Volete ridurre la impronta ecologica del vostro cibo? Concentratevi su cosa mangiate, non quanto il vostro cibo sia prodotto localmente.

di Hanna Ritchie
24.01.2020

Il giornale “Our World in Data” presenta le prove empiriche sullo sviluppo globale sotto forma di articoli dedicati ad argomenti specifici. Questo articolo si basa su dati e ricerche discusse nel nostro articolo sugli impatti ambientali del cibo e sulla molecola CO2 e i gas serra.

Le persone di tutto il mondo stanno diventando sempre più preoccupate per i cambiamenti climatici: 8 persone su 10 vedono i cambiamenti climatici come una grave minaccia per il loro paese.(1) Come ho dimostrato precedentemente, la produzione alimentare è responsabile per un quarto delle emissioni mondiali di gas serra.

“Mangiare cibo locale” è un consiglio che ascolti spesso, anche da fonti importanti, tra cui le Nazioni Unite. Sebbene possa sembrare sensato intuitivamente, perché effettivamente il trasporto degli alimenti comporta emissioni,  è uno dei consigli più fuorvianti. Mangiare alimenti locali avrebbe un impatto significativo solo se il trasporto fosse responsabile di gran parte dell’impronta ecologica finale del cibo. Per la maggior parte degli alimenti, questo non è il caso. Le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal trasporto di alimenti rappresentano una quantità molto ridotta delle emissioni totali causate dal cibo. Ciò che si mangia è molto più importante del viaggio percorso dagli alimenti.

 

Da dove vengono le emissioni causate dal cibo che mangiamo?

Nel grafico a seguire vediamo le emissioni dei gas serra di 29 diversi prodotti alimentari – a cominciare dal manzo in alto fino alle noci in fondo.

Per ogni prodotto potete vedere da quale fase della catena di produzione provengono le sue emissioni. Queste fasi vanno dalle modifiche dell’uso del terreno a sinistra, fino al trasporto e all’imballaggio a destra.

Questi dati provengono dalla più grande meta-analisi dei sistemi alimentari globali fino ad oggi, pubblicati su Science da Joseph Poore e Thomas Nemecek (2018).(2) In questa analisi, gli autori hanno esaminato i dati di oltre 38.000 fattorie commerciali in 119 paesi.

Nello studio si esaminano le emissioni totali di gas serra per kg di prodotto alimentare. Il CO2 è il gas serra più importante, ma non è l’unico: l’agricoltura è una grande fonte di metano e di protossido di azoto, entrambi gas serra. Per catturare tutte le emissioni di gas a effetto serra causate dal cibo, i ricercatori le hanno espresse in termini di kg di elementi equivalenti al CO2. Questa metrica prende in considerazione non solo il CO2 ma tutti i gas serra.(3) L’intuizione più importante che viene da questo studio è che la produzione di un kg di manzo emette 60 kg di gas serra mentre la produzione di un kg di piselli ne emette 1 kg.

Complessivamente, gli alimenti di origine animale tendono ad avere un’impronta più elevata rispetto a quelli di origine vegetale. L’Agnello e il formaggio emettono entrambi più di 20 kg di gas equivalenti al CO2 per kg. Il pollame e il maiale hanno un impronta più basse, ma sono ancora più alti rispetto alla maggior parte degli alimenti a base vegetale, rispettivamente a 6 e 7 kg di gas equivalenti al CO2.

Per la maggior parte degli alimenti – e in particolare i più grandi emettitori di gas – la maggior parte delle emissioni di gas a effetto serra derivano dal cambiamento nell’uso del suolo (mostrato in verde nel grafico) e dai procedimenti in fase agricola (marrone). Per fase agricola si intendono i procedimenti derivanti dalla produzione di alimenti grezzi, e non dalla lavorazione di questi per la loro conversione in prodotti pronti da consumare. Le emissioni in fase agricola provengono da procedimenti come l’applicazione di fertilizzanti – sia organici (“gestione del letame”) che sintetici; e la fermentazione enterica (produzione di metano nello stomaco dei bovini). L’80 % dell’impronta ecologica della maggior parte degli alimenti è composto dal cambiamento dell’uso del suolo e dalla fase agricola.

Il trasporto degli alimenti contribuisce solo in minima parte alle emissioni. Per la maggior parte dei prodotti alimentari, il trasporto causa meno del 10 percento delle emissioni totali, una percentuale che è molto minore per gli alimenti che sono i più grandi emittenti di gas serra.  La percentuale di emissioni dovute al trasporto del manzo di allevamento è dello 0,5 %. Non è solamente il trasporto, ma la maggior parte dei procedimenti nella catena di produzione dopo che gli alimenti lasciano la fase produttiva – come la raffinatura, il trasporto, l’imballaggio, e la vendita –  rappresentano una piccola parte delle emissioni dell’intero ciclo di produzione e consumo di questi alimenti.

I dati nella tabella riportata in basso mostrano che le emissioni dovute al trasporto dei materiali ammontano a una bassa percentuale non solo se si analizzano i singoli alimenti, ma anche se si prendono in considerazione le diete diffuse nell’Unione Europea. Secondo i dati dello studio, il trasporto alimentare era responsabile solo del 6% delle emissioni, mentre i latticini, la carne e le uova rappresentavano l’83% .(4)

 

Mangiare cibo locale abbassa solamente le emissioni degli alimenti

Mangiare carne di manzo o di agnello locale ha un impronta di carbonio molto maggiore rispetto a quella di verdure non locali.

Tipicamente, il trasporto del manzo ammonta a solamente l’1% delle emissioni di gas serra dovute al suo consumo. Potreste pensare che questa percentuale è fortemente dipendente dal luogo nel mondo in cui si vive e su quanta distanza percorre il manzo, ma come dimostrerà l’esempio riportato in basso, queste variabili non hanno un effetto rilevante.

 

Esempio: Come la distanza del trasporto del manzo cambia la sua impronta ecologica.

Lo studio di Christopher Weber e Scott Matthews del 2008, pubblicato in Environmental Science and Technology, ha investigato le conseguenze delle miglia percorse dal cibo e dai tipi di cibo delle abitazioni Statunitensi.(5) La loro analisi ha dimostrato che se durante un giorno a settimana, esse sostituissero la carne rossa e i latticini con il pollo, il pesce, le uova o i prodotti vegetali, si ridurrebbero le emissioni dei gas serra più di quanto si ridurrebbero comprando tutto il cibo da risorse locali.

Analizzando i dati sulle spese dei consumatori Statunitensi, si è visto che nella media il consumo di cibo di una loro casa emette 8 tonnellate di gas serra equivalenti al CO2 all’anno. Di queste 8 tonnellate solo il 5% è dovuto al trasporto (0.4 tonnellate di gas equivalenti al CO2).(6) Questo è un esempio portato all’estremo perché vanno comunque calcolate le emissioni dovute dal trasporto di alimenti provenienti da rivenditori nei pressi dell’abitazione.

Hanno stimato che se la famiglia media statunitense, per solamente un giorno a settimana, sostituisse il pollo, il pesce e le uova alla  carne rossa e i latticini, essa risparmierebbe 0,3 tonnellate di gas serra equivalenti al CO2. Se rimpiazzassero le calorie assimilate da carne rossa a latticini con i derivati di piante, risparmierebbero 0.46 tonnellate di gas serra equivalenti al CO2. In altre parole, non mangiare carne rossa una volta a settimana comporterebbe la stessa diminuzione di emissione derivante da una dieta di 7 giorni a settimana nella quale si mangiassero solo cibi locali.

Ci sono anche dei casi in cui scegliere di mangiare cibo locale poterebbe aumentare, e non diminuire, le emissioni derivate. Nella maggior parte dei paesi molti alimenti possono essere solo coltivati una volta all’anno. I consumatori però li vogliono tutto l’anno. Questa volontà comporta tre opzioni: importare prodotti dall’estero dove sono di stagione, usare metodi intensivi come le serre per produrli durante tutto l’anno, oppure usare la refrigerazione e altri metodi di preservazione per conservarli per mesi. Ci sono molti esempi che mostrano che importare alimenti dall’estero spesso è la scelta più ecologica.

Lo studio di Hospido et al (2009) stima che importare la lattuga spagnola nel Regno Unito durante l’inverno risulta in un emissione dalle 3 alle 8 volte minore all’emissione che si avrebbe producendola localmente.(7)  Lo stesso vale per altri alimenti: la produzione di pomodori prodotti nelle serre in Svezia usa 10 volte l’energia di quella usata per l’importazione da paesi dell’Europa Meridionale durante la stagione dei pomodori.(8)

 

Evitate gli alimenti spediti via aereo.

In molti credono erroneamente che il trasporto via aereo sia comune. Non è affatto cosi. Di fatti rappresenta solamente lo 0,16% della distanza percorsa dagli alimenti. (9)   Il trasporto via aereo emette 50 volte i gas equivalenti al CO2 rispetto al trasporto via nave.(10)

Quali sono gli alimenti che si spediscono via aereo e come può il consumatore sapere quali prodotti da evitare? Questi prodotti tendono ad essere altamente deperibili e per essi il trasporto via nave è troppo lento. Alcuni frutti e vegetali rientrano in questa categoria, tra cui gli asparagi, i fagiolini, i frutti di bosco e le bacche.

Degli indizi che possono aiutare un consumatore a capire quali prodotti hanno viaggiato via aereo sono le etichette che mostrano un paese di provenienza molto lontano e le scadenze molto brevi dei prodotti. Quando d prodotti vengono promossi e pubblicizzati enfatizzandone la freschezza, si può dedurre che la velocità del trasporto sia una priorità.

Per concludere, se volete ridurre la impronta ecologica della vostra dieta, evitate gli alimenti spediti via aereo. Inoltre sostituite, per quanto possibile, la carne rossa, la carne da animali ruminanti e i latticini con la carne di pollo, di maiale, e meglio ancora di altri alimenti derivati da piante.

 

Riferimenti

1. Nel 2018 il Pew Research Center Survey ha eseguito un sondaggio su persone di tutto il mondo riguardo ai pericoli globali percepiti: in molti paesi piu’ di 8 persone su 10 hanno detto che il cambiamento climatico era un pericolo significativo per il loro paese. Anche nei paesi che hanno dato meno importanza a questo tema, una grande percentuale affermava di credere che il cambiamento climatico era un pericolo significativo: il 59% delle persone negli Stati Uniti lo hanno affermato.

2. Poore, J., & Nemecek, T. (2018). Reducing food’s environmental impacts through producers and consumersScience, 360(6392), 987-992.

3. Per esprimere tutti i gas serra in termini di equivalenza con il CO2, essi sono valutati secondo il loro potenziale di riscaldamento globale (global warming potential (GWP) value. GWP misura l’impatto riscaldante di una molecola o una unità di peso di un gas serra relativo al monossido di carbonio durante un periodo stabilito – solitamente oltre i 100 anni. Per esempio, una tonnellata di metano avrebbe 34 volte l’impatto riscaldante in confronto a una tonnellata di monossido di carbonio in un periodo di 100 anni. I valori GWP100 sono utilizzati per combinare i gas serra in un’unica metrica per misurare le emissioni chiamate equivalenti di CO2 (CO2e). CO2e è quindi derivato moltiplicando la massa delle emissioni di un gas serra specifico per il suo fattore GWP100 equivalente. La somma di tutti i gass nella loro forma CO2e rappresenta una misura di tutte le emissioni di gas serra. In questo paragone osserviamo le emissioni totali di gas serra per kilogrammo di prodotto alimentare. Il CO2 è il gas serra piu’ imnportante, ma non l’unico-l ’agricoltura è una grande sorgente di emissioni di gas serra come il metano e l’ossido di azoto.

4. Sandström, V., Valin, H., Krisztin, T., Havlík, P., Herrero, M., & Kastner, T. (2018). The role of trade in the greenhouse gas footprints of EU dietsGlobal Food Security, 19, 48-55.

5. Weber, C. L., & Matthews, H. S. (2008). Food-miles and the relative climate impacts of food choices in the United StatesEnvironmental Science & Technology.

6.This figure is very similar to the previous estimates we looked at from Joseph Poore and Thomas Nemecek (2018) where transport accounted for 6% of emissions.

7. Hospido, A., i Canals, L. M., McLaren, S., Truninger, M., Edwards-Jones, G., & Clift, R. (2009). The role of seasonality in lettuce consumption: a case study of environmental and social aspectsThe International Journal of Life Cycle Assessment14(5), 381-391.

8. Carlsson-Kanyama, A., Ekström, M. P., & Shanahan, H. (2003). Food and life cycle energy inputs: consequences of diet and ways to increase efficiencyEcological Economics, 44(2-3), 293-307.

9. I “food miles” sono misurate in tonnellate per kilometro, rappresentando il trasporto di una tonnellata di prodotti per una modalità di trasporto(stradale, ferroviaria, aerea, marittima etc) per una distanza di un kilometro. Poore & Nemecek (2018) scrivono che di 9.4 milliardi di tonnellate per kilometro di trasporto alimentare globale, solo lo 0.16% è composto dal trasporto aereo.

10. Il trasporto con controllo di temperatura genera 23 grammi di CO2e per tonnellata per kilometro. Il trasporto aereo con controllo di temperatura genera 1130g di CO2eq per tonnellata per kilometro.


Tratto da: https://ourworldindata.org/food-choice-vs-eating-local

Traduzione a cura di Giorgio Musilli

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