di Davide Gionco
Oramai ci siamo assuefatti e rassegnati a subire quasi quotidianamente notizie sull’Italia che è all’ultimo posto per gli indicatori economici che sarebbero positivi ed al primo posto per gli indicatori economici ritenuti negativi.
Lo “spettacolo” diventa poi disgustoso quando sono i partiti politici di opposizione, quelli che negli anni precedenti hanno portato avanti le politiche economiche che hanno ridotto l’Italia in queste condizioni, che come avvoltoi denunciano la disastrosa situazione economica dell’Italia, proponendo come soluzioni le stesse “ricette” che hanno causato i problemi.
La realtà è che l’Italia è da molto tempo “all’ultimo posto” per la crescita economica.
Almeno da 10 anni a questa parte (ma anche prima non erano rose e fiori).
Il prodotto interno lordo (GDP in inglese) dell’Italia è costantemente inferiore a quello dell’Area Euro. Anziché dare le colpe all’attuale governo, che per il momento -francamente- non sta facendo molto per invertire la rotta, sarebbe il caso di comprenderne le ragioni.
Il disastro della situazione italiana non lo si evince solo dall’andamento del prodotto interno lordo, che in fin dei conti è solo uno degli indicatori di analisi della situazione, ma anche da molti altri dati.
In Italia negli ultimi anni è costantemente aumentata la povertà, che colpisce soprattutto le giovani generazioni, ovvero i minori che vivono in famiglie con figli a carico (below 18) ed i giovani che non riescono a trovare lavoro.
Inoltre l’Italia è ritornata da tempo ad essere una terra di emigranti, con un impressionante aumento dei flussi migratori dall’Italia verso l’estero, in modo particolare dei nostri giovani.
A questi flussi si aggiungono i flussi migratori interni dal Mezzogiorno verso il Nord Italia, con 1,2 milioni di persone che hanno lasciato il Sud per il Nord
Non solo. A causa della crisi economica gli italiani hanno smesso di fare figli, in quanto non si sentono in grado di mantenerli e di garantire loro un futuro migliore.
Se oggi siamo in crisi economica a causa di scelte politiche sbagliate, domani lo saremo in quanto avremo pochi giovani in grado di lavorare e molti anziani da mantenere.
Calcolando che ci vogliono almeno 25 anni a generare, crescere e formare un nuovo cittadino-lavoratore, fin d’ora possiamo dire di esserci condannati al suicidio demografico, tanto più grave quanto più l’attuale situazione perdura nel tempo.
Questo avviene in quanto il prodotto interno lordo attuale è inferiore a quello dell’anno 2000 (ma nel frattempo il costo della vita è aumentato del 36%) ovvero veniamo da 20 anni consecutivi di politiche di impoverimento della popolazione italiana.
Non solo. Questo è il dato medio, ma nel contempo è anche avvenuto uno spostamento di ricchezza dai più poveri ai più ricchi del paese adottando politiche di non-redistribuzione fiscale della ricchezza. In questa speciale classifica l’Italia è seconda solo alla Grecia.
Dall’ingresso nell’euro (con relative regole di austerità) l’Italia ha registrato un arresto nella crescita del prodotto interno lordo.
Tale arresto ha causato dapprima un crollo del risparmio fino al 2010, con relativo crollo degli investimenti. Dopo di che, con l’inasprimento delle politiche di austerità causato dal governo di Mario Monti, vi è stato un definitivo crollo degli investimenti, unito ad una ripresa del risparmio (ovvero: chi potrebbe spendere non lo fa, per timore della crisi economica). E ricordiamoci che il PIL è costituito principamente dalla somma degli investimenti pubblici e privati.
Se gli investimenti privati sono calati per la perdita di fiducia (e a ragione) nella situazione economica del paese, il calo degli investimenti pubblici è stato causato unicamente dalla decisioni politiche dei vari governi.
Cosa che non è avvenuta negli altri paesi.
Nel contempo è anche aumentata la pressione fiscale, pur se con una lieve riduzione negli ultimi anni.
Ma perché è avvenuto tutto questo?
La risposta è “Trattato di Lisbona” (simile al precedente Trattato di Maastricht), quello in cui l’Italia si è impegnata ad attuare le politiche di austerità per “ridurre il debito pubblico”, cedendo di fatto il controllo delle proprio politiche economiche ad oscuro burocrati di Bruxelles, mai votati da nessuno di noi, che decidono indifferenti alle sofferenze del popolo italiano ed alla devastazione economica che segue dalle loro decisioni. Tanto non devono renderne conto a nessuno.
E in effetti in questi anni di politiche europee l’Italia, come sempre al primo o all’ultimo posto, è fra i paesi che meno di tutti hanno fatto salire il debito pubblico, solo del 30% del valore dal 2008 al 2015.
L’Italia si piazza al primo posto delle politiche di austerità, avendo aumentatno dal 2005 al 2015 la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, solo del 4%.
Essendo la spesa pubblica una componente essenziale del PIL e del reddito di milioni di italiani, fra dipendenti pubblici e lavoratori di imprese che sono fornitrici di beni e servizi per lo Stato, ovviamente il PIL non è salito come avrebbe dovuto.
E infatti l’Italia, ancora una volta al primo posto, è il paese dei paesi OSCE che più di tutti ha realizzato anni consecutivi di attivo di bilancio primario, che significa che il popolo ha pagato in tasse più di quanto ha ricevuto sotto forma di pagamenti pubblici.
Dal 1995 al 2015 l’Italia ha accumulato un attivo di bilancio primario di 657 miliardi di euro. Ovvero denaro che è stato tolto dalle tasche degli italiani e utilizzato per “ridurre il debito” ovvero per darlo agli investitori finanziari.
A queste politiche di austerità si sono aggiunte le porte aperte agli speculatori finanziari, che hanno vampirizzato il nostro paese inondandolo di titoli derivati. Solo fra il 2011 e il 2014 l’Italia ha pagato ben 16 miliardi ai vari speculatori.
Non lasciamoci abbattere cadendo nella disperazione.
Questi dati drammatici sulla situazione economica e sociale dell’Italia non sono altro che le conseguenze di scelte politiche totalmente sbagliate, che hanno messo al primo posto la “riduzione del debito” e all’ultimo posto la situazione del paese reale.
I dati sopra esposti dimostrano che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per crescita economica e per il deterioramento della situazione sociale proprio perché è al primo posto nell’attuazione delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, che consistono nei tagli degli investimenti pubblici (che significano tagli alle opportunità di lavoro per persone ed imprese) e nell’aumento della pressione fiscale, il che realizza un attivo del bilancio dello Stato (bilancio primario) ed un passivo del bilancio degli italiani, che inevitabilmente si impoveriscono, non fanno figli, emigrano.
L’obiettivo di “ridurre il debito pubblico” è qualche cosa privo di senso, in quanto il “debito pubblico” non è altro che la sommatoria del denaro che la banca centrale (Banca d’Italia prima, Banca Centrale Europea oggi) ha creato per conto dell’Italia.
Si tratta di denaro creato dal nulla, stampando dei pezzi di carta, il quale è stato “prestato” allo stato italiano.
Seil debito venisse tutto ripagato, semplicemente avverrebbe la restituzione alla BCE di tutte le euro-banconote in circolazione. Che vantaggio ne avremmo?
Come se la società Juventus Football Club dovesse restituire alla tipografia un importo di denaro pari al valore nominale dei biglietti della partita di calcio.
E quale vantaggio avremmo a ridurre il debito, se il prezzo da pagare è la distruzione della nostra economica, al punto che il PIL diminuisce e il rapporto debito/PIL aumenta, nonostante tutti i tagli alla spesa pubblica e gli aumenti di tasse?
L’unico caso storico di totale riupagamento del debito pubblicoebbe luogo nel 1584 presso la Repubblica di Venezia.
Le conseguenze furono una grave crisi economica della Serenissima, mentre non vi fu alcun vantaggio né per i Veneziani, né per gli investitori/risparmiatori.
La cattiva notizia è che la situazione è molto grave e che, per il momento, non vi sono segnali concreti di miglioramento.
La buona notizia è che la soluzione dei problemi dipende solo da noi. Non abbiamo attendere un eventuale “miglioramento della congiuntura internazionale”, né l’arrivo di fantomatici “capitali esteri”.
La soluzione dei problemi sta nel riprendersi la sovranità monetaria. Ci siamo occupati dell’argomento in questo articolo:
https://www.attivismo.info/uscita-dalleuro-dellitalia/
Avendo il controllo della quantità e delle modalità di emissione del denaro che lo stato spende per finanziare gli investimenti pubblici è certamente possibile aumentare gli investimenti pubblici, creando delle nuove opportunità di lavoro per cittadini ed imprese ed invertendo il trend delle politiche di austerità.
In proposito esiste un eclatante precedente storico.
Qui sotto sono rappresentati i disoccupati (in milioni di persone) che ci furono in Germania fra il 1921 e il 1939.
Fonte: http://www3.ilch.uminho.pt/kultur/Statistik%20Arbeitslose%201921%20-%201939.htm
Nei famosi anni della iperinflazione della Repubblica di Weimar, quelli durante i quali la gente andava in giro con carriole piene di banconote, il numero di disoccupati era inferiore ad un milione di persone.
A partire dal 1930 Francia e Regno Unito, i vincitori della Prima Guerra Mondiale, imposero alla Germania le politiche di austerità, in modo da garantire il pagamento dei debiti di guerra e di evitare fenomeni inflattivi come quelli sopra descritti.
Il risultato fu una impennata del numero di disoccupati fino ad oltre 4 milioni nel 1932 ed oltre 5 milioni nel 1933.
Non a caso, in questa situazione di povertà diffusa e di disperazione del popolo tedesco, salì al potere Adolf Hitler, il quale nominò a ministro dell’economia il geniale economista Hjalmar Schacht, il quale emettendo una moneta parallela creata direttamente dallo Stato, i MEFO, riuscì nel giro di pochi anni a ridurre la disoccupazione e la povertà in Germania, portandola sostanzialmente a zero fra il 1938 e il 1939.
Dopo di che, come noto, Hitler usò la forza lavoro del popolo tedesco per preparare la Seconda Guerra Mondiale, ma questo indirizzo politico non ha nulla a che vedere con la “soluzione tecnica” della sovranità monetaria.
Le soluzioni ai gravi problemi economici e sociali dell’Italia, quindi, dipendono solo da noi, dalle nostre scelte quando andiamo a votare e dalle scelte dei nostri governanti.
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