Liberiamo l’azione politica dai condizionamenti dello Spread

a cura dell’Ufficio Studi della Confederazione Sovranità Popolare.

 

Invece di entrare nel merito politico delle proposte governative, il dibattito pubblico è sequestrato da un solo tema: i soldi, ci sono oppure no?

Il reperimento delle risorse economiche per l’attuazione delle tre riforme principali sarebbero un problema quasi insignificante per un paese che dispone di:

  • un patrimonio pubblico imponente;
  • una ricchezza finanziaria privata di circa 4200 miliardi di euro, di cui circa 1730 miliardi in raccolta bancaria, circa 2070 miliardi in gestioni collettive e di portafoglio, il residuo in borsa ed altri investimenti di rischio;
  • un patrimonio immobiliare privato di circa 5000 miliardi;

e che produce circa 1700 miliardi all’anno facendo lavorare solo un terzo della popolazione potenzialmente attiva.

 

Eppure, è difficilissimo trovare questi finanziamenti a causa di due ostacoli.

I trattati europei vincolano la possibilità di spesa al rapporto debito pubblico/PIL, ignorando tanto la sofferenza della popolazione, quanto la ricchezza del paese.
(N.B.: quei limiti prevedono margini di elasticità che hanno permesso alla Germania ed alla Francia di superarli ampiamente e per molti anni. Cosa impedisce all’Italia di farlo?)

 

Quello che ci condiziona materialmente non è una norma, ma una situazione di fatto. Un tipo di debito pericolosamente assente dal dibattito pubblico, che va invece conosciuto alla perfezione: il debito estero di natura finanziaria.

Esso ha due componenti:
1) i titoli di Stato italiani posseduti (o controllati) da investitori esteri;
2) i debiti del sistema bancario residente nei confronti dell’estero.

Deve essere chiaro che non sono gli sbilanci commerciali a determinare questo debito. Le partite commerciali italiane sono in attivo. Si tratta invece di debiti di natura finanziaria, di cui possiamo fare decisamente a meno.

Questi debiti finanziari verso l’estero ci condizionano in maniera inaccettabile: è infatti la minaccia dello spread, del default governativo e il possibile fallimento delle banche residenti che inchiodano il Governo, mentre all’orizzonte si agita lo spettro del giudizio delle agenzie di rating e l’arrivo del Meccanismo Europeo di Stabilità.
L’ESM è pronto a “salvare” tanto il Governo italiano quanto le banche (che, attenzione, sono residenti in Italia, custodiscono i nostri risparmi, ma sono oramai quasi tutte di proprietà estera).
In cambio, pretenderebbe interessi esosi, e imporrebbe riforme strutturali dannose e devastanti.

Grecia docet.
Ricordiamolo: in quel caso, i nostri risparmi depositati su quelle banche, potrebbero essere sottrattici con le procedure del bail-in.

Senza questo pericolo, che è reale e spiega l’apparente recente retromarcia di alcuni politici, il potere negoziale e la libertà d’azione del Paese sarebbero totalmente diversi.

 

Ora domandiamoci: perché la quasi totalità dei nostri titoli di Stato sono comprati o comunque controllati dagli investitori istituzionali, di cui circa 1/3 integralmente esteri?

La risposta la troviamo nelle politiche di gestione del debito pubblico che, a partire dagli anni ottanta, grazie ad uno specifico programma di “internazionalizzazione del debito”, le ha rese favorevoli ai desiderata degli investitori istituzionali (e cioè: investimenti rischiosi e ben remunerati con alti tassi di interesse), rendendoli però inadatti ai bisogni dei cittadini risparmiatori italiani, che si accontentano di rendimenti inferiori, ma vogliono evitare i rischi.

Tale scelta politica, mentre innalza il costo degli interessi per lo Stato e crea dipendenza dagli investitori esteri, spiazza le famiglie risparmiatrici che, perso il porto sicuro dei titoli di stato, sono lasciate in balia del sistema finanziario speculativo che propone loro, in maniera assillante ed ai limiti della liceità, “prodotti per l’investimento”.
Ricordiamo che è tenuta ben separata la competenza di supervisione sulle attività di risparmio (assegnata alla Banca d’Italia) e quella sulle attività di investimento (assegnata al la Consob).

 

Dobbiamo infatti capire a fondo la differenza fra la figura del risparmiatore e quella dell’investitore, per rammentare a tutti che un risparmiatore non deve essere trattato come un investitore.

Un investitore è disposto a correre rischi in cambio della possibilità di ottenere rendimenti elevati. Più è alto il rendimento teorico possibile e maggiore è il rischio, anche di perdere il capitale.

La classica famiglia risparmiatrice italiana, invece, ha un obiettivo semplice e chiaro: accantona del denaro per far fronte agli imprevisti, e quindi ha bisogno di occasioni di impiego che offrano rendimenti magari contenuti, ma che non comportino il rischio di perdere il capitale. Questo erano una volta i titoli di stato comperati dalle famiglie italiane.

Oggi, invece, c’è un grave conflitto di interessi nel sistema finanziario che incassa grasse commissioni vendendo prodotti per l’investimento ai risparmiatori. Non cambia la loro natura solo perché firmano documenti illeggibili!

 

Domandiamoci attentamente: chi usa i soldi degli italiani?

Quando i risparmiatori impiegano il proprio risparmio, rimandano il proprio potere di spesa ad un momento futuro e consegnano la liquidità a un soggetto diverso. Questo soggetto offre una remunerazione (sempre più simbolica) e utilizza nel frattempo quella liquidità.

Il risparmio che finisce in un salvadanaio o sotto il materasso impedisce la circolazione monetaria, indispensabile come l’ossigeno all’economia dello scambio.
Lo Stato, invece, può assorbire questa liquidità, offrendo titoli sicuri e convenienti, riducendo la spesa per interessi e rimettendola in circolo attraverso la spesa pubblica.
Anche le banche dovrebbero rimettere in circolo i soldi dei depositanti quando finanziano investimenti di terzi. Ma le banche private e straniere hanno convenienza a disintermediare il risparmio italiano, penalizzando gli investimenti nell’economia reale italiana, mentre dirottano la liquidità nel mondo della speculazione finanziaria internazionale.

 

Così il Paese si trova in una situazione assurda: dipendiamo da finanziamenti esteri, mentre i nostri soldi (che, ricordiamolo, sono quasi il doppio del debito pubblico degli italiani) sono trascinati non si sa dove, grazie a fondi di investimento, gestioni patrimoniali, titoli e derivati che ci vendono banche private e straniere.

 

L’azione governativa può perseguire due obiettivi immediati finalizzati a liberarsi dai condizionamenti di fatto degli investitori internazionali ed a proteggere la ricchezza nazionale, nonché a superare i vincoli normativi e ad acquistare potere negoziale.

1) Riportare i titoli di Stato italiani nei portafogli delle famiglie risparmiatrici italiane.

2) Recuperare il controllo del sistema bancario e dei pagamenti.

 

Vediamoli in ordine, cominciando dagli interventi sulle politiche di gestione dei titoli di Stato (c.d. debito pubblico).

Va bene l’appello lanciato dalla politica ai risparmiatori italiani, ma occorre rispetto ed attenzione dei loro bisogni.

L’Italia regala oltre il 3% sui BTP decennali ad investitori che portano quegli interessi all’estero, quando potremmo pagare l’1 o il 2 % su BOT e CCT alle famiglie italiane che spendono in Italia.

Per rendere i titoli di Stato convenienti e sicuri per le famiglie italiane, riducendo al contempo il costo dei loro interessi nel bilancio pubblico e trovando così nuove risorse, si può agire con una serie di interventi, suggeriti di seguito.

 

Si possono predisporre emissioni speciali di BOT e CCT pensate per rispondere ai bisogni delle famiglie risparmiatrici.

Le emissioni possono contenere clausole (premi legati alla sottoscrizione, al mantenimento sino a scadenza, al rinnovo automatico a scadenza, vantaggi fiscali) attivate in funzione della natura del soggetto sottoscrittore finale: persone fisiche, con cittadinanza italiana anche se residenti all’estero.

Vanno tenute distinte e separate dalle altre emissioni.

Per il collocamento presso i risparmiatori si autorizzano tutte le banche (incluso BancoPosta), con commissioni chiare, predefinite e molto basse (possibilmente “zero”, almeno per le prenotazioni ed acquisti online).

 

Contemporaneamente, si può predisporre la possibilità di apertura di un “conto deposito” presso il Tesoro ad ogni cittadino italiano persona fisica, idoneamente remunerato in rapporto alla scadenza e non rimborsabile in anticipo.

L’apertura potrebbe avvenire sia con modalità online (gratuita), sia con modalità allo sportello (con piccola commissione) attraverso BancoPosta, diffuso uniformemente in tutta Italia.

Il “conto deposito” del Tesoro sarebbe collegabile a qualunque conto corrente bancario (come avviene per gli attuali conti di deposito di banche private, tipo “conto arancio”), incluso BancoPosta, da cui proverrebbe e cui tornerebbe la provvista in denaro.

Avrebbe lo stesso trattamento fiscale dei titoli di Stato.

Le giacenze su tali conti deposito presso il Ministero dell’Economia e Finanze, pur essendo contabilmente sempre un debito pubblico, ridurrebbero di pari importo la necessità di emissioni di titoli di Stato, diminuendone così i quantitativi in circolazione e, indirettamente, anche la fluttuazione dello spread.

 

Le due possibilità sono operabili congiuntamente.

Il rendimento medio dei “titoli” e dei “conti deposito” di Stato per le famiglie può essere decisamente inferiore a quanto preteso oggi dagli investitori istituzionali sui BTP, ma decisamente superiore a quello oggi offerto ai risparmiatori dal sistema finanziario privato, a parità di rischio.

Vantaggi per tutti: Italia come collettività e singoli cittadini come risparmiatori.

 

Le quantità di BTP offerte in rinnovo è bene che siano drasticamente ridotte, sostituite da titoli e conti deposito per le famiglie, e perfino azzerate in periodi di turbolenza.

In quest’ultimo caso, si possono incentivare i CCT, che con il tasso variabile abbattono i rischi e sono quindi adatti ai risparmiatori, mentre consentono allo Stato di manovrare, all’occorrenza, il profilo temporale delle scadenze.

 

Vanno modificate in ogni caso le attuali modalità di collocamento dei titoli di Stato, con i seguenti interventi:

  • si cambiano gli “operatori specialisti”, cioè quei soggetti che ottengono privilegi nel collocamento, che attualmente sono quasi esclusivamente banche d’affari internazionali, per sostituirli con banche orientate alla tutela del risparmio nazionale;
  • si modificano i meccanismi d’asta, per eliminare i vantaggi ingiustificati che oggi attribuiscono a tutti i partecipanti il rendimento marginale (quindi più alto) proposto in asta; è assurdo pagare la maggior parte degli investitori più di quanto siano disposti ad accettare;
  • si inverte nei meccanismi di collocamento il rapporto fra quantità e prezzo, per le emissioni dedicate alle famiglie.

 

Considerando che la quantità di risparmio italiano è certamente eccedente il fabbisogno del debito pubblico, è bene raccogliere tutte le quantità che i risparmiatori sono disposti a sottoscrivere (in “titoli” o in “conti deposito”) alle condizioni proposte, così da predisporre un cuscinetto di liquidità che consente di affrontare con serenità ogni futura incertezza.

Con la prevedibile eccedenza di raccolta di risparmio rispetto alle scadenze degli attuali titoli, potrebbero essere riacquistati dallo stesso Stato italiano altri propri titoli sui mercati finanziari, contribuendo così a mettere in sicurezza (in mano ai cittadini italiani) la maggior quota possibile di debito pubblico, ad abbassare i suoi tassi di rendimento, lo spread e la spesa complessiva per interessi, oltre a ridurre il rischio bail-in ai risparmiatori italiani.

 

Tale operazione di avvicinamento diretto tra il risparmio privato degli italiani ed il debito pubblico dell’Italia complessivamente non metterebbe a rischio le risorse per i prestiti bancari alle famiglie ed alle imprese private, che sono pari a circa 1400 miliardi.

Le attuali necessità finanziarie dell’intero debito pubblico italiano, al netto del QE delle banche centrali, sono di circa 1900 miliardi.

I circa 3800 miliardi di risparmi italiani oggi confluiti in raccolta bancaria e gestioni collettive e di portafoglio, sono più che sufficienti a coprire sia i prestiti bancari che il debito pubblico.

Ovviamente diminuirebbero le commissioni di intermediazione del sistema finanziario, ma aumenterebbe il rendimento netto medio dei risparmi degli italiani e diminuirebbe il costo del finanziamento del debito per lo Stato italiano, aumentando complessivamente le risorse per gli investimenti.

 

Passiamo ora agli interventi sul Sistema bancario e dei pagamenti.

 

Per evitare il rischio Grecia, e cioè la possibilità che da un giorno all’altro i risparmiatori italiani si trovino i bancomat chiusi, e la possibilità che i propri risparmi vengano parzialmente sottratti con il bail-in per coprire le perdite delle banche, è urgente intervenire con decisione.

Teniamo presente che i downgrading delle agenzie di rating agiscono anche sulle quantità di credito che le banche straniere sono disposte a concedere alle banche residenti, già indebitate.

 

Il bisogno di credito estero delle banche residenti dipende in buona parte dalla loro abitudine di disintermediare il risparmio privato, per lucrare commissioni.

Un sistema bancario privato che riducesse la vendita di prodotti finanziari ai risparmiatori ed, invece, investisse tale risparmio valutando accuratamente le richieste di investimento nell’economia reale, fatta di lavoro e produzione di beni e servizi, sarebbe senz’altro più solido, renderebbe un servizio fondamentale all’economia nazionale e si libererebbe dalla dipendenza estera.

Il Governo sta già pensando ad una banca pubblica.

I vantaggi principali sono nella migliore protezione del risparmio, e contemporaneamente nel miglior uso che si può fare della liquidità.

Nell’immediato è evidente che la scelta può cadere su BancoPosta, che pur non essendo una banca a tutti gli effetti, ha il vantaggio importantissimo di avere uno sportello in tutti i comuni d’Italia ed una immagine non compromessa.

 

Aprendo ad ogni cittadino su BancoPosta un conto corrente obbligatorio (e gratuito) per il regolamento fiscale, si ottengono una serie di vantaggi. Collegando quei conti correnti fiscali al Tesoro, si è creato con pochissimi interventi un intero sistema di pagamenti interno, che mette in rete tutti i soggetti operanti in Italia. Un sistema che, pur essendo pienamente in grado di dialogare con tutto il sistema internazionale, resta potenzialmente isolato dai rischi di contagio.

 

Si specializza BancoPosta (da blindare nel controllo pubblico) nell’offerta di “prodotti per il risparmio”, vietando contemporaneamente negli uffici postali i “prodotti per l’investimento” che rimarrebbero in esclusiva nel settore privato.

Si avvierebbe, in tal modo, quella separazione delle attività commerciali da quelle speculative, che ogni persona informata e di buon senso intuisce come necessaria, realizzando il dettato costituzionale: la Repubblica tutela il risparmio (Art. 47).

 

BancoPosta è collegata a Cassa Depositi e Prestiti, che è già orientata ad indirizzare il risparmio postale verso investimenti di pubblico interesse. Insieme, riescono a coprire tutte le principali funzioni bancarie che ci interessano.

Facendo partecipare una banca pubblica alle aste dei titoli di Stato, si attua quella funzione che in Germania copre la KFW, ed in Francia la BPI: una banca pubblica che può partecipare alla sottoscrizione dei titoli di Stato, offre una valvola di sfogo per i momenti di tensione.

 

Sia ben chiaro che queste proposte non sono una panacea per tutti i mali.

Sono un primo passo, urgente e necessario allo scopo di liberare l’Italia dai condizionamenti di fatto, particolarmente odiosi, resi possibili dal debito estero di natura finanziaria, di cui non abbiamo alcun bisogno.

Restano invece intatti i vincoli normativi, posti dai trattati europei, per superare i quali è necessario entrare nel territorio sconosciuto della moneta, della sua natura essenzialmente fiduciaria, delle infinite possibilità che questa natura offre.

Ci sono nel paese proposte che meritano una visibilità e dibattiti pubblici ben diversi che, come Confederazione Sovranità Popolare, caldamente sollecitiamo.

 

Proposta elaborata dall’Ufficio Studi dell’associazione Confederazione Sovranità Popolare
Guido Grossi

Davide Gionco
Alessandro Coluzzi
Silvio Zagni
Sergio Ferrero

http://www.sovranitapopolare.it/

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