di Davide Gionco
Sono un ingegnere e mi occupo della progettazione di impianti complessi nel settore energetico.
Una situazione tipica con la quale ci dobbiamo confrontare è la gestione di fenomeni che non possiamo controllare totalmente, ma dei quali dobbiamo controllare gli esiti.
Un esempio tipico è un impianto di produzione di energia termica per usi industriali.
L’obiettivo del progetto è garantire la sufficiente fornitura di energia alle varie utenze di energia termica.
A monte abbiamo un sistema di generazione di calore controllato (una caldaia a gas, ad esempio), più altri apporti di energia che non possiamo controllare: energia solare, recuperi di calore dai processi produttivi discontinui, ecc.
Il modo per riuscire a controllare il sistema non è scrivere formule complicatissime per prevedere tutti i fenomeni e le loro conseguenze, combinate piene di incognite. Sarebbe un esercizio impossibile e le formule risulterebbero troppo approssimative per prevedere tutte le conseguenze.
Il modo che utilizziamo per far funzionare correttamente il sistema è controllare se gli utilizzatori finali che richiedono l’energia sono sufficientemente soddisfatti, tramite dei rilevamenti sistematici e tramite l’utilizzo di indicatori adeguati.
Non appena il sistema rileva dei segnali premonitori di insoddisfazione degli utenti, ad esempio una scarsa fornitura di energia, attiviamo a monte il sistema di produzione controllata di calore, per riportare le conseguenze nei parametri desiderati di soddisfazione degli utenti.
Il sistema viene correttamente gestito regolando ciò che possiamo controllar e monitorando le conseguenze finali della nostra azione, senza avere necessariamente una comprensione totale e dettagliata della complessità dei fenomeni.
Un governo che debba regolare l’economia di un paese si trova in una situazione in qualche modo analoga.
Ci sono dei meccanismi che un governo sovrano è in grado di controllare: la creazione di denaro, la spesa pubblica, il sistema fiscale.
Per propria scelta l’Italia non può controllare la propria creazione di denaro da circa 20 anni per sua rinuncia, ma la maggior parte dei paesi del mondo batte moneta sovrana e può decidere di quanto denaro disporre. Ci auguriamo che questa folle parentesi si chiuda al più presto.
Sappiamo che stampando più denaro e aumentando la spesa pubblica, in modo indirizzato verso i settori ad alta propensione alla spesa, la conseguenza è un aumento delle opportunità di lavoro e, quindi, la disponibilità di un reddito per eventuali disoccupati.
Sappiamo anche che non bisogna esagerare: se in un paese con piena occupazione lo stato aumenta ancora la domanda interna, il risultato sarà ovviamente un aumento dei prezzi, essendo impossibile aumentare la produzione aggiungendo altri occupati.
Oppure aumenteranno i lavoratori provenienti dall’estero, con relativi probemi di integrazione.
Sappiamo che una riduzione della spesa pubblica ed un aumento della pressione fiscale sortiscono un effetto opposto alla spesa pubblica, deprimendo l’economia. Cosa che potrebbe essere utile fare nel caso in cui l’economia fosse in eccessiva espansione, ma è uno scenario che storicamente si è realizzato in rarissimi casi nel mondo.
Sappiamo anche, per esperienza diretta durante gli ultimi 25 anni di “riforme europee alla Mario Monti”, che l’aumento delle tasse ed i tagli alla spesa pubblica, in particolare se colpiscono il ceto medio, comportano un aumento della disoccupazione, una riduzione dei salari, fallimenti di imprese. Questo avviene se si esagera con le politiche di austerità che “sgonfiano” l’economia.
Qualche giorno fa leggevo su Vocidallestero.it un interessante, ma molto complesso, articolo che spiega come gli “economisti” della Commissione Europea calcolano l’ “Output gap” ed il NAWRU per le economie dei diversi paesi dell’Unione.
Oltre alla difficoltà di comprendere l’utilità pratica di queste “previsioni” per noi comuni cittadini, pare evidente come le formule contengano dei parametri che non sono null’altro che ipotesi soggettive di chi svolge quei calcoli previsionali. Nulla di oggettivo e di “scientifico”.
Diversamente non si spiegherebbero i sistematici errori di previsione sull’Output Gap dell’Italia.
O sistematici errori di previsione sulla crescita del PIL mondiale da parte del Fondo Monetario Internazionale
A cosa potrebbe mai servire utilizzare complesse equazioni matematiche del genere sull’equilibrio dinamico del mercato
quando è inevitabile una forte incertezza sul valore di troppi parametri?
Oso suggerire agli economisti di adottare un approccio alla macroeconomia meno teorico e più pragmatico.
L’economia è una scienza sociale.
I risultati di qualsiasi previsione possono mutare a causa di decisioni politiche, non solo interne, ma anche dall’altra parte del mondo. Oppure a causa di fenomeni ambientali (siccità, alluvioni, terremoti, ecc).
Sappiamo che un governo sovrano dispone di strumenti “controllati” per far crescere la domanda interna o per sgonfiarla.
Sappiamo che l’economia di un paese dipende anche dalle scelte politiche, imprevedibili, di altri paesi o dalle sorprese più o meno imprevedibili che ci riserva Madre Natura. Fenomeni che non possiamo controllare e che non potremo mai rappresentare con delle equazioni matematiche.
La mia proposta è di riporre meno fiducia nelle equazioni matematiche e molta più attenzione agli indicatori sul benessere della popolazione, che è poi il primo obiettivo di qualsiasi azione di politica economica.
Attenzione non solo ai “macro” indicatori, ma anche ai “micro” indicatori. Ai sondaggi. A come vive la gente “normale” e non solo le persone frequentate dagli economisti consulenti delle istituzioni internazionali, che in genere non patiscono ristrettezze economiche.
Quando questi indicatori mostrano che ci stiamo allontanando dall’obiettivo politico del benessere della popolazione, la prima cosa da fare è attivare il sistema controllato di “alimentazione” dell’economia. Il tutto tenendo sotto controllo gli indicatori di benessere.
Il denaro non è una risorsa scarsa, oggi viene creato in modo convenzionale, pigiando tasti dei computer. Quello che dobbiamo fare è dotarci di strumenti di governo dell’economia: emissione di moneta, spesa pubblica, sistema fiscale, controlli sui flussi di capitale e utilizzare questi strumenti per reagire alle informazioni provenienti dagli indicatori.
L’utilizzo ponderato di questi “strumenti di regolazione” dell’economia ci consentirà di ottenere gli obiettivi prefissati e di mantenere la situazione in un accettabile equilibrio, nonostante gli influssi dei fenomeni esterni che non possiamo controllare.
Se nell’economia fa troppo freddo, è necessario fornire calore all’economia.
Se fa troppo caldo, allora la possiamo lasciare raffreddare.
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