Le app si appropriano della nostra mente: ecco 10 trucchi che usano per riuscirci – tratto da https://mgmtmagazine.com/

Proponiamo e rilanciamo nel nostro sito, questo interessantissimo articolo tratto dal sito mgmtmagazine.com: e’ una traduzione di un articolo tratto da https://thriveglobal.com/ sul meccanismo psicologico utilizzato dagli applicativi negli smartphone.

 

Le app si appropriano della nostra mente: ecco 10 trucchi che usano per riuscirci – MGMT Magazine

 

Tristan Harris manager di Design Ethicist di Google spiega quali sono i 10 trucchi che i designer delle applicazioni utilizzano per appropriarsi della mente delle persone e sottrarre loro tempo prezioso.

La tecnologia si sta appropriando della nostra mente, secondo Tristan Harris manager di Design Ethicist di Google. La divisione dell’azienda si occupa

La tecnologia si sta appropriando della nostra mente, secondo Tristan Harris manager di Design Ethicist di Google. La divisione dell’azienda si occupa di promuovere un design etico, che difenda le menti di miliardi di consumatori, messe ogni giorno a rischio da app che, a suo parere, puntano a sottrarre libero arbitrio agli utilizzatori.

In un articolo su Thrive Global, Harris spiega quali sono i 10 trucchi che i designer utilizzano per sfruttare la debolezza della mente delle persone, le loro vulnerabilità, e fare soldi: «Sono come maghi che utilizzano i limiti della percezione degli spettatori per influenzarli e fargli credere quello che vogliono. Allo stesso modo è quello che i designer fanno al nostro cervello per guadagnarsi la nostra attenzione», spiega Harris.

Trucco #1: Se controlli il menu, controlli le scelte

La cultura occidentale è costruita sull’idea della scelta individuale e della libertà. Quello che ignoriamo è come queste scelte siano manipolate oggi dai “menu”, le liste di cose che sono successe che ci vengono notificate ogni giorno via app. Anche se questi “menu” possono sembrarci pieni di cose da fare o sapere, sono, tuttavia, architettati e realizzati da altri. Quando le persone si trovano di fronte una lista di scelte si chiedono raramente:

  • Cosa non c’è sul menu?
  • Perché mi offrono queste opzioni e non altre?
  • Quali sono gli scopi di chi mi fornisce il servizio?
  • In che modo queste liste coincidono con le mie richieste iniziali, o sono solo una distrazione?

Per esempio, spiega Harris, immaginiamo di essere una sera con i nostri amici e di cercare un bar dove continuare a fare quattro chiacchiere. Apriamo Yelp e ci troviamo di fronte a una lista di foto che invece di operare un paragone tra bar, mettono a confronto foto di cocktail, tradendo così il nostro bisogno iniziale.

L’algoritmo di Yelp, in questo caso, ha sostituito la richiesta originaria del gruppo (dove possiamo trovare un buon posto per parlare?), con una domanda diversa (qual è il bar con le migliori foto di cocktail?).

In più, il gruppo di amici crede che il menu, la lista dei bar di Yelp, sia l’unica scelta possibile di posti in cui recarsi. Mentre sono concentrati a guardare i loro smartphone, non vedono il parco in fondo alla strada con quella band che suona musica dal vivo. Si perdono il bar che, dall’altro lato della strada, serve crepes e caffè. Entrambe le opzioni non sono sul menu di Yelp.

L’esempio ci riporta a quello che è un errore della nostra percezione. Crediamo che con più tecnologia nella nostra vita (informazioni, eventi, posti dove andare, amici, lavoro) abbiamo più scelta, poiché i nostri smartphone ci garantiscono il migliore menu che possiamo avere. In realtà, dire “ho la lista più potente di tutte”, non equivale a dire che non esistono altre scelte altrettanto corrette.

  • Chi c’è per un’uscita stasera? Diventa la lista delle ultime persone che ci hanno messaggiato sui social.
  • Cosa accade nel mondo? Diventa un menu di news all’interno del feed
  • Chi è single per un appuntamento?, diventa un insieme di facce da scegliere su Tinder (invece di trovare persone disponibili ad eventi o avventure in città)

Quando ci svegliamo al mattino e accendiamo il nostro telefono vediamo una serie di notifiche e l’esperienza del risveglio diventa il menu di tutte le cose che ci siamo persi il giorno precedente. Dando forma ai nostri “menu” la tecnologia si appropria delle nostre scelte. Più siamo bravi a prestare attenzione alle opzioni che ci sono offerte, più capiremo che non sono allineate con i nostri bisogni reali.

Trucco #2: Metti una slot machine in un miliardo di tasche

Se noi fossimo designer di un’app come potremmo riuscire a mantenere alta l’attenzione delle persone? Semplice: fornendogli un’esperienza simile a quella di una slot machine.

In media, spiega Harris, una persona controlla il telefono 150 volte al giorno. Perché lo facciamo? Una delle ragioni che determina il successo delle slot machine: la variabile dei premi.

Se si vuole massimizzare la dipendenza di un utente, tutti i designer del tech sanno che un modo è introdurre questa variabile nelle azioni degli utenti. L’utente spinge una leva e riceve un riconoscimento (una partita in più, un premio) o nulla.

È un meccanismo che funziona davvero sulle persone? Le slot machine fanno più soldi negli Stati Uniti del baseball, i film e i parchi tematici messi insieme.

La verità scomoda che non vogliamo raccontarci è che miliardi di persone hanno delle slot machine in tasca. Succede ogni volta che…

  • Tiriamo fuori il telefono dalla tasca e come una slot machine vediamo quali notifiche abbiamo ricevuto
  • Carichiamo la casella della posta per capire se abbiamo ricevuto nuove email
  • Scrolliamo la home di Instagram per vedere se sono state aggiunge nuove foto
  • Scrolliamo i volti sulle foto di Tinder o di altre app di dating

App e siti usano “la variabile dei premi” in tutti i loro prodotti perché sanno che è una delle migliori tecniche per fare business. Aziende come Apple e Google hanno oggi una nuova responsabilità nel convertire questa variabile in altro che non crei così tanta dipendenza. Per esempio, limitando nella giornata i momenti in cui gli utenti possono controllare le notifiche, suggerisce Harris.

Trucco #3: la paura di perdere qualcosa di importante (la sindrome FOMO)

Un altro modo, spiega Harris, che app e siti hanno per appropriarsi della mente delle persone è far loro credere che c’è l’1% di possibilità che si stanno perdendo qualcosa di importante.

«Se le app ti convincono che sono un canale per informazioni importanti, per ricevere messaggi interessanti, fare nuove amicizie, o incontri sessuali, sarà complicato spegnerlo, annullare l’iscrizione. “Tu potresti perderti qualcosa di importante”», spiega Harris. Questa sensazione di “perderci qualcosa di importante” è la stessa che ci farà:

  • Restare iscritti a una newsletter anche quando non ha portato dei benefici reali alla nostra vita
  • Rimanere amici di persone con le quali non parliamo da anni
  • Continuare a utilizzare app di incontri anche se non abbiamo mai incontrato nessuno di interessante

Eppure, spiega Harris, se noi riflettessimo su questa paura di “perderci qualcosa” potremmo capire bene quanto è infondata, nella vita succede a chiunque di perdersi qualcosa di importante. In fondo, “non perdiamo quello che non possiamo vedere”.

Harris esorta le aziende hitech a lavorare su un altro fronte:

«Le compagnie tech dovrebbero spingere gli utenti a ragionare sulla base della qualità del tempo trascorso nelle loro vite, invece che nei termini di quello che potrebbero perdersi».

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Trucco #4: Approvazione sociale

Siamo tutti vulnerabili di fronte al tema dell’approvazione sociale. Il bisogno di appartenere a qualcosa, di avere approvazione, di essere apprezzati, è tra i fattori umani più motivanti. La nostra approvazione sociale è nelle mani di poche aziende tech.

Quando succede che un nostro amico “ci tagga”, immaginiamo che lui abbia scelto in modo consapevole di farlo. Questo è quello che vediamo in apparenza. Quello che non sappiamo è che Facebook ha orchestrato tutto.

Facebook, come Instagram o Snapchat, manipola i tag nelle foto, suggerendo in automatico le facce da taggare. Pertanto, se Marc ci sta taggando sta rispondendo a un suggerimento di Facebook, e non sta compiendo una scelta indipendente.

La stessa cosa avviene quando cambiamo la foto del profilo. Facebook sa che è un momento delicato in cui cerchiamo l’approvazione degli altri. Quindi inserisce la notizia in alto nel feed, così un numero più alto di amici la commenteranno.

Ogni persona risponde a questo bisogno di approvazione sociale, ma alcuni, i teenager, sono più esposti di altri.

Trucco #5. Reciprocità sociale

Per reciprocità sociale intendiamo il compimento di un gesto, come per esempio chiedere un’amicizia, aspettandoci che l’altro ricambi in automatico. Anche quest’esperienza è manipolata dai social media. Pensiamo a LinkedIn. Il social vuole creare obblighi sociali tra i membri, perché ogni volta che si stabilisce una connessione (rispondendo a una richiesta di collegamento, a un messaggio, oppure quando si conferma la skill di qualcuno) il sistema ti riporta al social dove gli utenti sono portati a spendere soldi, per aumentare, per esempio, la loro visibilità.

Come Facebook, LinkedIn sfrutta una percezione sbagliata dell’utente. Quando riceviamo un invito di collegamento da qualcuno, immaginiamo che quella persona abbia fatto la scelta consapevole di invitarci, quando in realtà ha semplicemente risposto a un suggerimento del social, che consiglia le persone con cui “collegarsi”. In altre parole, LinkedIn ha trasformato un impulso inconscio (collegarsi a qualcuno) in un nuovo obbligo sociale per milioni di persone che si sentono quasi costrette a restituire il favore.

Trucco #6: Consumare quando non si ha fame

Altro trucco è quello di far consumare cose alle persone anche quando non hanno più fame.

In che modo? Facile. Prendi un’esperienza che è circoscritta e finita, e trasformala in qualcosa che va avanti all’infinito.

Brian Wansink, professore della Cornell University, ha dimostrato che è possibile ingannare le persone che mangiano una zuppa, offrendo loro un piatto senza fondo che viene automaticamente riempito mentre mangiano. Nell’esperimento emerge che le persone che hanno il piatto senza fondo mangiano il 73% di calorie in più di quelli che hanno piatti normali. Non sono mai sazi anche se si nutrono di più.

Le aziende tech sfruttano lo stesso principio. I news feed sono progettati per auto riempirsi mentre scrolliamo, eliminando la possibilità di fermarsi, di concludere l’esperienza.

È lo stesso motivo per cui siti come Netflix, YouTube o Facebook mandano il video successivo in auto play invece di aspettare e offrirci la possibilità di fare una scelta consapevole. Una porzione alta di traffico da questi siti nasce proprio dall’autoplay.

Le aziende tech si giustificano dicendo che stanno solo dando l’opportunità agli utenti di vedere quello che vogliono, ma in realtà stanno solo facendo i loro interessi. Più tempo trascorrono sul social e maggiori sono i guadagni.

Anche in questo caso, spiega Harris, le aziende tech dovrebbero smetterla di usare questo stratagemma e invitare l’utente a trascorrere un tempo di maggiore qualità sul social.

Trucco #7: interruzioni improvvise

Le chat di messaggistica sono costruite sulla base del principio dell’interruzione. Rispetto all’email dove la risposta avviene dopo che il mittente ha inviato il messaggio, Facebook Messenger o le altre chat, hanno costruito un sistema di messaggistica in cui l’interlocutore può essere interrotto continuamente nella sua argomentazione.

L’interruzione fa bene al business. Studi dimostrano che più gli interlocutori si interrompono a vicenda, più saranno portati a continuare a dialogare.

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Inoltre, le chat rispondono a un’altra vulnerabilità della psiche. Per esempio, Facebook dice al mittente che il destinatario ha letto il suo messaggio: un ulteriore obbligo sociale, che ci spinge a rispondere appena possibile.
Invece Apple in modo più rispettoso lascia agli utenti la facoltà di scegliere se mostrare che hanno letto un messaggio o meno.

Trucco #8: far coincidere le ragioni dell’utente e quelle del business

Un altro modo con cui le app si appropriano della nostra mente è quella di offrirci un motivo per visitare l’app (per svolgere un determinato compito, per esempio) e renderlo inseparabile dalle ragioni grazie alle quali l’app fa business.

Entriamo in un supermercato per comprare dei farmaci o del latte, per esempio. Ma il supermercato vuole aumentare la spesa delle persone e quindi piazza il latte e i farmaci alla fine del percorso verso le casse.

Le aziende tech progettano i loro siti allo stesso modo. Per esempio se vogliamo informarci su un evento che è avvenuto ieri notte (il nostro scopo) Facebook non ci consentirà di farlo, prima di essere atterrati sulla news feed (il suo scopo).

Harris immagina una nuova politica sui social media, in cui gli utenti possano navigare direttamente verso i loro bisogni, senza essere distratti da altro a cui non sono interessati.

Trucco #9: rendere alcune scelte non convenienti

I business rendono facili le scelte che vogliono che i consumatori facciano, difficili quelle che non auspicano loro facciano.

Harris fa il caso del New York Times, che offre la possibilità di cancellare in ogni momento la propria sottoscrizione online. Ma invece di permettere di farlo semplicemente cliccando su “cancella la sottoscrizione”, manda una email con delle informazioni su come cancellare l’account chiamando un numero che è funzionante solo a certe ore della giornata.

Anche qui Harris immagina un mondo del web diverso, dove un ente esterno impedisca alle aziende tech di rendere difficili certe procedure, facilitando la vita e le scelte degli utenti.

Trucco #10: prevedere gli errori

Come ultimo trucco Harris spiega che le app sfruttano l’incapacità delle persone di prevedere le conseguenze di un loro clic. Gli utenti intuitivamente non riescono a prevedere il reale “costo” o beneficio di un loro clic quando gli si presenta.

Harris immagina una rete più etica nella quale i browser aiutino le persone a essere consapevoli delle conseguenze delle loro scelte (sulla base di dati reali circa i benefici dell’azione, “il clic” che stanno per compiere).

Proteggiamo il nostro tempo sul web

Harris immagina infine di creare un movimento sul tema di come la tecnologia si appropri della nostra mente. Dibattiti, libri, documentari, workshop tematici, per restituire libertà agli utenti e spingere le compagnie hitech a comportamenti più etici:

«Il tempo delle persone ha un valore. E dovremmo proteggerlo come facciamo con la privacy e altri diritti digitali».

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