di Francesco Carraro
Immaginate un disegno di legge il cui primo articolo reciti così: “Per ‘virus’ si intende un agente patogeno infettivo”. Oppure così: “Per ‘mano’ si intende l’estremità dell’arto anteriore di una persona munita di cinque dita”. O, ancora, così: “Per ghiaccio si intende l’acqua allo stato solido”. Vi verrebbe da ridere? Be’, sappiate che non c’è nulla da ridere. Il disegno di legge Zan recita infatti: “Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico”. Non fa ridere perché quando l’assurdo prende le forme del reale e il grottesco quelle del diritto positivo, allora è giunto davvero il momento di interrogarsi.
Perché siamo giunti al punto di aver bisogno di una legge che ci dica cosa è il sesso? Vale a dire, una delle nozioni più ovvie ed elementari? Risposta: perché il sesso deve smetterla di essere un fattore identitario. E infatti la legge si premura di “confinarlo” etichettandolo con due aggettivi: “biologico” e “anagrafico”. Quindi, esiste qualcosa di diverso dal sesso che però a quest’ultimo è strettamente imparentato: il “genere”. Non a caso, il genere viene definito al punto b) dell’articolo 1 come “qualunque (si badi bene: “qualunque”) manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”.
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