di Giovanni Lazzaretti
Le magliette rosse ogni tanto fanno anche delle adunate, in piazza o a tavola. Sarebbe interessante girare con un microfono e porre una semplice domanda: «Oggi indossate la maglietta rossa. Al tempo della guerra di Libia del 2011 quale era la vostra posizione?»
Alcuni hanno una visione storica che arriva al massimo allo scorso week end, e vi guarderanno stralunati. Altri ricordano una guerra di Libia, ma vi guarderanno pure stralunati perché non capiscono cosa c’entri una guerra di 7 anni fa con la loro magliettina.
Altri invece ricordano. E potete scommettere che gioivano per la caduta di Gheddafi, o erano al massimo indifferenti. A cominciare dal quotidiano Avvenire che oggi lacrima sui migranti, ma nel 2011 iniziò la campagna di guerra titolando «Pioggia di fuoco su Gheddafi»: un titolo muscolare, non certo di pietà per ciò che stavamo facendo alla Libia.
Chi non ha capito la guerra di Libia 2011, difficilmente può capire le migrazioni.
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Le vicende che stiamo vivendo fanno parte di un piano che si chiama “sostituzione di popolazione”. Oppure “piano Soros”, se volete dargli un nome più ad effetto.
Il piano consiste in questo: creare stipendi da terzo mondo in un’area di alto livello culturale come l’Europa.
Il percorso si svolge in varie fasi: denatalità europea fino al punto di non ritorno, povertà indotta in Europa, trasbordo di popolazione africana a sostituire le forze mancanti, africani che competono al ribasso coi lavoratori poveri europei, Africa spogliata delle forze migliori e libera terra di conquista per gli sfruttatori.
Per spostare le popolazioni devi mantenerle in situazione permanente di povertà o di guerra. Attenzione, però: quelli che si spostano da situazioni reali di guerra fanno parte del gruppo ristretto dei “richiedenti asilo” e sono pochissimi, l’8% circa. Quelli che si spostano dalle zone di povertà, NON sono i poveri: sono i ricchi della zona, quelli che possono pagare il viaggio e investire i loro dollari in questa corsa all’Eldorado europeo.
Tra le zone mantenute in stato permanente di povertà c’è certamente la zona del Franco CFA, la moneta con la quale la Francia continua ad agire da potenza coloniale in Africa. La zona CFA è divisa in due aree: UEMOA e CEMAC. E qui una tabella può aiutare. Prendiamo l’ISU, Indice di Sviluppo Umano (un mix di aspettativa di vita, istruzione, reddito): in tabella è indicata la posizione nella classifica ISU della zona CFA confrontata con la posizione del Nordafrica e della Libia.
La Libia nel 2011 aveva raggiunto la posizione 53 nell’ISU mondiale: il top dell’Africa; molto più avanti rispetto ai paesi del Nordafrica, teoricamente simili; abissalmente più avanti di tutta la zona CFA; superava addirittura 10 paesi europei. Altri parametri libici 2011: emigrazione zero, tasso di disoccupazione 4,8% (il più basso dell’Africa e il più basso del mondo), debito inesistente.
Poi cambiate colonna e guardate la Libia 2017: sta in posizione 102. Quel salto dalla posizione 53 alla posizione 102 è colpa della nostra sciagurata guerra. Al contempo potrete notare che l’ultimo paese nella classifica ISU 2017 fa parte del CFA. Anche il penultimo. Anche il terzultimo. Anche il quartultimo.
Dal che potrete arguire come mai Sarkozy era così determinato nello spazzare via Gheddafi e nel definire la Libia «una minaccia per la sicurezza finanziaria del genere umano»: guai se il “modello Gheddafi” si fosse trasmesso ai paesi confinanti posti sotto il giogo CFA!
La Libia era modello di sviluppo africano, stimolo di progetti di finanza africana (Banca africana d’investimento, Fondo monetario africano, Banca centrale africana), luogo di lavoro di tanti emigrati dalla fascia subsahariana, baluardo nei confronti delle partenze illegali. Un modello per chi cerca il bene dell’Africa, un ostacolo per la finanza internazionale e per la “sostituzione di popolazione”.
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Perciò, amici della maglietta rossa, riguardatevi la storia recente, additate i veri colpevoli, spiegate il meccanismo infernale che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, lavorate perché gli africani restino nella loro terra. E soprattutto battetevi il petto e riabilitate Gheddafi. Perché Gheddafi sarà sempre un monito per chi sostiene che lo sviluppo in Africa è impossibile. E’ possibile invece, perché in Libia si era realizzato.
Togliete la maglietta rossa e mettete una maglietta verde. No, non quella della Lega. Quella della «Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista». E’ l’unico modo che vi resta per onorare San Mu’ammar Gheddafi, martire della finanza internazionale, e per dissociarvi dalla “sostituzione di popolazione”.
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