Il Manifesto di Ventotene è considerato il primo progetto per l’unificazione del continente europeo in un’unico stato federale. Non voglio fare del revisionismo storico da quattro soldi e dunque non cercherò certo di spulciare qua e là delle affermazioni tese a negare il contrario, ma il Manifesto è diviso in tre grandi capitoli, e dell’unione dell’Europa ne parla solo il secondo. Tutti i fautori dell’Unione leggono e commentano il secondo, di fatto. Già, ma il primo e l’ultimo, di cosa parlano?
Per appagare simili curiosità non basta scaricare la versione originale in pdf e far finta di conoscerne il contenuto. Occorre anche leggerla ed immergersi nel contesto dell’epoca, il 1941, cioè in ena Seconda Guerra Mondiale, con Parigi occupata dai nazisti e Londra sotto le bombe della Luftwaffe.
Per oltre un terzo del Manifesto la parola ‘Europa’ non è nemmeno mai citata. Tutti le preoccupazioni e le analisi degli autori Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi vanno alla guerra in corso, a comprendere come si è arrivati all’immane disastro. Si tratta di un’analisi dell’imperialismo e del totalitarismo visti come cause della guerra. Nel cappello introduttivo, addirittura, gli autori riconoscono il ruolo storico positivo degli stati nazione ed attribuiscono l’imperialismo ed il totalitarismo all’uso strumentale che le classi sociali privilegiate e parassitarie seppero fare del patriottismo. In altri termini, per gli estensori del documento, il concetto di patria è stato sapientemente usato per incidere emotivamente sulla volontà dei popoli e renderli più predisposti alla guerra, che in realtà fu fatta per perseguire gli interessi mercantilistici e bruocratici delle èlites.
Ma il capitolo più sorprendente è il terzo, che è anche quello conclusivo. Già il titolo è emblematico:
“Compiti del dopo guerra. La riforma della società”
In quelle pagine finali, il Manifesto di Ventotene proponeva l’esatto opposto da quanto poi viene fatto dall’Unione Europea, almeno dal 1992 ad oggi. Beninteso, non è in discussione la veridicità dell’europeismo convinto di Rossi e Spinelli.
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani.
Questa affermazione è tratta dal Manifesto ed occupa una posizione centrale nel testo. Dunque, nessun dubbio su questo. Ma quanto viene scritto dopo è parimenti sorprendente. L’Europa Unita per gli autori era infatti la precondizione per la pace, ma il nuovo Stato avrebbe dovuto essere uno Stato socialista. “Cosa impediva il socialismo?” Si chiedono gli autori. “Il totalitarismo!”, si rispondevano. E “chi aveva permesso il totalitarismo?” Le varie èlites parassitarie che all’interno di ciascuna nazione avevano sbandierato l’orgoglio nazionalista”. Ecco allora che:
La fine di questa Era farà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione saranno crollate o crollanti… La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita.
E ancora, ma direi, soprattutto:
Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo d’industria
sono finora in Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti.
Per ragioni di spazio, ed evitare l’ odioso proliferarsi del copia-incolla, risparmio il resto, che però è tutto su questo tono. Praticamente, un modello politico di Spinelli e Rossi – la cui targa con nomi e cognomi fa bella mostra di sè all’ingresso principale del Parlamento Europeo di Bruxelles – potrebbe essere Kim Jon Hun o, nella versione più morbida, Nicolas Maduro.
Chissà se un Romano Prodi, ad esempio, o gli europiesti della carta stampata cattolica attuale si sono mai letti questo passo:
Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile
Quel che è certo è che Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi proponevano la nascita di un Partito Rivoluzionario ed avevano in mente un’Europa basata sulla fine delle classi sociali e dei gruppi elitari. Per raggiungere quest’ultimo scopo ritenevano necessario unificare il Vecchio Continente. La cosa è stata fatta da decenni. Le uova sono state rotte per cucinare la ricetta del Manifesto di Ventotene.
E dov’è la nostra frittata?
Il Manifesto di Ventotene. E magari leggerlo tutto? (micidial.it)
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