di Davide Gionco
Esattamente 100 anni fa finiva per l’Italia la Grande Guerra.
Il 4 novembre 1918 entrò in vigore l’armistizio di Villa Giusta (Padova), firmato dal generale austriaco Von Webenau e dal tenente generale italiano Pietro Badoglio.
Il successivo 11 novembre 1918 fu firmato a Compiège, in Francia, l’armistizio fra il maresciallo tedesco Erzberger, il generale francese Ferdinand Foch e l’ammiraglio britannico Wemyss, che pose fine alla guerra in tutta Europa.
Il 30 ottobre 1918 era già stata posta fine alle belligeranze con l’Impero Ottamano con l’armistizio di Mudros (Grecia), firmato dal ministro della marina turco Orbay e dall’ammiraglio britannico Gough-Calthorpe.
In Italia l’evento fu celebrato come la “vittoria della guerra”.
Nel 1919 il 4 novembre fu proclamato giornata nazionale delle Forze Armate, per rendere perenne la celebrazione.
In realtà gli effetti della guerra non erano ancora finiti: molti feriti di guerra morirono nei 2 anni successivi al conflitto.
Nel settembre 1918 arrivò in Italia la famosa e terribile influenza spagnola, che trovò un paese distrutto dalla guerra e dalla fame, impreparato a fare fronte ad una emergenza sanitaria del genere. La concomitanza delle conseguenze della guerra con la diffusione della pandemia mieterono molte altre vittime fra i civili.
Si stima che nella Grande Guerra l’Italia abbia perso 651’000 militari e 589’000 civili a causa delle varie azioni militari, più probabilmente 650’000 persone a causa dell’influenza spagnola, per un totale di 1’890’000 morti su una popolazione di 36 milioni di abitanti, pari al 5,25% della popolazione. Come se oggi l’Italia si ritrovasse a perdere oltre 3 milioni di abitanti nel giro di 4 anni, più che gli attuali abitanti di Roma.
Altre nazioni furono colpite molto più dell’Italia. Solo a causa della guerra in Serbia (nazione aggredita dall’Impero Austro-Ungarico, da cui l’inizio della guerra) morì in 5 anni oltre il 21% della popolazione e nell’Impero Ottomano il 14% della popolazione (3 milioni di persone).
Il totale di morti per la guerra in tutto il mondo, soprattutto in Europa, fu di oltre 17 milioni di morti, di cui il 59% militari e il 41% civili.
Poco più di 20 anni dopo scoppiò la seconda guerra mondiale, le cui cause furono in gran parte legate ad una cattiva risoluzione del primo conflitto mondiale, causando altri 50 milioni di morti.
Forse ciò che oggi più di ogni altra cosa accomuna i popoli europei è la presenza di lapidi e monumenti in ricordo dei caduti delle guerre del XX secolo.
L’Italia era entrata nel conflitto nel 1915, dopo molti mesi di dibattito pubblico, ma soprattutto parlamentare fra neutralisti ed interventisti.
Il ruolo dei giornali, i mass-media di allora, fu fondamentale per causare un mutamento delle dell’opinione dei parlamentari.
Ecco cosa scriveva Benito Mussolini su «Il Popolo d’Italia», l’11 maggio 1915:
“Abbasso il Parlamento”
«Mentre il Paese attende di giorno in giorno, con ansia sempre più spasmodica, una parola da Roma, da Roma non ci giungono che rivoltanti storie o cronache di non meno rivoltanti manovre parlamentari. La vigilia del più grande cimento d’Italia è contrassegnata da questo rigurgito estremo di tutte le bassezze della tribù medagliettata (1). Sdegno e mortificazione si alternano negli animi nostri. Questi deputati che minacciano «pronunciamenti» alla maniera delle repubblichette sud-americane, questi deputati che vanno a scuola e a pranzo del principe di Bülow (2); questi deputati che diffondono – con le più inverosimili fantasticherie ed esagerazioni – il panico nella fedele mandria elettorale; questi deputati pusillanimi, mercatori, ciarlatani, proni ai voleri del Kaiser; questi deputati che dovrebbero essere alla testa della Nazione per incuorarla e fortificarla, invece di deprimerla e umiliarla com’essi fanno; questi deputati dovrebbero essere consegnati ai Tribunali di guerra. La disciplina deve cominciare dall’alto, se si vuole che sia rispettata in basso. Quanto a me, io sono sempre più fermamente convinto che per la salute d’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo»
(1) I deputati e i senatori portavano come contrassegno della loro appartenenza al Parlamento una piccola medaglia d’oro con su inciso il loro nome e la indicazione della legislatura.
(2) Bernard von Bülow, diplomatico e statista tedesco, ambasciatore in varie capitali d’Europa e cancelliere del Reich dal 1900 al 1908. Sul finire del 1914 fu mandato a Roma come inviato speciale perché impedisse l’entrata in guerra dell’Italia al fianco dell’Intesa con la promessa di buoni uffici presso il governo austriaco per il raggiungimento di un accordo per la questione del Trentino e delle altre terre irredente. Visto inutile ogni tentativo in questo senso, fece ritorno in Germania.
Mio bisnonno perse 2 fratelli nella Grande Guerra, uno di 28 anni, l’altro di 26 anni.
I miei antenati, che vivevano fra le rive del Piave e del Livenza, si ritrovarono per 2 anni con soldati che depredavano le famiglie contadine per potersi nutrire.
Per oltre un anno sopravvissero mangiando solamente zucche, essendo stati privati di tutto il grano, del granoturco, degli animali e della produzione di patate.
Chi si rifiutava di partire, veniva fucilato. Chi disertava veniva fucilato.
Ogni tanto gli ufficiali decidevano di fucilare soldati innocenti semplicemente per ribadire l’ambiente di “ferrea disciplina”.
Che lezioni possiamo trarre per noi oggi dopo 100 anni dalla Grande Guerra?
Prima lezione: la guerra porta solo morte e sofferenze, anche se la si “vince”.
Anche in caso di vittoria, vincere una guerra porterà vantaggi a pochissimi e morte e sofferenze a moltissime persone, da una parte e dall’altra dal fronte. Non sono mai stati i popoli a “decidere le guerre”. Sempre sono state decise da gruppi ristretti di persone, i quali pensavano di trarne profitto, disinteressandosi delle sofferenze di tutti gli altri.
La vittoria italiana nella battaglia finale di Vittorio Veneto, con la “conquista” di Trento e Trieste valeva il prezzo della morte del 5% della popolazione italiana?
Seconda lezione: al momento dell’entrata in guerra una parte importante della popolazione era favorevole a farlo. Era stata convinta dalla propaganda orchestrata, mediaticamente e politicamente, da coloro che pensavano di trarre vantaggi personali dalla guerra. Una maggiore consapevolezza della popolazione avrebbe probabilmente impedito l’ingresso in guerra dell’Italia nel 1915.
Terza lezione: le guerre non sono finite. Ancora oggi ci sono guerre che continuano a mietere morti: Siria, Yemen, Afghanistan, più molte altre dimenticate.
Quarta lezione: ancora oggi ci sono ristretti gruppi di potere che impongono le loro decisioni, anche negli stati democratici. Sono il cosiddetto “stato profondo”, il quale prima decide cosa sia per loro conveniente e poi adopera i mass media per condizionare l’opinione pubblica, in modo da fornire la necessaria “copertura politica” a decisioni di interesse privato precedentemente assunte.
Difficile non lasciarsi condizionare dai mezzi di comunicazione di massa, ma quantomeno accendiamo la campanella quando si sente parlare della “necessità” di intervenire presso altri popoli per tutelare i “nostri interessi”. La demonizzazione dell’avversario sta alla base di ogni propaganda di guerra.
Quinta lezione: la Grande Guerra fu combattuta perché alcuni gruppi di potere intendevano impadronirsi delle ricchezze detenute da altri popoli (o gruppi di potere interni ad altri popoli).
Non esistono soltanto le guerre militari. Oggi siamo nel pieno di una guerra finanziaria, in corso da almeno 25 anni, in cui alcuni paesi, come l’Italia, vengono depredati non da “armate straniere”, ma tramite i meccanismi sofisticati della finanza internazionale e dei trattati internazionali.
Anche in questa moderna forma di guerra la propaganda la fa da padrona, presentando la situazione di guerra come “necessaria e ineludibile”, come se non ci fosse alternativa.
Ricordiamocelo sempre: quando non ci vengono presentate alternative a qualche cosa che fa soffrire il popolo, è solo perché si tratta della decisione che hanno deciso di imporci per renderci docile al potere.
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