di Ellen Brown [1]
Tutti siamo impressionati dal rapido sviluppo dell’economia cinese. Non solo in Cina, ma nel mondo intero, compresa l’Italia, dove i Cinesi stanno acquistando esercizio commerciali ed imprese.
Dove trova la Cina il denaro per finanziare questo rapido sviluppo’
E dove trovano i Cinesi per acquistare, in giro per il mondo, terre fertili (in Africa), imprese, squadre di calcio…
Il meccanismo è molto semplice:
1) Le banche pubbliche (non esistono banche private in Cina) erogano prestiti mirati allo sviluppo economico (industrie, infrastrutture), senza preoccuparsi troppo della solvibilità dei prestatari
2) In caso di mancata restituzione dei prestiti (ciò che nella finanza occidentale sono chiamati Non Performing Loads) è la banca centrale ad acquistare i “crediti marci”, mediante nuove emissioni di denaro
3) In questo modo, sostanzialmente, è la banca centrale cinese, che è di fatto un dipartimento del Ministero dell’Economia, a creare dal nulla, stampandolo dal nulla, tutto il denaro che occorre per lo sviluppo della Cina
4) E non solo per lo sviluppo, ma anche per “finanziare” gli sprechi, le inefficienze e la corruzione tipici della Cina, che sono di un ordine di grandezza superiore persino agli sprechi, inefficienze e corruzione tipiche dell’Italia.
5) Mediante la produzione di merci, che la Cina esporta, possono guadagnare valuta straniera (dollari, euro, ecc.) ed utilizzarla in tutto il mondo per acquistare industrie (con relativo know how), terre fertili (per mantenere 1,3 miliardi di Cinesi e sottraendola ai poveri africani), ristoranti a Venezia e quanto necessario a tutelari gli interessi cinesi nel mondo.
Anche l’Italia potrebbe emettere denaroi dal nulla, tramite il governo, per finanziare il proprio sviluppo (e potersi permettere di mantenere: politici corrotti, inefficienze, mafia, ecc.).
Lo potrebbe fare affrancandosi dall’euro e dall’attuale assurdo sistema di emissione di denaro che foraggia unicamente l’economia finanziaria e lascia in depressione l’economia reale, con 10 milioni di disoccupati e 5 milioni di poveri
‘One Belt, One Road’ (una fascia, una strada), l’iniziativa cinese da 1.000 miliardi in infrastrutture è un’impresa imponente che prevede autostrade, oleodotti, elettrodotti, porti, centrali elettriche, fibre ottiche e ferrovie che collegheranno la Cina all’Asia centrale, all’Europa e all’Africa.
Secondo Dan Slane, ex consigliere nel team di transizione del presidente Trump, “È il più grande progetto di infrastrutture avviato da una nazione nella storia dell’umanità ed è progettato per consentire alla Cina di diventare la potenza economica dominante nel mondo”.
Secondo un articolo di Shelly Sigo del 29 gennaio intitolato “Trump’s Plan a Recipe for Failure Former Infrastructure Advisor Says” (Il piano di Trump: ricetta per il fallimento, dice il suo ex consigliere per le infrastrutture), Slane aggiunse: “se non ci mettiamo d’accordo molto presto, dovremo tutti rispolverare il nostro mandarino”.
Il 12 febbraio scorso è stato finalmente reso pubblico il piano di Trump per le infrastrutture. Forse con l’intenzione di battere il megaprogetto da 1 trilione della Cina, l’amministrazione ha ora alzato la posta da 1 a 1,5 trilioni, o almeno è così che il piano è contabilizzato. Ma, come osserva Donald Cohen in The American Prospect, sono in realtà solo 200 miliardi di dollari, cioè la somma che deve venire dai finanziamenti federali. E non sono neppure 200 se si calcolano i miliardi di tagli alle tasse nei progetti dei privati per le infrastrutture. Il resto di 1,5 trilioni dovrebbe venire da città, stati e investitori privati, e poiché le casse delle città e degli stati sono esauste, ciò significa principalmente investitori privati.
Il piano dell’amministrazione è imperniato su partenariati pubblico-privato (PPP o P3) che, come nota Slane, non sono adatti a molti dei progetti infrastrutturali più critici perché non offrono il flusso finanziario continuo – tipico di un pedaggio o di una tassa – che attirerebbe gli investitori privati. Inoltre i partenariati pubblico-privati fanno lievitare i costi rispetto ai finanziamenti tramite obbligazioni pubbliche.
In ogni caso, come osserva il blogger di Naked Capitalism Yves Smith, le società per azioni private non sono molto interessate ai beni pubblici, e se lo sono, sono più interessate a privatizzare le infrastrutture esistenti piuttosto che a finanziare lo sviluppo di nuove infrastrutture che è al centro del piano del presidente. Inoltre, funzionari locali e uomini d’affari sono ora diffidenti verso gli accordi di privatizzazione. Sanno che i profitti derivanti in futuro saranno prosciugati con diritti di utenza e garanzie da offrire a chi anticipa il denaro.
La Casa Bianca dice che il suo piano non è una proposta ‘prendere o lasciare’ ma l’inizio di una trattativa, e che il presidente è “aperto a nuove fonti di finanziamento”. Ma nessuno al Congresso sembra avere un proposta fattibile. Forse è tempo di guardare più da vicino a come fa la Cina.
La fonte segreta di finanziamento della Cina
Mentre i politici americani discutono senza tregua su dove trovare i soldi, la Cina sta avanzando a pieno ritmo con i suoi megaprogetti. Un esempio calzante sono le sue 12.000 miglia di ferrovia ad alta velocità, costruite in un solo decennio durante il quale i politici americani stavano ancora cercando di finanziare progetti ferroviari molto più modesti. Il denaro proveniva in gran parte dai prestiti delle banche statali cinesi. Il governo centrale possiede il pacchetto di maggioranza delle cinque maggiori banche del paese e quelle prestano principalmente a grandi imprese statali.
Dove prendono i soldi le banche? Fondamentalmente, lo stampano. Non direttamente. No, ovviamente. Ma come la Banca d’Inghilterra ha riconosciuto, le banche non si limitano a riciclare i depositi esistenti, ma creano effettivamente i soldi che prestano scrivendoli nei conti di deposito dei loro debitori. I depositi in entrata sono necessari per bilanciare i libri, ma anche questi depositi hanno avuto origine nei conti di deposito di altre banche. Poiché il governo cinese possiede la maggior parte delle banche del paese, può indirizzare questo tubo di pompaggio finanziario verso le sue esigenze nazionali più pressanti.
La banca centrale cinese, la People’s Bank of China (PBOC), emette denaro per le infrastrutture in modo ancora più diretto. Si è dedicata a una forma innovativa di quantitative easing, in cui la liquidità è diretta non a sostenere le banche più grandi, ma a interventi chirurgici nei settori più produttivi dell’economia. Il capo economista di Citigroup, Willem Buiter, lo chiama “qualitative easing” per distinguerlo dal quantitative easing operato dalle banche centrali occidentali.
Secondo un articolo del Wall Street Journal del 2014: Nel contesto cinese, il cosiddetto qualitative easing si verifica quando la People’s Bank of China aggiunge risorse patrimoniali più rischiose al suo bilancio -ad esempio rinnovando prestiti al settore agricolo e alle piccole imprese e offrendo prestiti a basso interesse per progetti di infrastrutture a basso rendimento- pur mantenendo l’espansione del bilancio [creazione di prestiti] a un ritmo normale. …
Il qualitative easing della Cina ha lo scopo di fornire finanziamenti accessibili a settori selezionati, e riflette l’intenzione di Pechino di dettare i tassi di interesse per alcuni settori, hanno detto gli economisti di Citigroup. Hanno aggiunto che mentre tale politica avrebbe pure esercitato pressioni inflazionistiche sull’economia, l’impatto è meno pronunciato rispetto al quantitative easing in stile USA.
Tra gli obiettivi di questi interventi chirurgici con finanziamento della banca centrale c’è l’iniziativa One Belt, One Road.
Secondo un articolo di Bloomberg del 2015: Invece di dirigere il flusso di liquidità a tutta manetta sull’intero giardino, la PBOC punta il tubo su parti specifiche. Le ultime innovazioni includono piani per rafforzare il mercato dei titoli di stato locali e la ricapitalizzazione degli istituti assicurativi, in modo che possano incrementare i prestiti ai progetti favoriti dal governo….
I politici hanno cercato di sostenere il credito per le piccole e medie imprese e i mutuatari che sostengono gli obiettivi della leadership comunista, come l’iniziativa One Belt, One Road che sviluppa infrastrutture lungo le vecchie rotte commerciali della Cina.
‘Prestiti non performanti’ o ‘Soldi elicottero’?
I critici sostengono che la Cina ha un rapporto tra debito e prodotto interno lordo pericolosamente alto, un problema di “cattivo debito”, intendendo dire che le sue banche hanno troppi prestiti non performanti (NPL). Ma secondo lo stratega della ricerca finanziaria Chen Zhao in uno studio dell’Università di Harvard intitolato “China: A Bullish Case” (Cina: un caso rialzista), questi fattori vengono interpretati erroneamente e non devono essere motivo di allarme. La Cina ha un alto rapporto debito/PIL perché la maggior parte delle imprese cinesi sono finanziate attraverso prestiti piuttosto che attraverso il mercato azionario come avviene negli USA, e le banche cinesi sono in grado di impegnarsi in prestiti massicci perché i cinesi depositano i loro risparmi soprattutto nelle banche invece che investirli nel mercato azionario. Così forniscono la base di depositi per sostenere questi prestiti estesi. Quanto al ‘debito’ pubblico cinese, la maggior parte di esso è denaro creato sui bilanci delle banche per stimolare lo sviluppo economico.
Zhao scrive: Durante la crisi finanziaria del 2008-09, il deficit del governo USA è aumentato di circa il 10% del PIL a causa di programmi di salvataggio come il TARP. Al contrario, il deficit del governo cinese durante quel periodo non è cambiato molto. Tuttavia, i prestiti bancari cinesi sono aumentati fino al 40%, mentre i prestiti negli USA sono crollati. Queste immagini contrastanti suggeriscono che la maggior parte del pacchetto di stimolo per quattromila miliardi di RMB cinesi [RMB si riferisce al renminbi, la moneta ufficiale della Repubblica popolare cinese] è stato sostenuto dalle sue banche statali. … Il cosiddetto “problema dei crediti inesigibili” è in realtà una conseguenza delle politiche fiscali di Pechino e dovrebbe essere trattato come tale.
La Cina chiama ‘prestiti’ questa forma di finanziamento governativo piuttosto che ‘stampa di denaro’, ma l’effetto è molto simile a quello che i banchieri centrali europei chiamano ‘denaro dell’elicottero’ per l’infrastruttura, cioè denaro generato dalle banche centrali che non deve essere ripagato. Se i prestiti cinesi vengono rimborsati, bene; ma se non lo sono, non è considerato un problema. Come i soldi dall’elicottero, i prestiti non performanti lasciano semplicemente del denaro in più nel mercato, creando la ‘domanda’ extra necessaria per colmare il divario tra PIL e potere d’acquisto dei consumatori: cosa particolarmente necessaria in un’economia che rallenta a causa della contrazione dei mercati globali dopo la crisi del 2008-09.
In un articolo del Financial Times dello scorso dicembre, intitolato “Basta preoccuparsi del debito cinese, non sta maturando una crisi”, Zhao ha approfondito questi concetti, scrivendo: Il cosiddetto rischio di credito in Cina è, di fatto, un rischio sovrano. Il governo cinese spesso fa affidamento sul credito bancario per finanziare programmi di incentivi governativi. … Il rischio sovrano cinese è estremamente basso. È importante sottolineare che i bilanci delle banche statali cinesi, del governo e della PBOC sono tutti interconnessi. In queste circostanze, una crisi del debito in Cina è quasi impossibile.
Le banche statali cinesi non avranno bisogno di un salvataggio in stile Wall Street da parte del governo. Esse sono il governo e il governo cinese ha un enorme surplus nella bilancia globale. Non andrà in bancarotta in nessun tempo prevedibile.
E che dire del rischio inflazione? Come notato dagli economisti di Citigroup, il qualitative easing in stile cinese è di fatto meno inflazionistico rispetto al quantitative easing operato dalle banche centrali occidentali e incentrato sulle banche private. E il quantitative easing in stile occidentale è riuscito a malapena a raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% della Fed. Per il 2017, il tasso di inflazione cinese ha segnato un modesto 1,8%.
Cosa fare quando il Congresso non agisce.
Piuttosto che considerare la Cina come una minaccia alla sicurezza nazionale e mettere le nostre risorse nell’espansione delle nostre difese militari, potremmo fare molto meglio studiando le loro politiche economiche di successo e adattandole per ricostruire le nostre strade e ponti fatiscenti prima che sia troppo tardi. Il governo degli Stati Uniti potrebbe costituire una banca federale per le infrastrutture che presti proprio come fanno le grandi banche pubbliche cinesi, oppure la Federal Reserve potrebbe fare un qualitative easing per le infrastrutture come fa la Banca Popolare Cinese.
Il principale ostacolo a questa soluzione sembra essere politico. Verrebbe uccisa la vacca da soldi, finora munta dagli interessi privati che manovrano dietro le quinte.
Quali alternative sono rimaste per i governi statali e locali a corto di denaro?
A differenza della Fed, essi non possono emettere denaro direttamente, ma possono istituire banche proprie. Il 50% del costo delle infrastrutture è di natura finanziaria, quindi avere banche proprie consentirebbe di dimezzare il costo delle infrastrutture.
I risparmi sui progetti infrastrutturali redditizi potrebbero quindi essere utilizzati per finanziare quei progetti criticamente necessari che mancano di un flusso di reddito.
Come modello, possono guardare alla secolare Bank of North Dakota (BND), attualmente l’unica banca di deposito di proprietà pubblica in tutti gli USA.
La BND eroga prestiti al 2% alle comunità locali per infrastrutture, molto al di sotto della media del 12% richiesta dalle banche private. Eppure, come notato in un articolo del Wall Street Journal del 2014, la BND è più redditizia di Goldman Sachs e di JPMorgan Chase.
Prima di sottoporsi allo sfruttamento da parte di partnership pubblico-private, i governi statali e locali farebbero bene a studiarsi meglio il modello della BND.
[1] Procuratore, Presidentessa del Public Banking Institute (www.publicbankinginstitute.org), autrice di dodici libri fra cui “Web of Debt” (La rete del debito) e “The Public Bank Solution” (La soluzione banca pubblica). Un tredicesimo libro intitolato “The Coming Revolution in Banking” (L’imminente rivoluzione bancaria) è in stampa. E’ anche co-conduttrice del programma radiofonico “It’s Our Money” (E’ il nostro denaro) su PRN.FM. I suoi articoli (più di 300) si trovano sul post EllenBrown.com
Articolo tratto da:
traduzione di Leopoldo Salmaso
Certo.
Abbiamo già parlato della Cina:
https://www.attivismo.info/2018/03/22/la-fonte-segreta-di-finanziamento-delleconomia-cinese-il-qualitative-easing/