Quando si parla di «fondi d’investimento» si parla di capitali disponibili che vengono investiti per «generare più denaro dal denaro»
La maggior parte delle persone lavora per vivere, ovvero produce beni e servizi, percepisce uno stipendio in denaro e spende quel denaro per acquistare i beni e servizi di cui ha bisogno per vivere. Una sorta di baratto.
Gli investitori finanziari, invece, investono denaro, di loro proprietà o più spesso affidato loro da terzi, al fine di guadagnare del «denaro aggiuntivo».
E’ noto come oggi tutta la moneta che viene creata, viene creata a debito, sia che si tratti di moneta creata con l’emissione di credito bancario (depositi a vista), sia che si tratti di moneta a corso legale.
Ogni dettaglio a riguardo è molto bene illustrato in questo articolo di Biagio Bossone e Massimo Costa: http://www.economiaepolitica.it/banche-e-finanza/moneta-banca-finanza/la-moneta-e-capitale-o-debito-di-chi-la-emette/
Il denaro rappresenta un «diritto di acquisto» sui beni e servizi disponibili sul mercato, prodotti dai lavoratori. Chi riesce a «guadagnare denaro investendo denaro» acquisisce in realtà un potere di acquisto di beni e servizi senza avere contribuito a produrre un ammontare equivalente di beni e servizi, come invece fanno tutti i lavoratori.
In realtà ci sono anche altre categorie di persone che percepiscono un ammontare di beni e servizi senza avere prodotto altrettanto: i minori non lavoratori, gli anziani, i disabili, i disoccupati, i malati. La fornitura «a gratis» di beni e servizi a queste persone è socialmente accettata a motivo di solidarietà verso persone non nelle condizioni di lavorare.
Nel caso degli investitori finanziari si potrebbe parlare in qualche modo di «parassiti della società», in quanto guadagnano senza avere prodotto nulla.
Qualcuno osserverà che in realtà il «servizio di corretta allocazione delle risorse finanziarie» è un lavoro che produce valore aggiunto. Ovvero se un consulente finanziario mette in contatto un investitore, magari un lavoratore dipendente che ha messo da parte dei risparmi, con una impresa che richiede un prestito per sviluppare la propria attività produttiva, si può pensare che tale attività di mediazione abbia portato un valore aggiunto all’economia nel suo insieme ottimizzando l’allocazione dei capitali.
Tuttavia questo fatto è vero solo in un numero molto limitato di casi.
Nella maggior parte dei casi il capitale prestato alle imprese non arriva da altri investitori, ma viene creato dalle banche al momento dell’erogazione del credito.
Ma soprattutto i migliori profitti dal prestito di denaro non vengono realizzati da imprese che operano nel «libero mercato», quanto piuttosto da imprese che operano in regime di monopolio o di oligopolio o con la possibilità di «influenzare il mercato» influendo sulle decisioni politiche nazionali ed internazionali o creando «nuove esigenze di mercato» provocando una guerra o diffondendo notizie false sulla pericolosità di certe malattie o addirittura pianificando dei cambiamenti culturali tramite tecniche di comunicazione di massa finalizzate a creare delle «nuove esigenze».
Con la libera circolazione dei capitali a livello mondiale i fondi di investimento tendono a concentrarsi nelle mani di pochi soggetti e la concentrazione di fondi dà a questi soggetto un sempre maggior potere di influire pesantemente sulle decisioni collettive, a vantaggio soprattutto di se stessi e dei grandi investitori.
Peraltro l’azione di Quantitative Easing portata avanti da molte banche centrali negli ultimi anni ha portato solo in piccola parte benefici all’economia reale dei vari paesi, mentre ha portato al progressivo aumento dei capitali amministrati da poche società nel mondo.
Avviene quindi che i gestori di questi grandi capitali facciano pressioni sui decisori politici per creare delle situazioni di monopolio a loro vantaggio, attraverso la privatizzazioni di beni primari come l’acqua o la sanità.
Società come J.P. Morgan hanno non a caso acquistato quote di partecipazione nella Società Autostrade, la quale in regime di monopolio può aumentare le tariffe. Ma soprattutto hanno acquisito le quote azionarie della maggiori banche private e, indirettamente, di molte banche centrali.
Ad esempio le quote azionarie di maggioranza della Banca d’Italia sono di fatto detenute dallo studio legale Trevisan di Milano, che ha la delega di rappresentare le proprietà delle quote di maggioranza delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, ecc.) che controllano il CDA di Bankitalia.
Chi investe un capitale senza preoccuparsi di come verrà utilizzato va alla fine a creare, suo malgrado, una sorta di «arma di distruzione di massa» costituita dalla concentrazione di quei capitali che qualcuno utilizzerà per «fare profitto» da qualche parte del mondo.
Quei capitali potrebbero essere prestati ad una impresa per acquistare dei nuovi macchinari produttivi, ma è molto più probabile che vengano utilizzati per imporre la privatizzazione dell’acqua in qualche paese del mondo (per poi imporre alte tariffe a cui nessuno potrà sottrarsi) o per fare scoppiare una guerra per assicurarsi il controllo della produzione di materie prime strategiche.
La creazione di fondi di investimento ha quindi molte similitudini con la «storia della pallottola» che si vede nella scena iniziale dello splendido film di Nicolas Cage «Lord of war»
https://www.youtube.com/watch?v=mt6KMh-wzAg
Il produttore di pallottole non si sente responsabile della morte del ragazzo africano, allo stesso modo l’investitore italiano non si sente responsabile dei morti nella regione congolese del Kivu in cui soldati-bambino combattono per assicurare agli «investitori» occidentali il monopolio sulle miniere di coltan.
Fra le principali cause dei flussi migratori incontrollati dall’Africa e l’Europa sono proprio delle società multinazionali che «investono» i capitali in attività monopolistiche nei paesi africani, massimizzando i loro profitti e producendo nello stesso tempo impoverimento ed emigrazione.
Non è illegale produrre pallottole così come non è illegale investire dei capitali in fondi d’investimento.
Ma domandiamoci: a che pro?
Davvero vale la pena di investire dei capitali per «guadagnare denaro dal denaro» senza preoccuparsi di quale conseguenze che produrrà l’investimento «produttivo» di quel denaro?
Diceva l’imperatore Vespasiano «Pecunia non olet» (il denaro non puzza), ma oggi non è così, con la libera circolazione dei capitali.
In Italia esiste per fortuna la bella realtà di Banca Etica, la quale si impegna a garantire l’eticità deli investimenti realizzati. www.bancaetica.it/
Nello stesso tempo esistono realtà in cui il cittadino viene coinvolto in mille modi in investimenti finanziari. Questo avviene sia quando i nostri versamenti pensionistici obbligatori vengono raccolti in fondi che poi vengono affidati a delle società specializzate in investimenti finanziari. Avviene persino quando facciamo la spesa nei grandi centri commerciali, presso catene di distribuzione che incassano subito il pagamento dei consumatori, mentre retribuiscono i loro fornitori magari dopo 6 mesi. La liquidità accumulata in questo lasso di tempo viene generalmente reinvestita in attività finanziarie, naturalmente all’insaputa dei consumatori, che si ritrovano ad essere involontari complici di azioni tutt’altro che democratiche in qualche parte del mondo.
In questo senso risulta importante costituire delle reti di distribuzioni che garantiscano l’eticità delle gestione della liquidità al proprio interno, come il C.G.O. www.cgo-group.it/
Ma è soprattutto importante che ciascuno di noi prenda coscienza del fatto che vera ricchezza non è il denaro, ma è la disponibilità di beni e servizi: produce più ricchezza reale del denaro ben speso che del denaro investito per «guadagnare denaro dal denaro».
La nostra spesa è sempre reddito di qualcun altro.
Il nostro investimento finanziario, invece, rischia di essere l’impoverimento o addirittura la morte di qualcun altro.
Davide Gionco
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