Dott.ssa Ilaria Bifarini, Lei è autrice del libro Inganni economici. Falsi miti di una scienza sociale: in che modo l’economia moderna ha snaturato se stessa?
L’Economia come disciplina accademica nasce in età recente, nel 18° secolo, fino ad allora era stata trattata insieme all’etica e alla politica, come costola della filosofia pratica. Lo stesso Adam Smith, riconosciuto quale padre della moderna economia, aveva una formazione di tipo filosofico. D’altronde non si può parlare di economia, intesa come scienza sociale che si occupa dell’uomo e del raggiungimento del suo benessere, senza trattare la questione in termini filosofici, ponendo il tema del senso dell’esistenza umana.
È alla fine dell’Ottocento, con la scuola neoclassica, che l’economia perde completamente l’aspetto più propriamente umano, rompendo con la filosofia e con le materie umanistiche, per inseguire lo status di scienza esatta, alla stregua delle scienze naturali. Da qui il ricorso sempre più preponderante alla disciplina esatta per antonomasia, la matematica, per conseguire autorevolezza e inconfutabilità. Si compie così la snaturalizzazione della scienza economica: l’utilizzo di modelli matematici porterà gli economisti alla presunzione di essere i detentori di verità indiscutibili e di modelli previsionali infallibili.
Quali conseguenze produce la concezione dell’economia quale scienza esatta e infallibile?
L’economia si tramuta sempre di più una scienza asettica, in cui l’uomo viene spogliato della propria umanità per divenire un agente economico, l’homo oeconomicus, un essere quasi mitologico e irreale, che opera le sue scelte secondo un principio di razionalità assoluta. È in grado di agire guardando unicamente al proprio interesse, con una dotazione di informazioni e preferenze completa, che gli consente di utilizzare gli strumenti migliori per conseguire la massimizzazione del proprio profitto. In realtà, si tratta di un modello astratto e semplicistico, che snaturalizza non solo l’economia ma lo stesso concetto di essere umano. Tale paradigma trova nella teoria liberista -intesa come piena fiducia nel raggiungimento del benessere da parte del libero mercato- il suo humus ideale. Gli economisti mostrano sempre più convincimento nell’infallibilità delle proprie teorie e scambiano un modello, che può funzionare se circoscritto in un dato luogo e periodo storico, al verificarsi di certe condizioni- per il modello, universalmente e immutabilmente valido. La fiducia è tale che il premio Nobel per l’economia Robert Lucas afferma nel 2003 afferma che il problema centrale dell’economia, quello di prevenire la depressione, è stato praticamente risolto a tutti gli effetti.
La realtà purtroppo smentirà questa ottimistica dichiarazione, mettendoci di fronte a tristi avvenimenti che forse, con una maggiore umiltà da parte degli economisti, potevano essere scongiurati.
Il modello economico neoliberista si è imposto informando di sé le politiche economiche dall’Unione Europea: con quali risultati?
Il neoliberismo rappresenta proprio la cristallizzazione e la radicalizzazione di questo processo di snaturalizzazione nella scienza economica. Tale modello si è diffuso prepotentemente su scala planetaria e le sue politiche sono state sposate da tutti i centri di governance e dalle principali organizzazioni internazionali. Era in un certo senso inevitabile che l’Unione Europea ne fosse contaminata. L’adesione universale, spesso spontanea ed entusiasta, a tale paradigma ha disattivato ogni movimento di critica indipendente, capace di discostarsi da questo modello e di proporre teorie alternative, in grado di cogliere meglio il mutare dei tempi.
I risultati a livello di politiche europee sono stati sotto molti aspetti fallimentari, come dimostra il perpetrarsi della crisi economica, l’incapacità di intraprendere fattivamente nuovi percorsi e il diffondersi di un malessere sempre più diffuso tra le popolazioni, che sfocia in rabbia sociale. Dalla Brexit in Gran Bretagna ai movimenti sovranisti nei vari paesi, ovunque si è diffusa una disaffezione per l’Unione europea che, stretta dalla morsa di una crisi fortemente legata all’instabilità mondiale e dai diktat di questo modello, così consolidato da sembrare irreversibile, non riesce a venirne fuori.
A cosa si deve il successo del neoliberismo?
Il neoliberismo, il cui padre viene comunemente riconosciuto nella persona di Milton Friedman (ma ancora prima possiamo menzionare Von Hayek), deve il suo incontrastato successo a una formidabile macchina della propaganda.
Dopo la caduta del keynesismo, nel 1973, dalle università ai think tank, a ogni centro di divulgazione culturale, questa dottrina economica si è affermata come unica e indiscussa e ha improntato lo scenario politico. Emblematico è il motto, che ben la sintetizza, there is no alternative (non c’è alternativa), coniato da Margareth Thatcher, alter ego europea dell’americano Reagan, con lei massimo esponente delle politiche neoliberiste di quei tempi. È singolare notare come la Thatcher venga spesso evocata dagli stessi “sovranisti” per le sue posizioni antieuropeiste, a conferma che la critica all’Unione Europa non è rivolta al suo modello economico neoliberista, ma ad altri motivi, poco chiari agli stessi fautori. C’è molta confusione in merito.
M. Keynes teorizzava che intorno al 2030 gli uomini avrebbero messo fine al problema della scarsità delle risorse e si sarebbero dedicati alla cultura, all’arte di vivere, alla contemplazione della bellezza, all’amicizia e alle relazioni amorose: cosa ha impedito la realizzazione di questa profezia?
Keynes affermava che il problema economico, inteso come soddisfacimento dei bisogni assoluti dell’uomo, poteva essere risolto, o per lo meno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo. E in effetti i formidabili progressi della scienza e della tecnica hanno consentito di superare i limiti della scarsità di risorse; il problema è piuttosto nella cattiva redistribuzione, come dimostrano i livelli sempre più alti di concentrazione del reddito e di disuguaglianza.
L’economista inglese si rendeva conto che il superamento del problema economico avrebbe messo l’uomo di fronte alla necessità di un radicale ripensamento della sua esistenza: la lotta per la sussistenza è sempre stata la questione principale, la più pressante per la razza umana fin dalle origini. Pertanto la nostra evoluzione naturale, con tutti i nostri impulsi e i nostri istinti più profondi, è avvenuta al fine di risolvere il problema economico. Ove questo fosse risolto, l’umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale.
La genialità di Keynes, risiede nella sua conoscenza e sensibilità per gli aspetti più profondi e interiori dell’essere umano, che gli hanno permesso di esplorarne la componente irrazionale, istintiva, che sfugge a un’analisi più ortodossa. Non a caso era un conoscitore ed estimatore di Freud.
Quali sono le cause della crisi economica attuale e quali le possibili soluzioni?
Siamo vivendo cambiamenti epocali, che avvengono a una velocità sorprendente ma continuiamo a rispondere con vecchi paradigmi, cercando le soluzioni nel passato, ci irrigidiamo sulla difesa di un modello economico che ha ormai esaurito il proprio potenziale. Continuiamo ad affrontare il problema della mancata crescita e della disoccupazione con ricette ormai inadeguate. Guardiamo ai progressi della scienza e della tecnologia come una minaccia, perché si traducono in minori posti di lavoro, senza comprendere che possono rappresentano un’opportunità per resettare l’attuale sistema socio-economico e prospettare un nuovo futuro.
Occorre una nuova visione di lungo termine, creare lavori e occupazioni nuove, in cui l’uomo non può essere sostituito dai robot, come la cura della persona, la ricerca, l’innovazione, l’arte, la salvaguardia del patrimonio artistico e naturale. L’attuale modello economico è stato troppo a lungo predatorio nei confronti dell’ambiente e ora siamo di fronti a un bivio: o ci occupiamo di esso o ne pagheremo le conseguenze. Si tratta di una sfida, che può rappresentare un incentivo prezioso al cambiamento e a costruire un futuro migliore, sta a noi saperla cogliere.
In che modo è necessario ripensare la nuova scienza economica?
Dobbiamo restituire all’economia la sua vera natura, quella di scienza sociale appunto. Nonostante ciò che viene affermato oggi, un economista, per potersi considerare tale, non può prescindere da una cultura umanistica e da un approccio multidisciplinare. Quello che mi ha sempre affascinato di questa scienza è proprio il suo ampio raggio d’azione, il fatto che coinvolga ogni lato della nostra vita. Il discorso economico non può essere ridotto all’aspetto contabile o finanziario, come fanno molti, né può essere inteso in modo statico, granitico. È un discorso che riguarda l’uomo e l’attuale, dunque complesso e in continuo divenire. Ciò che serve è proprio rimettere al centro l’uomo, concepire un nuovo modello di sviluppo, che sia condiviso e sostenibile, prendendo spunto dall’approccio di Keynes.
In tal senso fa ben sperare il recente affermarsi di alcune branche dell’economia che offrono una prospettiva alternativa al modello attuale, come l’economia del benessere (wellbeing economy) e l’economia comportamentale (behavioral economics). In particolare quest’ultima sfata in modo definitivo e inequivocabile il mito dell’homo oeconomicus, dimostrando, attraverso prove scientifiche, come l’essere umano si discosti dal paradigma della razionalità nel momento in cui opera delle scelte. Il legame tra psicologia ed economia è inscindibile e apre nuove prospettive per la scienza economica, che deve riappropriarsi della dimensione umana, paradossalmente trascurata negli ultimi tempi.
(Intervista rilasciata alla rivista Letture.org del 9 gennaio)
Tratto da: https://ilariabifarini.com/come-ripensare-la-scienza-economica/
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