di Davide Gionco
Nel 1961 il premio nobel per l’economia Robert Mundell elaborò la teoria delle Aree Valutarie Ottimali (AVO).
Tale teoria definiva i criteri per i quali una certa area economica abbia dei vantaggi ad adottare una stessa valuta, ovvero anche più valute con un tasso di cambio fisso.
Secondo questa teoria i requisiti necessari affinché l’area valutaria sia ottimale, consentendo di ottenere vantaggi economici per tutti, sarebbero i seguenti:
1) Flessibilità dei salari e dei prezzi, in modo che a variazioni della domanda aggregata corrispondano simili variazioni, in più o in meno, dei salari e dei prezzi
2) Mobilità dei fattori produttivi, dei capitali e dei lavoratori
3) Integrazione del mercato dei capitali, in modo da avere gli stessi tassi di interesse sul credito
4) Libera circolazione delle merci, senza alcun tipo di barriere
5) Integrazione fiscale, con un bilancio comune che provveda a redistribuire il denaro per compensare i deficit commerciali fra le zone che compongono l’area economica
Pur essendo questa stessa teoria molto contestata nella sua validità persino in ambito liberista (ad esempio dal Milton Friedman, che riteneva molto più efficace l’utilizzo di monete diverse a cambi flessibili), si tratta dell’unica teoria economica che avrebbe potuto giustificare l’adozione della moneta unica euro in Europa.
1) In Europa non possiamo dire che l’andamento dei salari e dei prezzi, misurato dal tasso di inflazione, sia uniforme fra i vari paesi.
2) La mobilità dei lavoratori non è così semplice in Europa, soprattutto per ragioni linguistiche, ma anche per le grandi differenze culturali fra i vari paesi. E’ vero che i nostri giovani che sono emigrati in Inghilterra o in Germania hanno trovato lavoro (quello che non c’è in Italia), ma non è pensabile che tutti gli Italiani emigrino in altri paesi per adattarsi alle esigenze delle moneta unica.
3) Neppure i tassi di interesse sul credito sono uguali, risultando sempre più elevati nelle zone periferiche, come l’Italia. Questo nonostante l’assoluta libertà di circolazione dei capitali in Europa.
4) La libera circolazione delle merci fra i vari paesi europei è stata decisa a livello politico, insieme alla libera circolazione dei capitali
5) L’unico meccanismo possibile di aggiustamente fra gli inevitabili disequilibri fra le diverse zone dell’area economica, a causa degli inevitabili inconvenienti sopra descritti, sono i trasferimenti fiscali.
Negi USA, che pur parlando dappertutto la stessa lingua, pur avendo una cultura molto più omogenea rispetto ai diversi paesi europei e pur avendo un unico sistema bancario, i trasferimenti fiscali netti dalle aree più ricche a quelle più povere arrivano fino al 20% del PIL americano. Questo per evitare che vi siano eccessive differenze fra le diverse aree del paese.
In questo modo gi USA riescono a mantenere il prodotto interno lordo fra il 130% rispetto alla media nazionale, nel ricco stato di New York ed il 65% del povero stato del Mississippi. Gli abitanti del Mississippi che intendano migliorare le propri condizioni di vita, possono con molta facilità emigrare in stati più ricchi.
Nell’Unione Europea, invece, lo scostamento rispetto al prodotto interno lordo medio varia dal 140% di Paesi Bassi e Germania e il 20% di Romania e Bulgaria o, restando nell’Eurozona, il 50% della Slovacchia.
Nonostante l’area non sia per nulla ottimale i “trasferimenti fiscali” europei sono, nel complesso, inferiori all’1% del PIL europeo e pesano al massimo per il 5% del PIL dei paesi che più ne beneficiano.
Le conclusioni sono le seguenti:
1) La moneta unica europea è stata introdotta sulla base della teoria liberista delle Aree Valutarie Ottimali di Mundell, teoria contestata sia in ambito liberista, sia (ovviamente) in ambito keynesiano
2) Non sono state adottate le necessarie politiche fiscali a livello continentale per fare fronte agli inevitabili squilibri fra le diverse aree dell’Eurozona
3) Da queste considerazioni si conclude che l’introduzione dell’euro moneta unica non aveva come obiettivo l’integrazione fra le nazioni europee (e infatti si è ottenuto l’obiettivo opposto), ma solo di tutelare gli interessi economici di chi avrebbe tratto profitto dalle distorsioni causate dalla moneta unica: le imprese e le banche tedesche.
Ora i nodi stanno arrivando al pettine.
La fine del Quantitative Easing della BCE, previsto nei prossimi mesi, unitamente alla fragilità del sistema bancario tedesco (Deutsche Bank non ha superato gli stress test negli USA, per l’ennesima volta) ed ai contraccolpi derivanti dall’escalation dell’introduzione dei dazi commerciali negli scambi con gli USA, porteranno presto all’inevitabile crollo del sistema economico costruito intorno alla moneta unica euro.
Peccato: il Mercato Comune Europeo, con cambi flessibili e senza politiche di austerità, stava funzionando bene, consentendo la crescita economica armonica dei diversi paesi europei.
Qualcuno purtroppo ha preferito imporre altri obiettivi politici, facendone pagare il prezzo a decine di milioni di cittadini europei.
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