di Thierry Meyssan
Se negli ultimi due decenni la distruzione di cinque Stati del Medio Oriente Allargato ha richiesto guerre sanguinose, in Libano la guerra i libanesi se la sono fatta da soli, pur senza rendersene conto. La Resistenza ha assistito impotente al crollo del Paese. È la dimostrazione che si può vincere una guerra senza doverla necessariamente fare.
Il Libano, spesso presentato a torto come «il solo Stato democratico arabo», persino come «la Svizzera del Medio Oriente», in pochi mesi è crollato. Eventi in successione – le manifestazioni popolari contro la classe politica (2019), la crisi bancaria (2019), la crisi sanitaria (luglio 2020) e l’esplosione al porto di Beirut (agosto 2020) – hanno provocato la brusca scomparsa delle classi medie e un abbassamento generale del tenore di vita dell’ordine del 200%.
Secondo i libanesi, la causa di quest’orrore sarebbe la gestione catastrofica del Paese da parte d’una classe politica i cui dirigenti sono tutti corrotti, salvo quelli della comunità confessionale cui immancabilmente dichiara di appartenere la persona con cui si sta parlando. Questo pregiudizio assurdo rivela una popolazione intollerante e maschera la realtà.
Dopo l’occupazione ottomana, dopo l’indipendenza del 1942 e ancor più dopo la guerra civile (1975-1990), curiosamente il popolo libanese non si è costituito in nazione, ma si è configurato in un aggregato di comunità confessionali. La Costituzione e gli Accordi di Taif prevedono la distribuzione di tutti gli incarichi politici, e ora anche degli impieghi nella pubblica amministrazione, non secondo capacità, bensì secondo quote comunitarie. Ogni gruppo confessionale ha scelto i propri capi – generalmente ex signori della guerra civile – che la comunità internazionale ha riconosciuto. I vertici hanno gestito nel proprio interesse le sovvenzioni elargite dalle ex potenze coloniali. Hanno assegnato a loro stessi mirabolanti prebende, da tempo trasferite all’estero, nonché distribuito ingenti somme di denaro per coltivare la “clientela”, a immagine dei senatori della Roma antica. È quindi assolutamente stupido accusarli oggi di corruzione, dal momento che per decenni sono stati celebrati proprio per questo.
Un sistema alimentato da Stati Uniti ed Unione Europa. Infatti il presidente della Banca del Libano, Riad Salamé, prima di essere accusato di aver nascosto un centinaio di milioni di dollari su conti personali nel Regno Unito, era decantato come migliore tesoriere del mondo occidentale. E l’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, attraverso la concessione di un aiuto al Libano per la gestione della crisi dei rifiuti ha agevolato lo storno di un centinaio di milioni di dollari da parte di due ex primi ministri, Saad Hariri e Najib Mikati.
Ma i libanesi, che per ottant’anni sono stati mantenuti in uno stato d’inconsapevolezza politica e ancora oggi non hanno capito cosa abbia significato la guerra civile, non se ne rendono conto.
Come non accorgersi che il crollo del Libano segue il crollo dello Yemen, della Siria, della Libia, dell’Iraq e dell’Afghanistan? Come non collegarli al fatto che nel 2001 il segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld, e il suo consigliere Arthur Cebrowki, esortavano ad adattare la missione delle forze armate al nascente capitalismo finanziario? Conveniva distruggere tutte le strutture statali dell’intero Medio Oriente Allargato affinché nessuno – non importa se nemico o amico ¬ potesse ostacolare lo sfruttamento della regione da parte delle multinazionali statunitensi.
Se riconosciamo che la «guerra senza fine» (sic) proclamata dal presidente George W. Bush effettivamente continua, dobbiamo prendere atto che la distruzione delle strutture statali del Libano è stata ottenuta al minor costo possibile.
In considerazione dell’efficacia della Resistenza libanese, conveniva infatti raggiungere l’obiettivo attraverso mezzi non militari che sfuggissero alla vigilanza dello Hezbollah. Tutto era già stato deciso ad aprile 2019, come dimostra la risposta statunitense alla delegazione libanese ricevuta al dipartimento di Stato USA.
Quattro potenze coalizzate, Stati Uniti, Regno Unito, Israele e Francia, hanno svolto un ruolo determinante nel piano.
Il Pentagono ha fissato l’obiettivo: distruggere il Libano e sfruttare i giacimenti di gas e di petrolio (piano dell’ambasciatore Frederic C. Hof).
Whitehall ha deciso il metodo: manipolare la generazione post-guerra civile per sbloccare il sistema senza però cambiarlo. Gli specialisti britannici della propaganda hanno perciò organizzato la cosiddetta rivoluzione d’ottobre che, diversamente da quanto si è talvolta ritenuto, non aveva assolutamente nulla di spontaneo.
Israele ha distrutto l’economia del Paese grazie al controllo di tutte le comunicazioni telefoniche (salvo la rete privata dello Hezbollah) e del suo inserimento nel sistema bancario mondiale. Ne ha provocato la bancarotta bancaria, convincendo i cartelli della droga sudamericani a ritirare di punto in bianco le ricchezze che avevano depositato in Libano. Ha privato il Paese del polmone economico bombardando il porto con una nuova arma [7].
Quanto alla Francia, ha proposto di privatizzare tutto quel che può esserlo e per realizzare il piano ha riportato sul proscenio Saad Hariri. Si è impegnata in discorsi altisonanti, marginalizzando al tempo stesso lo Hezbollah.
I prossimi vent’anni dovrebbero essere impiegati a saccheggiare il Paese, soprattutto i suoi idrocarburi; nel frattempo i libanesi continueranno a prendersela con capri espiatori e a ignorare i veri nemici. Già ora il porto israeliano di Haifa ha in parte sostituito quello di Beirut. Alla fine, il Paese dovrebbe esser diviso e la parte a sud del fiume Leonte essere annessa a Israele.
È opportuno tener sempre presente che la coalizione USA-UK-Israele-Francia non è formata da Stati di eguale peso: al comando vi sono soltanto gli Stati Uniti. Che hanno intascato in esclusiva il malloppo petrolifero libico. Nonostante le promesse, gli alleati non hanno avuto che briciole. In Libano potrebbe riproporsi lo stesso scenario. Nessuno degli alleati degli Stati Uniti potrebbe trarre profitto dal crimine commesso in comune.
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