di Massimo Bordin
Se c’è una cosa che mi stupisce sempre nei comunisti, nei socialisti e nei tanti lettori e ammiratori di Karl Marx (tra i quali m’iscrivo anch’io) è l’incomprensione generalizzata dei limiti della filosofia di Marx, cioè il non aver compreso quale fu davvero, illo tempore, lo sbaglio del pensatore tedesco.
I denigratori del pensiero di Marx, ovviamente, prendono a bersaglio l’intero sistema, cercando di convincerci (inutilmente), che quel pensiero portò inevitabilmente al disastro comunista, alla privazione della libertà personale, all’abolizione leguleia della proprietà, ai bambini cucinati per pranzo ecc. ecc. ecc.
Si tratta, ovviamente di stupidaggini, non solo perché il sistema marxiano, contrariamente a quello di Hegel era un sistema filosofico aperto, ma anche perché sulla concreta applicazione del socialismo gli analisti non concordano affatto, anche a prescindere dalla loro appartenenza politica. Ancor oggi, ritenere Marx l’artefice dell’URSS sarebbe come ritenere Gesù di Nazareth l’artefice di Bill Clinton. Il che, in piccola parte è anche vero, ma troppi sono i distinguo, e ancora e allora: non è forse un dato storico indiscutibile che la bucolica e tecnolgicamente arretratissima Russia riuscì a mandare l’uomo nello spazio in meno di 50 anni? Fu un merito di Karl Marx? Lo Sputnik fu un suo merito tanto quanto l’uccisione di Trotzky in Messico un suo demerito! Suvvia, la questione sollevata dai lombrosiani di Hollywood sul socialismo brutto e cattivo e sui libri neri (ah, da che pulpiti!) è ormai bella e sepolta e anche se la volessimo riesumare, Marx avrebbe ben poche responsabilità.
Quello che Marx non capì del tutto, semmai, fu il ruolo della filosofia. La filosofia prevede un approccio conoscitivo e veritativo che egli ad un certo punto abbandonò a favore del positivismo scientifico screditando l’intera categoria dei filosofi nell’undicesima tesi su Feuerbach, quella per la quale, appunto, i filosofi avrebbero sempre interpretato il mondo mentre si trattava di cambiarlo…
A parte il fatto che i filosofi sono i principali artefici della trasformazione del mondo, affermazione che non ci preoccuperemo di dimostrare rigorosamente ora, Marx ha voluto sposare la scienza e dare al suo disegno politico i connotati della certezza. La scienza, però, è certa solo del passato e del presente, come ha mirabilmente mostrato Bertrand Russell con l’esempio del tacchino induttivista.
In altri e più semplici termini, Marx ha preteso (come spesso fa la scienza) di totalizzare il futuro. Chi coltiva questa pretesa, o si muove nell’alveo della speranza messianica di tipo ebraico/religioso (la scienza, infatti, è stata talvolta una forma di religione), oppure si muove nell’alveo della falsa previsione positivistica destinata ad essere falsificata da eventi storici (si veda, per tutti, l’analisi di Karl Popper). Marx ha dunque ad un certo punto logicizzato il futuro, attribuendo al suo disegno capacità previsionali. Tuttavia, com’è noto, il futuro non si può prevedere e facendolo si incappa in molti errori propri degli scienziati di stampo positivista che ti dicono, ad esempio, che il sole morirà tra 5 miliardi di anni.
Marx, nel campo politico e sociale, ci disse su questa scia che “il passaggio dal capitalismo al comunismo” era NECESSARIO. Il che, ovviamente è un dogma. Dogma che si è dimostrato errato. Il problema, però non è che egli non abbia poi indovinato: il guaio è che egli impostò il suo ragionamento in modo scientifico, e quindi sottoponibile alle smentite storiche. Per lui era automatico che il proletariato, ad esempio, diventasse la futura classe dominante. Invece, ciò non è avvenuto.
I dati previsionali sulle tendenze del capitalismo non possono essere certe come pretendeva Marx perchè dipendono dall’imprevedibile (l’essere umano). La scienza richiede, aspira alla certezza, la filosofia e la politica parlano di uomini.
ad esempio:
Un chilo di pere è certamente un chilo di pere… scienza!
Quel chilo di pere non sono buone e stanno marcendo e dunque sconsigliamo di mangiarle… filosofia!
Attenzione però che altre cose Marx le ha azzeccate in pieno, come ad esempio la ciclicità delle crisi produttive del capitalismo (1873, 1929, ecc). Bè, quelle sono avvenute e – ahinoi – continuano ad avvenire, ma il mio discorso non cambia. In altri termini ancora, Marx non aveva dato un’impostazione completamente filosofica al suo sistema e questo impedì al marxismo di svilupparsi autonomamente come scuola di pensiero finendo ostaggio di interessi partitici. Marx doveva averlo intuito, se persino lui amava scherzarci sopra e dire di non essere marxista.
L’inghippo può essere semplificato così: se io – studioso di filosofia – NON dico che sicuramente sarà il proletario salariato a modificare il mondo, allora quando ci saranno le condizioni per modificare davvero il mondo, questo potrà essere fatto secondo l’idea filosoficopolitico magari “da altri”. Se, invece, io dico che sicuramente, scientificamente, sarà il proletario/salariato a cambiare il mondo… eppoi questo o non avviene oppure (caso anche peggiore) nel sovvertire la situazione egli diventa uguale al padrone… bè, come studioso me la sarò presa sonoramente in saccoccia!!!
Per quale motivo, ad esempio, il proletario-salariato non ha ancora sovvertito i rapporti di forza? I marxisti dicono che ciò non è avvenuto perché l’oppresso non ha la coscienza della propria condizione (la coscienza di classe). Invece, il vero motivo è che egli non possiede le conoscenze tecniche per impadronirsi del mondo produttivo presso il quale lavora. Finchè il lavoratore si approcciava alla zappa, egli conosceva piuttosto bene questo strumento e ciò lo ha portato nei tempi a maturare idee (illuminismo) e poi a fare la rivoluzione francese. Oggi, gli oppressi non conoscono il software o la macchina di calcolo numerico che quotidianamente utilizzano, perlomeno non così come il loro antenato conosceva l’aratro o la zappa. E quindi continua a starsene sotto.
Intendiamoci, e con questa chiudo:
Marx aveva perfettaemente ragione ad essere anticapitalista per il semplice fatto che il capitalismo è palesemente irrazionale e perché la storia richiede una dinamicità che il pensiero unico – per sua definizione – non offre. Ma al contempo egli non ha voluto portare alle massime conseguenze le premesse dei suoi maestri idealisti (Fichte, Hegel), scivolando così nel positivismo, la corrente pseudofilosofica che oggi ci ha portato dentro le pastoie insolubili dell’epistemologia.
ps. nell’immagine di copertina, il mio supereroe preferito: Batmarx
Posso fare qualche postilla? Perché l’articolo, ancorché interessante e ampiamente condivisibile, veicola una percezione della scienza un po’ fuorviante.
Il sole morirà tra 5 miliardi di anni è una previsione “esatta”, ma quell'”esatta” va colto nel pieno senso scientifico: significa che allo stato attuale delle conoscenze (scientifiche) la previsione che possiamo fare sul futuro del sole è quella.
In altre parole la scienza aspira ad una “certezza”, chiamiamola anche verità, che è la verità scientifica, ovvero una verità relativa al qui e adesso, cioè come ho scritto sopra, allo stato attuale delle conoscenze.
Che poi molti tendano a prendere la previsione scientifica in senso religioso è una stortura, connaturata nella natura umana MA NON nel metodo scientifico. Tant’è che la scienza pone tra i suoi criteri quello della falsificabilità, ovvero la necessità che una teoria possa dimostrarsi falsa (o, diciamo meglio, superata), il che dimostra chiaramente che il metodo scientifico non ambisce a verità assolute.
Per intenderci, il positivismo, che concordo a definire un grande male, è una interpretazione distorta della scienza e consiste proprio nel dare valore assoluto alle affermazioni scientifiche.
L’errore di Marx è stato non tanto quello di tentare di dare un valore “scientifico” alle sue analisi, quanto quello di non capire che la Sociologia (così come l’Economia) sono scienze UMANE e non NATURALI come Matematica Fisica e Chimica. E le scienze umane hanno a che fare con un soggetto, per l’appunto l’uomo e il suo vivere in società, che richiedono approcci completamente differenti dalle scienze deduttive ed induttive.
Per il resto concordo in pieno.
“Attenzione però che altre cose Marx le ha azzeccate in pieno, come ad esempio la ciclicità delle crisi produttive del capitalismo (1873, 1929, ecc). Bè, quelle sono avvenute e – ahinoi – continuano ad avvenire, ma il mio discorso non cambia”, Prof Massimo Bordin
Non le ha affatto azzeccate in pieno, ecco qui un grafico e Keynes che dimostrano la fallacia dell’analisi marxiana, eccoli arrivano.
“Il mondo prima di Keynes”, a cura del Prof. Alberto Bagnai per “Goofynomics”
Gennaio 2012
https://goofynomics.blogspot.com/2012/01/il-mondo-prima-di-keynes.html
Da notare il seguente significativo passaggio dell’articolo:
La figura qui sopra riporta il tasso di crescita degli Stati Uniti dal 1910 al 2010
Prima degli anni ’50, cioè prima che i governi, scossi dalla seconda guerra mondiale, prendessero un serio e in alcuni casi formale impegno a praticare politiche di tipo keynesiano, il ciclo economico degli Stati Uniti oscillava in un corridoio ampio quasi 30 punti percentuali (da recessioni del -15% a espansioni del +15%). I costi sociali di queste oscillazioni (la più famosa è la crisi del ’29) erano enormi e ce li ricordiamo. Ma le “vetuste” ricette keynesiane funzionarono: da quando vennero adottate, il “corridoio” entro il quale la crescita oscillava si dimezzò, e, soprattutto, divenne asimmetrico, nel senso che non si presentarono più recessioni devastanti, e gli anni di crescita furono ben più numerosi di quelli di recessione (mi dispiace per Savonarola). La recessione più grande del dopoguerra è stata quella del 2009, quando il Pil usa è diminuito: -3.4%. Ma nella prima metà del XX secolo tassi di crescita inferiori, e talora di molto, si sono registrati ben nove volte, praticamente una volta ogni quattro anni: dal -4.4% del 1919 al -14.8% del 1932.
Insomma in breve, all’atto pratico Keynes batte Marx 6-0 6-0 e il motivo è abbastanza semplice: Marx ha voluto buttare il bambino con tutta l’acqua sporca, Keynes no, ha salvato il salvibile e poi lo ha anche implementato in modo ottimale.
Poi siccome con le politiche keynesiane a pieno regime le elite occidentali non facevano più mega profitti e vedevano anche in anticipo la caduta dei regimi comunisti ( grazie a loro entrature ai piani altissimi del potere ) , ragioni per cui le politiche keynesiane non erano più utili ai mega padroni del vapore, ecco quindi che saltò fuori il cosiddetto neoliberismo, molto meno Stato e molto più mercato, come la panacea di tutti i mali, quando invece si sapeva benissimo che era uno strumento molto utile per portare avanti la globalizzazione selvaggia e la turbo finanza che assieme impoveriscono i più e arricchiscono i molto pochi, la cosa più grave che grida vendetta in tutto questo è che le sinistre hanno retto e tuttora reggono il mocco alle elite occidentali che hanno portato e portano ancora avanti questo scempio economico e sociale profondamente antidemocratico.
Cordiali saluti e buona settimana.
TheTruthSeeker
PS poi certo c’è da chiedersi come un Prof del calibro di Alberto Bagnai si sia messo a fare politica con la Lega che di impostazione keynesiana ha poco o niente, io un’idea me la sono fatta ma non è questa l’occasione adatta per discutere di cose del genere.