di Marco Bulletta
Le premesse storiche
Va in scena la consueta farsa orchestrata dal sistema mediatico per il 25 aprile. Data in cui personalmente ho sempre e solo festeggiato il mio onomastico, cioè San Marco Evangelista, ben lungi dall’accodarmi alle celebrazioni del cosiddetto “anniversario della liberazione”.
Al di là di qualsivoglia caratterizzazione ideologica di questa ricorrenza, il termine “liberazione” appare improprio laddove si osservi che la liberazione da qualcosa per cadere nella servitù di qualcos’altro non è tale. Ci si riferisce al fatto che con la fine della Seconda Guerra Mondiale il nostro Paese passò dall’assoggettamento al giogo nazifascista allo status di colonia americana e al ruolo di stato-satellite di una delle due superpotenze sviluppatesi nel dopoguerra, nella contrapposizione che per una quarantina d’anni abbondanti vide gli equilibri geopolitici mondiali congelati nel modello “guerra fredda”.
Quell’equilibrio, pur problematico, aveva tuttavia il risvolto positivo, almeno per le economie occidentali, di prevenire la deriva neoliberista, consentendo loro l’instaurazione di quel sistema “misto” basato sulla dottrina keynesiana, sul controllo dello Stato sulle politiche monetarie, sullo stato sociale, sull’economia reale, che nella memoria di chi ha vissuto quegli anni e le relative vicende, non può non suscitare nostalgia rispetto al mondo in cui viviamo oggi, A.D. 2020.
L’evoluzione fino ad oggi
Già prima della dissoluzione dei regimi dell’Europa orientale del 1989, infatti, si è assistito al progressivo smantellamento del modello keynesiano, che al netto delle ovvie inevitabili imperfezioni ed esternalità negative tipiche di ogni modello economico, aveva prodotto crescita, diffusione di un certo benessere, e sicurezza, nel mondo occidentale. Nel giro di alcuni anni tutto quel modello venne sostituito dal modello neoliberista globalista, che a partire dal capitalismo selvaggio di matrice americana ha fatto della finanziarizzazione dell’economia (ormai) globalizzata il proprio dogma, venutosi a declinare, e quindi ad imporre a livello planetario, con le conseguenze che stiamo vivendo in prima persona all’attualità. Un modello basato su un capitalismo finanziario di tipo predatorio, riconducibile, in ultima analisi, a pochissimi ultra-ricchi al vertice di una piramide la cui base è costituita di tutti coloro i quali, a seconda della posizione in essa occupata, riescono a nutrirsi delle briciole elargite loro da tali vertici (che in tal modo si auto-garantiscono un esercito di addetti-adepti) e tale da distruggere l’economia reale, assoggettare i popoli, eliminare il concetto di stato, privare i cittadini dei diritti fondamentali, precarizzare il lavoro, eliminare i servizi sociali, instaurare la dittatura mediatica del pensiero unico e dei dogmi neoliberisti, e via così.
Questo scenario ha avuto una evoluzione ancor più negativa in Italia, dove, dai primi anni novanta, noti protagonisti della politica si prestarono al cambio di paradigma imposto dalle élites europee che comportò lo smantellamento dell’apparato industriale italiano attraverso le privatizzazioni e la svendita di beni pubblici, la cancellazione dello stato sociale, la contrazione dei servizi al cittadino, l’imbrigliamento nello SME prima, e nella moneta unica poi, a tutto vantaggio degli interessi mercantilistici tedeschi e della finanza speculativa. La storia recente delle nefaste politiche di austerità dell’Unione Europea la conosciamo, essendo tema delle più attuali battaglie politiche.
Le domande
E dunque, che senso ha, alla luce di tutto questo, continuare a parlare di “liberazione” e festeggiare il 25 aprile? Fu eliminato il giogo opprimente dei totalitarismi per arrivare, a tappe, a consegnare il mondo al peggiore dei totalitarismi, in cui poche decine di super ricchi detengono ricchezza e potere con cui tengono soggiogata l’intera umanità, con la complicità profumatamente pagata della sempre secondo l’anzidetto schema piramidale.
Che senso ha festeggiare una “liberazione” che ha consegnato le nostre generazioni a questa nuova forma di schiavitù? Senza tema di smentita possiamo affermare che il mondo attuale ha una struttura neofeudale di gran lunga più rigida di quanto non avvenisse in epoca medievale, fatti i dovuti rapporti e le dovute proporzioni tra le disponibilità tecnologiche, conoscitive, produttive, economiche dei due periodi posti a confronto. E dunque, “liberazione” da cosa? La liberazione di questo nostro Paese non c’è mai stata, perché oggi come in ogni altra epoca dal medioevo in poi, l’Italia ha subìto sempre lo stesso destino: essere terra di conquista con la complicità ottusa di qualcuno che lucrava su tale complicità, fossero i feudatari di turno o i papi, i venduti di ogni epoca o gli opportunisti, i furbastri di turno. Oggi le cose non vanno diversamente: una pletora di criminali, distribuiti tra la politica in tutte le sue articolazioni compresi i sindacati, la finanza speculativa, il sottobosco statale (in buona parte identificabile con il neologismo anglosassone “deep state”), il mondo della comunicazione, quello della (cosiddetta) cultura, certa imprenditoria collusa, gli ambienti del crimine organizzato, e via dicendo, ottiene posizioni di privilegio grazie al tradimento del popolo, alla svendita del patrimonio pubblico, alla cessione della sovranità, alla distruzione dello stato sociale, alla diffusione delle menzogne mediatiche, alla repressione della libertà espressiva, alla colonizzazione mentale delle masse, al furto dei dati personali a scopo manipolatorio e di lucro, e, ultimo in ordine temporale, al controllo e alla manipolazione dello stato di salute o di malattia degli esseri umani per terrorizzarli e soggiogarli limitandone ulteriormente le (ormai poche) libertà fondamentali. Il tutto attraverso la continua, sistematica, reiterata violazione dei principi della Costituzione del 1948, con la complicità di chi sul rispetto di tali sacrosanti principi dovrebbe vigilare intervenendo tempestivamente in casi di palese violazione.
Le due forme di liberazione
Se, dunque, di “liberazione” oggi si deve parlare, questo termine dovrebbe assumere una duplice veste: la prima può evidentemente essere definita “liberazione collettiva” da tutto il sistema criminale costruito da queste oligarchie di esaltati, dalla finanza speculativa a danno dei popoli, dal regime mediatico globale asservito a tali potentati, dai lacché di ogni specie funzionali all’apparato.
La seconda liberazione potrebbe essere definita “liberazione individuale” dagli schemi e dalle gabbie mentali in cui gli esseri umani sono stati progressivamente e inconsapevolmente rinchiusi negli ultimi decenni, secondo le dinamiche smascherate ormai da tempo ed espresse dall’ormai noto schema della “rana bollita”, più correttamente definibile come tecnica della “finestra di Overton”, consistente nel lento e progressivo “sdoganamento”, ad opera dell’apparato mediatico controllato dalle oligarchie, di idee inizialmente improponibili e man mano subdolamente insinuate nelle coscienze attraverso successivi passi, via via più vicini all’obiettivo finale di imporre tali idee, facendole accettare con tale subdola manipolazione mentale. Lo stato di schiavitù in cui i popoli oggi versano è conseguenza diretta della colonizzazione mentale che ha provocato, nel corso di decenni, danni difficilmente recuperabili negli individui.
L’opportunità
Ma ecco che la pandemia attuale, inedita per entità nella storia moderna (antichità e medioevo essendo con essa incommensurabili), nella sua tragica manifestazione e attraverso le altrettanto tragiche conseguenze e ricadute a breve e medio termine, offre paradossalmente l’opportunità di riflettere su tutti gli aspetti sin qui accennati e sulle interconnessioni precedentemente impercettibili anche a causa di ritmi quotidiani che precludevano la possibilità di soffermarsi a riflettere, complice la moltitudine di orpelli non casualmente imposti alle masse da un sistema che ha sempre minuziosamente curato le antiche e collaudate tecniche del “panem et circenses” o del “divide et impera”.
Ora che una surreale paralisi globale ha costretto gli individui all’inattività emerge con forza l’opportunità di riflettere, di analizzare, di soffermarsi a capire, di ridefinire le scale di valori, di ricominciare a (pre)occuparsi di questioni serie e non di facezie imposte dal sistema a mo’ di oppio. Ecco, parafrasando neppure troppo lontanamente Marx e riadattandone il pensiero alla contingenza attuale, potremmo affermare che finora gli orpelli propinati dal neoliberismo erano “l’oppio dei popoli” e che ora quest’oppio è stato bruscamente spazzato via dalla drammatica emergenza che stiamo vivendo a livello planetario.
E allora, a ben riflettere, nello spirito che l’antica cultura cinese ha sempre fondato sulla propria visione “dinamica” dei fatti e delle situazioni, potremmo cogliere l’opportunità, selezionandola dal pandemico Vaso di Pandora, di riconsiderare noi stessi, guardandoci dentro e individuando le menzogne e le disfunzionalità che ci sono state cacciate a forza nella mente fino a stravolgerne quell’originale buon senso che nel passato ha consentito all’essere umano di fronteggiare ogni insidia attraverso la resilienza a qualsiasi agente esterno.
Oggi abbiamo l’opportunità di liberarci non soltanto da menzogne e orpelli conculcati, ma anche di liberarci da un ulteriore importante elemento negativo: la paura. Non sarà né facile né immediato liberarci da tutto questo. E allora, in attesa dell’auspicabile avvento di queste forme di liberazione, il 25 aprile io continuo a festeggiare sempre e solo San Marco Evangelista.
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