di Davide Gionco
Margaret Thatcher (1925-2013), primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, fu il primo leader politico europeo ad affermare con forza e ad attuare delle politiche economiche di stampo neoliberista, che prevedevano una riduzione del ruolo dello stato nella società, nella convinzione che il mercato, liberato dagli eccessivi vincoli provenienti dalla presenza del settore pubblico nell’economia, sia di per sé sufficiente a garantire un diffuso benessere alla popolazione.
Il principale problema della Thatcher era quello di screditare agli occhi del popolo britannico le precedenti visioni politiche (che andavano per la maggiore in Europa fino agli anni 1970) in cui lo stato ricopre un ruolo centrale nella regolamentazione dell’economia e in cui era ritenuta necessaria una partecipazione statale nei principali servizi pubblici.
Per questo motivo il primo ministro inglese ripeteva continuamente “There is no alternative!”, “Non c’è alternativa!”.
Non si trattava solo di uno slogan politico, ma si trattava di un modo per spostare le scelte politiche dal piano democratico ad un livello tecnico.
“Non c’è alternativa” significava sostenere che le scelte di politica economica della Thatcher non erano altro che l’attuazione delle prescrizioni tecniche di economisti competenti, come Ludwig Von Mises (1881-1973), Friedrich Von Hayek (1899-1992) e Milton Friedmann (1912-2006).
Trattandosi di “disposizioni tecniche” di persone esperte e competenti non c’era spazio per il dibattito politico democratico.
Così come non si decidono a maggioranza parlamentare i parametri costruttivi di un ponte o una terapia medica, così il popolo e il parlamento non dovevano avere un parere determinante sulle decisioni di politica economica.
L’economia dai tempi della Thatcher fino ad oggi viene presentata sui mass media come una scienza esatta, in cui persone “competenti” ci insegnano che cosa dobbiamo fare, mentre noi, comuni mortali ignoranti, incapaci di comprendere la complessità dell’economia, dobbiamo fidarci ciecamente delle loro disposizioni tecniche.
In questo modo i cittadini si sottomettono spontaneamente ai “tecnici”, rinunciando al loro diritto democratico di esprimere la propria opinione, se il caso anche di protestare pubblicamente.
L’errore di fondo sta nel fatto che l’economia non è una scienza esatta, come lo sono la matematica, la fisica, la chimica, ma è una scienza sociale, in cui decisioni di indirizzo politico convivono con strumenti di calcolo di tipo matematico.
Se i calcoli contabili sono evidentemente soggettivi, gli indirizzi sociali delle politiche economiche non sono mai “tecnici”, ma squisitamente politici.
Il fatto di sottrarre al dibattito democratico queste decisioni di indirizzo non è altro che una forma, mascherata, di dittatura.
In Italia gran parte delle decisioni che hanno influenzato pesantemente le politiche economiche degli ultimi 40 anni sono state presentate come “decisioni tecniche” e, per questo motivo, non presentate al Parlamento ed al popolo come questioni di merito politico da discutere, ma come provvedimenti tecnici da ratificare. In alcuni casi le decisioni sono state prese senza neanche passare per il Parlamento o sono state prese da “governi tecnici”.
1979 Ingresso nello SME (Sistema Monetario Europeo): tasso di cambio quasi fisso fra le valute europee
1981 Divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia: perdita del controllo sul debito pubblico
1992 Trattato di Maastricht: limite del 3% al deficit di bilancio e riduzione del debito pubblico al 60% del PIL; introduzione del principio di “concorrenza competitiva” fra gli obiettivi dell’Unione Europea
1993 Riforma del TUB (Testo Unico Bancario): possibilità per le banche commerciali di occuparsi anche di finanza speculativa
1995 Riforma Dini del sistema pensionistico
1999 Ingresso nell’euro: tasso di cambio fisso con le altre valute europee e creazione della BCE
2009 Trattato di Lisbona
2011 Ingresso nel MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)
2012 Inserimento in Costituzione (art. 81) del principio del pareggio di bilancio
2012 Ingresso nel fiscal Compact
Si tratta di decisioni che, tutte, hanno portato enormi vantaggi economici al mondo della finanza speculativa, a scapito del mondo del lavoro (lavoratori e imprese) e della popolazione.
Se ci avessero spiegato chiaramente i “risvolti politici” di tutte queste decisioni, certamente l’opinione pubblica si sarebbe ribellata.
Non ce lo hanno spiegato, perché erano solo “questioni tecniche” riguardanti gli economisti.
Non c’è alternativa, dobbiamo fare quello che ci dicono i tecnici.
Se vogliamo liberarci dall’attuale sistema di potere dobbiamo innanzitutto liberare culturalmente la nostra mente: tutte le decisioni economiche sono decisioni politiche.
I numeri dell’economia hanno sempre un significato politico.
La Democrazia deve ritornare a comandare sull’economia.
Abbiamo tutti i diritti di opporci a decisioni politiche che tagliano i servizi pubblici, che aumentano le tasse, che creano disoccupazione, che fanno fallire le nostre imprese.
Non si tratta di decisioni inevitabili, ma sempre di decisioni che dipendono dalla volontà della rappresentanza politica.
One Reply to “T.I.N.A. = THERE IS NO ALTERNATIVE. La dittatura mascherata dell’economia finanziaria.”