO : Stabilità del valore della moneta. Ti domandi che senso abbia? Semplice. La moneta viene creata dal nulla da una istituzione (la BCE) che non può usarla per scopi politici, e la può dare (prestare), ma solo fino a quando non produce inflazione al consumo, esclusivamente al sistema finanziario sopra nazionale. Il quale sistema è quasi interamente privato; ha smesso di fare il suo dovere di aiutare famiglie ed imprese; non è neppure europeo: è internazionale! Soldi della BCE per le banche americane e giapponesi, negati però agli stati ed agli enti pubblici europei (che li dovrebbero usare per svolgere i famosi “compiti” a favore di tutte le popolazioni). Quale è il senso? Per noi nessuno; per i ricchi del mondo che usano le banche private per gonfiare il valore degli strumenti finanziari e continuare ad accentrare ricchezza e potere, tutto ciò ha un senso enorme. Concentriamoci: se è creata dal nulla, quella moneta, è chiaro che non può avere un suo valore intrinseco; lo capisce anche un bambino! Per fare in modo che lo abbia, per forza o per ragione, un valore almeno artificiale, e cioè, in parole povere, anzi in soldoni, per garantire il mantenimento del potere d’acquisto dei ricchi che hanno accumulato fortune favolose giocando a fare i soldi con i soldi, mentre non c’è lavoro e le imprese soffrono, la moneta deve essere scarsa nelle tasche delle famiglie e delle imprese. Più è scarsa, la moneta creata dal nulla, e più vale. Ed è chiaro (nella mente malata dei ricchi) che, se concedi allo Stato il diritto di usarla, quello la spende in abbondanza e addio scarsità. Quindi, a scanso di equivoci, nei trattati è concepita l’idea di vietare allo Stato di creare moneta. Principio fondamentale, minuziosamente confermato dal combinato disposto di una lunga serie di disposizioni e, quando non bastasse, dal potere attribuito esplicitamente agli organi tecnocratici di specificarlo meglio, quel divieto, all’occorrenza!
Il problema assai serio è che con una conoscenza elementare dell’economia contemporanea, si scopre che questa è basata sulla divisione estrema del lavoro e della produzione. Se dunque non ci scambiamo le cose che produciamo, nessuno sopravvive. Per scambiarci le cose, ci serve una moneta che circoli fluidamente nelle tasche di chi produce e di chi lavora e deve comprare le cose prodotte. Se la moneta è scarsa, l’economia langue, la disoccupazione dilaga, la povertà cresce. Matematico. Qui c’è una contraddizione insanabile (e noi sappiamo bene che di fronte alle contraddizioni dobbiamo fare riferimento a solidi principi, per non perdere la bussola). Ma, attenzione, nei trattati c’è scritto, sostanzialmente: chi se ne frega! Qualsiasi obiettivo diverso dalla stabilità monetaria (tipo: lotta alla disoccupazione, alla povertà, eccetera) è preteso come SUBORDINATO a quella stabilità. Vuoi combattere la disoccupazione e la povertà, e questo comporta un po’ di inflazione? Secondo quanto scritto nei trattati non lo dovresti fare. Ma siamo pazzi? Quella subordinazione, senza la quale il gioco della moneta creata dal nulla non può stare in piedi, è una condanna senza appello per i poveri e gli esclusi. Tutto si riduce a questo: conta di più la stabilità della moneta, oppure l’inviolabilità dei diritti sacri del popolo sovrano? Ne vogliamo parlare?
PRINCIPIO DUE : Operiamo in un contesto altamente competitivo. E il dovere di solidarietà? Scordatelo (ci dicono).
Leggi: divieto di aiuti di stato; totale libertà di movimento di capitali e merci. Scordati la solidarietà, roba per rammolliti. In questa maniera, alla disoccupazione ed alla povertà prodotti dalla scarsità di moneta, devi aggiungere necessariamente due o tre cosette: precarietà del lavoro e diminuzione dei salari, chiusura delle piccole attività a vantaggio delle grandi aziende sopra nazionali (che, attenzione, NON DEVONO NEMMENO ESSERE EUROPEE. Infatti sono cinesi, americane, insomma: sopra nazionali). Vinca il migliore, cioè il più forte. Il quale più forte, in un contesto altamente competitivo, tende a diventare il più bastardo dentro. La puoi chiamare selezione naturale, ma è la legge della giungla. E la precarietà del lavoro? E la Costituzione? Chissenefrega. Subordinate. Sub ordinate. Vengono dopo. Ti devi rassegnare. Questo vorrebbero i trattati.
Che dici, popolo sovrano: ci rassegniamo? Oppure invochiamo il principio di legalità e pretendiamo il rispetto dell’ordine delle leggi, a partire dai Principi Fondamentali della nostra Costituzione. Ricordi? Dal loro rispetto tutto discende. Nulla, nessuna norma, nessun trattato, nessuna regola può, con pretesa di legittimità, violare e contraddire, mai e poi mai, quei principi stessi.
Addio all’intervento dello Stato nell’economia. Mancano soldi nelle tasche dei produttori e dei consumatori? Non c’è lavoro, non c’è crescita? Aspetta pazientemente che il mercato si organizzi, a modo suo, e arriveranno. E se non arriveranno aspetta che si organizzi diversamente (il mercato). Ma tu, Stato, tu Repubblica che hai i tuoi compiti, fermati e aspetta. Stanne fuori. Il tuo “compito” principale (nella testa dei ricchi del mondo, ma anche nelle norme dei trattati) non è più quello scritto nei principi fondamentali della Costituzione italiana, ma quello di raccogliere tasse dai cittadini e di vendere il tuo patrimonio e di rimanere in mutande, se necessario, ma da oggi in poi devi far quadrare i conti, e pagare i tuoi debiti.
Debiti? Con chi? Perché? ATTENZIONE ATTENZIONE: DEBITO, E’ UN CONCETTO GIURIDICO. Tizio ha una obbligazione a restituire una somma di denaro a Caio. Questo vuol dire che, come tutti i concetti giuridici, è legittimo se tutta la catena del rispetto delle norme, a partire da quelle più importanti per finire alle successive, è stata rispettata. Ora, si da il caso, che il terribile DEBITO PUBBLICO ITALIANO sarebbe diventato un vero e proprio debito (nel senso giuridico di: somma di denaro che deve essere restituita a qualcuno) attraverso un processo di atti politici, amministrativi e normativi, durato molti anni ma passato sostanzialmente in silenzio. Di cui non siamo mai stati informati, noi popolo legittimamente sovrano. Attraverso questo processo, oramai notissimo agli studiosi, i titoli di stato hanno letteralmente cambiato la loro funzione socioeconomica e (nella mente malata) perfino la natura giuridica. Se hai almeno cinquant’anni ti ricorderai senz’altro (se no chiedi in giro) che le famiglie italiane negli anni cinquanta, sessanta, settanta e oltre, avevano una grandissima “propensione al risparmio”. Lavoravano duramente e consumavano meno di quello che guadagnavano, accumulando risparmi. Con questi risparmi non ci pensavano proprio ad arricchirsi: si arricchivano con il lavoro. Il risparmio era messo al sicuro o sui conti e sui libretti delle banche pubbliche oppure ci si compravano bot e cct: appunto, titoli di stato. Gli interessi servivano a malapena a coprire l’inflazione. Ma il risparmio cresceva, al netto dell’inflazione, perfino quando questa era a due cifre. Guarda che proprio a nessuno passava per la testa che una banca pubblica potesse prendersi il tuo risparmio. E meno che mai che lo Stato potesse avere difficoltà a consegnarti soldi sonanti, il giorno della scadenza di quei titoli. Perché? Eravamo ingenui? Nossignore: ingenui siamo adesso, che abbiamo paura che uno stato che si ricorda di essere sovrano possa avere problemi a trovare i soldi che si creano dal nulla. La banca d’Italia creava i soldi dal nulla e copriva le eventuali carenze. Bada bene, mica tutti i giorni, ma “all’occorrenza”, cioè, garantiva quella che si chiama “l’ultima istanza”, il bisogno improvviso. E più cresceva l’ammontare dei titoli di stato in circolazione e più dovevamo essere giustamente contenti: stava crescendo il risparmio – super garantito – degli italiani!. Cosa è cambiato in seguito al famoso processo di trasformazione che troppi membri del popolo sovrano ancora oggi ignorano? E’ successo che lentamente e per passaggi successivi lo Stato ha smesso di esercitare la sua sovranità ed il suo diritto/dovere di creare moneta per svolgere i suoi compiti. Poi la banca d’Italia è diventata sostanzialmente privata, assieme a tutto il sistema bancario italiano. Poi i titoli di stato italiani sono stati dati agli stranieri, anziché ai soggetti residenti. Poi sono arrivati i trattati ed è nato, anche nell’immaginario collettivo, questo concetto del debito pubblico che, oltretutto, deve improvvisamente essere contenuto: deve stare dentro dei numeri e dei parametri inventati proprio dal nulla. Da ricchezza degli italiani, che più cresceva e più dovevamo essere contenti, a debito pubblico, per di più anche molto estero, che più cresce e più ti angoscia. lo intuisci, vero, che c’è la fregatura, ed anche sonora? Infatti. Guarda caso, da quando è nata l’idea (non la realtà, ma l’idea) del debito pubblico, gli interessi che prima a malapena coprivano l’inflazione diventano più alti dell’inflazione. Sono questi interessi reali positivi, indebitamente alti e pagati per lo più a soggetti stranieri, che hanno fatto letteralmente esplodere, negli anni successivi, la dimensione del numero che prima era bello (risparmio italiano) ed ora è brutto: debito pubblico italiano. Qui non si tratta di andare in giro per miniere, a cercare dell’oro, per poter spendere. Il denaro si crea quando serve. Tutte le banche private lo fanno (spesso senza neanche saperlo). Ma se lo Stato non si riconosce più il diritto di emettere questa moneta che si può creare dal nulla; se aspetta pazientemente che sia solo il sistema finanziario privato e sopra nazionale a farlo; se concede a questo sistema anche il diritto di farla girare a suo piacimento, secondo canali e procedure inventate e gestite dal sistema stesso; se si riduce a doverglielo chiedere gentilmente in prestito, quando gli è indispensabile, pagando gli interessi nella misura esagerata ed ingiustificata che decidono a loro piacimento (abbiamo inventato un’asta competitiva, orchestrata dalle maggiori banche d’affari mondiali, per decidere quanti interessi dobbiamo pagare sul debito di nuova emissione); allora finisce che ci ritroviamo tutti, senza sapere perché, a trasformarci in poco tempo da uno degli Stati più ricchi al mondo in uno degli Stati più indebitati al mondo. L’intero processo manca radicalmente di legittimità, di buona fede, di coerenza, persino di buon senso.
In realtà, l’unico debito che veramente esiste, e che merita una attenzione che il sistema mediatico non gli concede assolutamente, è il debito estero. Questo sì che deve essere contenuto, anzi: evitato. Ma veramente pochi ne parlano e pochissimi se ne preoccupano. L’altro, rappresentato dalla somma dei titoli di stato detenuta dai cittadini risparmiatori in cerca di sicurezza, non solo non ci deve preoccupare, ma più cresce, e meglio è. Deve crescere e restare a casa, a rappresentare la nostra ricchezza che si accumula e che DEVE CIRCOLARE. A questo servono i titoli di stato, usati correttamente: a prendere il risparmio dei cittadini, che è cosa buona e giusta, per farlo circolare nell’economia dello scambio, attraverso la spesa pubblica che svolge i compiti della Repubblica. Se quel risparmio non circola, l’economia dello scambio muore, rendendoci tutti più poveri.
Se vi sta venendo il dubbio che qualcuno abbia un sostanziale interesse a renderci più poveri, avete avuto una intuizione geniale. Spieghiamoci. Noi italiani abbiamo :
– risparmio privato ancora elevatissimo;
– patrimonio privato e patrimonio pubblico elevatissimi (fatti di beni reali, mica di soldi inventati dal nulla: case, terreni, monumenti, beni culturali);
– politici ignoranti, a dir poco;
– un popolo tenuto nell’ignoranza;
capite che bel pollo da spennare?
Ora, guardiamo le proposte politiche. Tutti hanno capito che lo Stato, in qualche modo, deve tornare a spendere, per fare i compiti, oppure va a finire che i cittadini s’incazzano di brutto, prendono atto che la legalità è finita e, di conseguenza, non resta loro che prendere bastoni e fucili.
Siccome la violenza non ci piace, e siamo davvero intenzionati a rispettare la legalità, pensiamo che questa legalità vada rispettata sul serio, a partire dal suo “ordine costituito”, fatto di paletti e di principi, di doveri e di diritti, di cose che vengono prima, e cose che vengono dopo, secondo un ordine che non è casuale e non risponde ai capricci del momento, ma deve essere coerente al complessivo disegno ideato e scritto nel fondamentale patto sociale.
Negli anni e nei mesi passati ho speso non poche delle mie energie a “contestare” una serie di proposte politiche volte a superare i limiti posti dai trattati europei, partendo dalla constatazione, molto reale ed a me molto chiara, essendo nato e cresciuto professionalmente parlando nel mondo della finanza, che il potere materiale del sistema finanziario sopra nazionale tiene ancora oggi il coltello dalla parte del manico, attraverso il controllo sul debito estero del paese. E questo sistema si è preoccupato, con successo, di essere ben rappresentato negli organismi tecnocratici sopra nazionali (FMI, Banche centrali, Commissione europea, MES). Bada bene: ho detto il potere dei mercati finanziari, non il potere delle istituzioni politiche europee, che sono cose molto diverse. Anche se certi individui saltano con disinvoltura da una sedia all’altra, nei due campi, che sono oggettivamente abbastanza collegati, resta una differenza sostanziale, da tenere ben presente: passiamo dal piano della legalità (Istituzioni europee), a quello dei rapporti di forza (mercati finanziari), con tutte le conseguenze del caso.
L’errore che ho commesso, nonostante le buone intenzioni, è tutto nella parola, e nell’atteggiamento che richiama: “contestare”, anziché aggiungere, dialogare.
Da un po’ di tempo, invece, ho cominciato a dialogare, ad ascoltare, ad aggiungere, e tutto sembra diventare più chiaro, semplice e coerente.
In estrema sintesi: su un piano meramente giuridico, applicando una interpretazione delle norme corretta ed “ordinata”, rispettosa di paletti, principi e del loro ordine di importanza, è sicuramente possibile affermare che lo Stato italiano – FINO AL SUO FORMALE SCIOGLIMENTO – mantiene una sovranità monetaria e fiscale, almeno sufficiente a consentirgli di svolgere tutti i suoi “compiti istituzionali”, come previsti nei Principi Fondamentali.
Detto in soldoni: se al fine di garantire un lavoro decente e ben retribuito, un’esistenza libera e dignitosa a tutti gli italiani, e qualsiasi altro diritto INVIOLABILE dei cittadini, dovesse occorrere spendere più di quanto si prelevi con le tasse e sforare qualsivoglia parametro contabile, usando quello che ti pare, dalle monete metalliche ai biglietti di stato, dai crediti fiscali alla emissione di moneta elettronica, dalla nuova lira a qualsiasi altra moneta complementare, dalla modifica della contabilità alla pubblicizzazione del sistema finanziario, nessuno, ripeto NESSUNO, potrebbe obiettare legittimamente, ripeto LEGITTIMAMENTE, la violazione di norme dei trattati europei. Non potrebbe farlo, senza meccanicamente portare alla ribalta la sostanziale illegittimità di tutto il loro impianto.
Attenzione, però: su di un piano strettamente giuridico, abbiamo ancora una scelta, che possiamo valutare sul piano politico della convenienza dell’azione, ricorrendo ad un altro principio giuridico, anche questo universalmente riconosciuto: le norme vanno interpretate in modo tale che abbiano un senso, andando all’occorrenza anche oltre la loro forma strettamente letterale. Se cioè è necessario salvare capra e cavoli, permettendo allo Stato apparato di assolvere ai sui compiti, senza dover “stracciare i trattati”, possiamo fare anche questo. E pare che sui tavoli politici questa sia la propensione preferita.
Dovremmo prendere tutti atto di una circostanza importante: nelle recenti elezioni, anche considerando l’uso della orribile legge elettorale che ci è stata propinata, ed una astensione comunque contenuta (ha votato oltre il 70% degli aventi diritto), il popolo italiano, comunque sovrano, ha premiato maggiormente proposte politiche di questo genere: atteggiamento critico nei confronti dei trattati europei, senza uscire dall’Unione.
Allora facciamo fino in fondo il nostro dovere, ed adattiamo il nostro atteggiamento nell’interpretazione dei trattati alla luce della nuova realtà.
Dobbiamo dialogare con i partner europei con la dovuta fermezza, per sostenere questa posizione: l’azione politica italiana non può adattarsi alla lettera dei trattati, perché quella lettera non sta proprio in piedi su di un rigoroso piano della legalità, tanto sostanziale quanto formale, ed è totalmente contraria all’etica.
Resta questa alternativa: o forziamo da subito l’interpretazione letterale dei trattati in maniera compatibile con i nostri bisogni primari, oppure li cambiamo.
Nel frattempo, ma da subito, mentre si dialoga, noi “facciamo i nostri compiti a casa”, che sono quelli indicati nei principi fondamentali della nostra Costituzione, rispettando i diritti inviolabili dei nostri cittadini. Nel farlo, naturalmente, ci preoccuperemo anche di evitare sprechi, evasione, corruzione, perché abbiamo capito che la legalità non ammette eccezioni e deve diventare una realtà culturale interiorizzata e diffusa, in tutti i campi; quindi sempre coerente con l’etica.
Tutto allora diventa non solo possibile, ma finalmente “giusto”, nel senso (che conosciamo) di: compatibile con il nostro desiderio di rispettare la legalità, resa sacra dal rispetto dell’etica; rispettando anche l’istinto del popolo italiano di non “rompere i rapporti” con uno scenario internazionale che non ci piace proprio e sembra aver perso la bussola, ma che possiamo decisamente cambiare, con il nostro impegnato contributo, convinti che una certa etica possa e debba diventare universale.
In questa ottica, l’uso di uno qualsiasi degli strumenti proposti per superare la mancanza di moneta in circolo nell’economia reale (monete metalliche, biglietti di stato, crediti fiscali, moneta elettronica, monete complementari, interventi contabili sul debito e sul sistema finanziario) diventa, teoricamente ed anche ragionevolmente, ammissibile sul piano della legalità.
Resta, naturalmente, da valutare sul piano pratico quale sia più efficace e più facile da usare, senza danneggiare né il paese né i rapporti internazionali. Tenendo ben presente un altro limite, che non è giuridico, ma molto molto pratico ed estremamente importante e con il piano giuridico finisce per intersecarsi ampiamente, descritto in tre punti:
1) buona parte dei titoli del debito pubblico italiano sono nelle mani estere, nervose e per nulla ragionevoli, del sistema finanziario privato e sopra nazionale;
2) questo sistema finanziario è pienamente rappresentato e tutelato dalle Istituzioni tecnocratiche dell’Unione europea (Commissione europea, BCE, MES);
3) quel sistema ha un urgente bisogno di trasformare la ricchezza di carta gonfiata artificialmente sui mercati finanziari, prima che svanisca nel nulla, in beni reali, di cui l’Italia è ricchissima.
Detto tutto ciò, credo che sia decisamente venuto il momento di accantonare le discussioni che dividono, ed iniziare a concentrarsi sulla condivisione delle cose da fare, e soprattutto in quale ordine farle, sicuri di poterle difendere e realizzare non solo sul piano giuridico e teorico, ma anche su quello pratico, che richiede il consenso consapevole (o quantomeno la non opposizione):
– del popolo;
– dei suoi rappresentanti;
– dei partner europei;
– dei mercati finanziari.
Nessuno ha una risposta completa, ognuno ha il suo pezzetto di verità, ed è venuto proprio il momento di metterli insieme, i vari pezzetti, nel disegno complessivo. Con umiltà, ed impegno.
Tratto da:
https://tallonedachille.blogspot.it/2018/03/soluzioni-economiche-e-trattati-europei.html
A parte la sponsorizzazione della “psicologia” condivido tutto.