di Davide Gionco
Tito Livio riposta nella sua opera Ab Urbe Condita che fra il 376 ed il 367 a.C. a Roma fu eletto tribuno della plebe Lucio Sextio Laterano, il quale insieme al collega Gaio Licinio Calvo Stolone promosse una serie di leggi comiziali volte a ridurre le differenze fra i Patrizi ed i Plebei. Nella storia del diritto queste leggi vengono chiamate Leggi Liciniae Sextiae.
Una di queste leggi sarebbe ancora oggi di tutta attualità, dopo 2400 anni, e riguardava i prestiti di denaro ad interesse ed i debiti che i plebei non erano mai in grado di rimborsare nei confronti dei ricci patrizi. Allora come oggi il debito era prima di tutto un meccanismo che consentiva ai pochi ricchi di esercitare il potere sui poveri.
Racconta Tito Livio:
“Unam de aere alieno, ut deducto eo de capite quod usuris pernumeratum esset id quod superesset triennio aequis portionibus persolveretur”.
“Uno di questi provvedimenti aveva a che fare con il problema dei debiti e prescriveva che la somma pagata come interesse fosse scalata dal capitale di partenza e che il resto venisse saldato in tre rate annuali di uguale entità.”
Già allora esistevano forme di anatocismo nei prestiti ovvero non solo si chiedeva di ripagare il capitale con l’aggiunta di interessi, ma anche gli interessi non pagati venivano caricati sul capitale da rimborsare, calcolando poi su di essi dei nuovi interessi.
La riforma di Licinio Sextio spezzò questo meccanismo, stabilendo che le somme pagate al creditore dovevano essere detratte dal capitale prestato, calcolando gli interessi solo sul capitale restante. In questo modo il capitale da rimborsare decresceva, senza potere aumentare a causa degli interessi, potendo essere gradualmente restituito in modo totale.
Molto importante anche la regolamentazione della rateizzazione. Si stabilivano 3 sole rate annuali, calcolando la quota di rimborso in base alla capacità contributiva del debitore. Il numero di rate complessive veniva quindi ricalcolato per poter arrivare al saldo del debito in modo sostenibile.
La situazione precedente, costituita da un capitale che aumentava in modo indefinito a causa degli interessi sugli interessi e costituita da una mancanza di regole sulla rateizzazione, rendeva il rapporto debitore/creditore sostanzialmente insostenibile, in quanto nessun plebeo riusciva mai a saldare i propri debiti.
Ovvero non si trattava più di un meccanismo prestito/rimborso, ma di un debito permanente ed insolvibile, le cui condizioni di rinegoziazione venivano dettate unilateralmente dai creditori ovvero dai Patrizi.
Ed era proprio questo potere di imporre le condizioni il meccanismo attraverso il quale i patrizi impedivano ai plebei di uscire dalla povertà, facendo perdurare la situazione di ingiustizia sociale.
Dopo 2600 anni il meccanismo di potere si ripete. Ancora oggi i grandi istituti finanziari del mondo mantengono in povertà e sfruttano permanentemente molti popoli, tenendoli incatenati con il meccanismo del debito perpetuo, con nuovi prestiti condizionali usati per rimborsare i precedenti debiti ad interesse. Quei debiti non verranno mai pagati, perché sono impagabili e generati dagli interessi sul capitale+interessi precedente.
L’essenza del meccanismo è la condizionalità, che consente ai prestatori di succhiare ricchezza reale dai debitori, in modo permanente.
In questi giorni il governo del nostro paese ha dato il via libera al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), che non è altro che il via libera ad un nuovo meccanismo di debito impagabile, questa volta a carico del popolo italiano, che verrà permanentemente rifinanziato in cambio dell’imposizione di condizioni finalizzate all’arricchimento dei creditori ed all’impoverimento degli italiani.
Consigliamo ai nostri politici di studiare un minimo di storia del diritto, per rendersi conto di come bravi politici di 2400 anni fa seppero risolvere uno dei problemi ricorrenti dell’umanità.
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