di Mauro Ammirati
Il Wall Street Journal scrive che, nel caso il rallentamento della crescita economica mondiale perdurasse, diventando perciò recessione a tutti gli effetti (noi ci siamo dentro da quasi dieci anni, come sapete), allora sarà un bel problema per tutte le banche centrali, dal momento che queste non hanno più munizioni, non sono più in grado di stimolare l’economia, perché, dappertutto, i tassi di interesse sono già rasoterra o negativi.
Sarebbe il caso di porsi una domanda: come mai veniamo da una lunga stagione in cui il denaro è stato, praticamente, regalato dalle banche centrali a quelle commerciali, ma ora dobbiamo temere un’altra recessione mondiale? Vale la pena ripetere ciò che, tante, anzi troppe volte, abbiamo detto a proposito del Quantitative Easing e delle politiche monetarie espansive: il settore privato è prociclico, segue la corrente, non è come il salmone, nessun vero imprenditore prende denaro in prestito per fare investimenti allo scopo di produrre beni che il mercato non gli richiede, perché non può acquistarli.
Investono gli esportatori, ma nessuna economia – ora dovrebbero capirlo anche i tedeschi, ma non lo capiranno, perché sono affetti da fobie croniche – può vivere solo di esportazioni. Ancor più in generale, non può reggere un’economia mondiale in cui ogni Paese cerca di fregare l’altro e tutti sono in concorrenza tra loro.
Così, le banche centrali hanno prestato a tassi bassissimi o negativi il denaro a quelle commerciali, confidando che queste fossero così meglio disposte a prestarlo agli imprenditori. Ma gli imprenditori non chiedevano prestiti oppure, come avviene sempre in mancanza di domanda ed in un’economia stagnante, le stesse banche commerciali erano riluttanti a concedere prestiti, sapendo che c’era il rischio che non venissero rimborsati a scadenza.
E con tutti i fallimenti che ci sono stati, quel rischio si è dimostrato fondato.
Metteteci pure che certe banche sono già sovresposte e la propensione al rischio diminuisce ulteriormente.
Dunque, come se ne esce?
Come sempre, come al solito, come si è sempre fatto.
Con gli investimenti pubblici, con il deficit, con la spesa pubblica, perché l’unico soggetto che possa fare una politica anticiclica è quella cosa brutta e sporchissima che si chiama Stato e che per i liberisti ed i globalisti è il demonio, il nemico di tutti, della società, del genere umano.
Mica come il settore privato, che è virtuoso, infallibile, agisce sempre nell’interesse pubblico e ha cuore il nostro benessere (le recessioni sono sempre state provocate dal settore finanziario privato, ma ovviamente, in certi ambienti si preferisce tacerlo).
Oggi, in ogni parte del mondo, i tassi di interesse sono bassissimi, ma anche quello d’inflazione e del deficit pubblico. Perché la scuola economica dominante è irremovibile, tetragona su un principio: è l’offerta che fa la domanda, quindi l’imprenditore, prima o poi, si deciderà ad investire per produrre beni, pur sapendo che questi resteranno invenduti a far bella mostra sugli scaffali dei supermercati.
E’ sufficiente tenere gli interessi bassi e dargli sgravi fiscali sulle assunzioni e l’imprenditore investirà. Basta aspettare, vedrete che un giorno succederà.
Invece, investire a deficit sulle scuole, la sanità, l’università, le strade, la sicurezza del territorio è un grosso male. Cose superate, buone solo per quei patetici keynesiani, sovranisti e nazionalisti.
Tenete a mente queste considerazioni, perché è importante capire che non è sufficiente riprendersi la sovranità per risolvere i nostri problemi. C’è il serio rischio che, il giorno dopo essere tornati ad emettere le lire, un ministro ci dica: non ci soldi, il debito è troppo alto.
La sovranità non è un titolo onorifico e nemmeno un trofeo che si appende al muro. E’ il potere di servire il proprio popolo, di decidere il proprio destino, di mettere l’economia al servizio della politica, la finanza al servizio dell’economia reale.
E non avverrà mai finché si continuerà a considerare lo Stato un corpo estraneo o un incidente della storia.
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