di Mauro Cuccu
L’antisemitismo (non il semplice odio contro gli ebrei), l’imperialismo (non la semplice conquista), il totalitarismo (non la semplice dittatura) hanno dimostrato, uno dopo l’altro, uno più brutalmente dell’altro, che la dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia, che si può trovare soltanto in un nuovo principio politico, in una nuova legge sulla terra. – Hannah Arendt – Le origini del totalitarismo.
Il concetto di “totalitarismo”, che troviamo all’interno de Le origini del totalitarismo ad opera di Hannah Arendt (1906 – 1975), pubblicato nel 1951(riproposto in un’ottima edizione del 2009 da Einaudi), rappresenta un unicum nella storia del pensiero filosofico-politico. Questa forma di Stato si esplica unicamente nella Germania nazista di Hitler e nell’Unione Sovietica di Stalin. I due sistemi, nonostante palesino differenti impostazioni ideologiche, secondo Arendt, mostrano dei punti di contatto che li rendono assimilabili. È doveroso sottolineare come l’aspetto che più sconvolse l’opinione pubblica dell’epoca, all’uscita de Le origini del totalitarismo, fu il fatto che il totalitarismo di destra venne messo sullo stesso piano del totalitarismo di sinistra. Ci vorranno anni affinché il pregiudizio sul testo decada e l’opera possa godere del giusto riconoscimento.
Le origini del totalitarismo è ricco e complesso, estremamente analitico nel suo impianto; un’opera densa dal punto di vista argomentativo e colma di sfaccettature interessanti.
Dopo la Prima guerra mondiale, grazie anche ai processi storici avviatisi nelle prime manifestazioni di antisemitismo nei decenni precedenti e alle fasi che hanno portato la nascita dell’imperialismo, secondo Arendt, l’avvento dei regimi totalitari è riuscito a dare risposte esaustive al latente bisogno di “appartenenza” dell’uomo in quel particolare momento storico. Appartenenza ad una classe, nel caso dello stalinismo e ad una razza superiore, nel caso del nazismo. Il totalitarismo è stato in grado di sedurre le masse per orientarle a determinati scopi, mobilitando enormi schiere di individui. Esseri umani fortemente provati da una congiuntura economica, sociale e politica tremendamente difficile.
Uno primo elemento all’interno de Le origini del totalitarismo è rappresentato dal male, concepito come male assoluto. Il male, in questa prima formulazione arendtiana, va interpretato come un male radicale (terminologia di chiara derivazione kantiana), da intendersi cioè come una presenza che si riscontra nella natura umana. Questa concetto di male è diverso dalla forma che assumerà successivamente e che sarà il perno dell’altra grande opera della Arendt, La banalità del male del 1963. Le premesse da cui Arendt parte ne Le origini del totalitarismo sono, da un punto di vista critico, squisitamente kantiane.
Le origini del totalitarismo è suddiviso in tre parti. La prima e la seconda sono dedicate rispettivamente all’antisemitismo e all’imperialismo, la terza è incentrata sul totalitarismo. Questa è la parte sulla quale ho deciso di concentrare la riflessione.
Arendt pur non avendo mai offerto una definizione della parola “totalitarismo”, sembra indicarne sottotraccia una possibile enunciazione. Possiamo affermare che uno Stato totalitario è quello Stato che mira a ottenere un dominio assoluto e permanente su ogni singolo individuo, in qualsiasi aspetto della vita, e si manifesta con una presa di possesso autoritaria e violenta della libertà dei cittadini, in senso totale. Sarà questo “senso totale” a sancire la differenza tra totalitarismo e dittatura. Analizzando il fenomeno della dittatura si riscontra che non c’è una mutazione così radicale del cittadino in uomo-massa e non abbiamo neppure una rinuncia a determinati valori. Nei regimi totalitari, invece, si innesca, prende forma e si concretizza esattamente questo processo.
Arendt all’interno de Le origini del totalitarismo espone esaustivamente le fasi propedeutiche allo sviluppo e al dispiegamento del fenomeno totalitario attraverso l’attenta analisi di aspetti quali la massa, la propaganda, il terrore, l’organizzazione statale, la moltiplicazione degli uffici, la polizia segreta e i campi di concentramento. Ognuna di queste tappe ha la sua importanza e rappresenta un passaggio obbligato per capire il fenomeno nella sua originalità.
Il concetto di “totalitarismo”, che troviamo all’interno de Le origini del totalitarismo ad opera di Hannah Arendt (1906 – 1975), pubblicato nel 1951(riproposto in un’ottima edizione del 2009 da Einaudi), rappresenta un unicum nella storia del pensiero filosofico-politico. Questa forma di Stato si esplica unicamente nella Germania nazista di Hitler e nell’Unione Sovietica di Stalin. I due sistemi, nonostante palesino differenti impostazioni ideologiche, secondo Arendt, mostrano dei punti di contatto che li rendono assimilabili. È doveroso sottolineare come l’aspetto che più sconvolse l’opinione pubblica dell’epoca, all’uscita de Le origini del totalitarismo, fu il fatto che il totalitarismo di destra venne messo sullo stesso piano del totalitarismo di sinistra. Ci vorranno anni affinché il pregiudizio sul testo decada e l’opera possa godere del giusto riconoscimento.
Le origini del totalitarismo è ricco e complesso, estremamente analitico nel suo impianto; un’opera densa dal punto di vista argomentativo e colma di sfaccettature interessanti.
Dopo la Prima guerra mondiale, grazie anche ai processi storici avviatisi nelle prime manifestazioni di antisemitismo nei decenni precedenti e alle fasi che hanno portato la nascita dell’imperialismo, secondo Arendt, l’avvento dei regimi totalitari è riuscito a dare risposte esaustive al latente bisogno di “appartenenza” dell’uomo in quel particolare momento storico. Appartenenza ad una classe, nel caso dello stalinismo e ad una razza superiore, nel caso del nazismo. Il totalitarismo è stato in grado di sedurre le masse per orientarle a determinati scopi, mobilitando enormi schiere di individui. Esseri umani fortemente provati da una congiuntura economica, sociale e politica tremendamente difficile.
Uno primo elemento all’interno de Le origini del totalitarismo è rappresentato dal male, concepito come male assoluto. Il male, in questa prima formulazione arendtiana, va interpretato come un male radicale (terminologia di chiara derivazione kantiana), da intendersi cioè come una presenza che si riscontra nella natura umana. Questa concetto di male è diverso dalla forma che assumerà successivamente e che sarà il perno dell’altra grande opera della Arendt, La banalità del male del 1963. Le premesse da cui Arendt parte ne Le origini del totalitarismo sono, da un punto di vista critico, squisitamente kantiane.
Le origini del totalitarismo è suddiviso in tre parti. La prima e la seconda sono dedicate rispettivamente all’antisemitismo e all’imperialismo, la terza è incentrata sul totalitarismo. Questa è la parte sulla quale ho deciso di concentrare la riflessione.
Arendt pur non avendo mai offerto una definizione della parola “totalitarismo”, sembra indicarne sottotraccia una possibile enunciazione. Possiamo affermare che uno Stato totalitario è quello Stato che mira a ottenere un dominio assoluto e permanente su ogni singolo individuo, in qualsiasi aspetto della vita, e si manifesta con una presa di possesso autoritaria e violenta della libertà dei cittadini, in senso totale. Sarà questo “senso totale” a sancire la differenza tra totalitarismo e dittatura. Analizzando il fenomeno della dittatura si riscontra che non c’è una mutazione così radicale del cittadino in uomo-massa e non abbiamo neppure una rinuncia a determinati valori. Nei regimi totalitari, invece, si innesca, prende forma e si concretizza esattamente questo processo.
Arendt all’interno de Le origini del totalitarismo espone esaustivamente le fasi propedeutiche allo sviluppo e al dispiegamento del fenomeno totalitario attraverso l’attenta analisi di aspetti quali la massa, la propaganda, il terrore, l’organizzazione statale, la moltiplicazione degli uffici, la polizia segreta e i campi di concentramento. Ognuna di queste tappe ha la sua importanza e rappresenta un passaggio obbligato per capire il fenomeno nella sua originalità.
Le fasi propedeutiche allo sviluppo del totalitarismo
L’avvento delle masse come aspetto formativo in ottica totalitaria è di fondamentale importanza. L’idea di massa nasce negli anni venti e trenta del Novecento. È una novità dei movimenti totalitari. Arendt definisce la massa affermando che non va confusa né col popolo né con la plebe. A sancire la differenza tra massa e popolo è il fatto che nel popolo le singolarità si relazionano e si riconoscono tra loro senza perdere il carattere dell’individualità. La massa invece si presenta come entità unica e indifferenziata, fusione delle singole individualità che si sciolgono e si perdono in essa. La plebe, che possiamo considerare una forma del popolo e non della massa, viene descritta come una caricatura della classe borghese.
Hannah Arendt parla di processo di trasformazione del popolo e della plebe in massa. La massa diverrà, anche per via della caduta delle classi sociali, l’unico punto di riferimento sia per il popolo che per la plebe. Essa annienta la specifica autonomia dell’individuo e si caratterizza sia per la totale sfiducia verso il sistema della politica, che per la ricerca di sicurezza, che trova una naturale espressione nella volontà di riconoscere determinati nemici da combattere. Per la massa la presenza più rassicurante è quella dell’uomo forte al potere. L’apoliticità delle masse, la loro natura amorfa, la mancanza di idee, sono aspetti che diverranno terreno fertile per il fiorire del totalitarismo.
L’elemento legato alla propaganda e al terrore è un altro snodo fondamentale. Le masse vanno convinte. Qui si inserisce uno dei grandi strumenti del totalitarismo: la propaganda. Si tratta di uno strumento inventato di sana pianta dai regimi totalitari e utilizzato per convincere le masse. La propaganda si esprime attraverso un elemento chiave: il terrore; e lo fa soprattutto in relazione a quelle che saranno le ripercussioni per coloro che non si adeguano. Il movimento totalitario si esplica attraverso una particolare propaganda a cui si affianca una sistematica azione di terrore, che diventa elemento di complemento della propaganda stessa.
Altro campo in cui i sistemi totalitari furono originali è dato dall’organizzazione. L’organizzazione statale e la moltiplicazione degli uffici rappresentano due punti chiave per lo sviluppo del regime.Il regime nazista era strutturato a strati. Frontisti, membri del partito, gerarchie del partito, fino al führer, che si attribuisce la responsabilità dell’operato di tutti e dirige l’intero movimento. A questo si affianca un’imponente macchina burocratica, la cui efficacia in verità si è già palesata nel secolo precedente.
La burocrazia viene trattata da Hannah Arendt nella parte sull’imperialismo (dove afferma, nel capitolo settimo, che razza e burocrazia sono i due nuovi aspetti dell’imperialismo) e che viene pienamente ereditata anche nei regimi totalitari. Dove la burocrazia latita, interviene la polizia segreta, col suo duplice ruolo che la vede operare all’esterno, per preparare il terreno al dominio tedesco nel mondo, e all’interno occupandosi dei nemici oggettivi da individuare e annientare, primi tra tutti gli ebrei.
Con la creazione dei campi di concentramento il regime porta a termine attraverso tre direttrici un preciso processo di annientamento. Dopo aver avviato l’annullamento del valore di persona giuridica e l’annullamento del valore di persona morale, si passa all’annullamento totale della differenza di ogni singola individualità. Le persone sono trattate come oggetti. Il luogo fisico nel quale si porta a termine il processo di annientamento è appunto il campo di concentramento.
Arendt fa notare come la grande assente in tutto questo processo di sviluppo del totalitarismo, che culmina nell’uccisione di migliaia di persone nei lager, sia stata l’indignazione, accompagnata dalla mancanza di opposizione da parte di coloro che hanno assistito inerti al genocidio. Hannah Arendt condanna la passività e l’inerzia della massa, la sua deplorevole e ingiustificabile indifferenza. La deresponsabilizzazione delle masse che assistono senza prendere posizione sarà un elemento centrale di analisi critica successiva. La responsabilità degli orrori è da attribuire anche a tutti gli spettatori che hanno assistito passivamente agli eventi.
Una chiave di lettura (anche) filosofica del fenomeno totalitario
Il totalitarismo ha creato istituzioni nuove e distrutto le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese
Ha avviato il processo di trasformazione delle classi in massa, le ha convinte con una ossessiva propaganda e le ha tenute in una condizione di assoluto terrore; ha instaurato il partito unico al comando, ha dato ampi poteri alla polizia, si è dotato di una solida organizzazione attraverso un formidabile apparato burocratico, ha soffocato la vita di migliaia di innocenti nei lager e ha generato uno scenario fittizio e inverosimile dove poter operare. Tuttavia Arendt, dopo aver illustrato in maniera chiara le tappe che hanno generato il regime, coglie alcuni aspetti determinanti, che ci permettono di comprendere meglio la portata di questo fenomeno. Una delle affermazioni chiave è la seguente:
Il regime totalitario non si distingue dunque dalle altre forme di governo perché riduce o abolisce determinate libertà, […] ma perché distrugge il presupposto di ogni libertà, la possibilità di movimento che non esiste senza spazio
L’importanza di questa affermazione risiede non solo nella presa d’atto della distruzione da parte del regime di ogni libertà, quanto nell’azione stessa che si manifesta attraverso l’impossibilità di compiere questo movimento. È emblematico il paragone con la tirannide che abolisce i confini delle leggi tra gli individui e annulla la libertà umana, ma non lo fa in senso assoluto. Arendt riscontra nella tirannide ancora uno spazio, certo limitato, ma dove è garantito all’uomo un minimo di movimento e una certa capacità d’azione.
Il regime totalitario si spinge oltre: distrugge lo spazio che sussiste tra gli uomini, innescando l’addossamento degli individui. Lo spazio viene annientato e di conseguenza viene eliminata ogni possibilità di movimento. Ciò che il regime non può fare, è impedire la nascita degli uomini. Quest’aspetto è determinante perché è da questa riflessione che prende avvio la svolta di Hannah Arendt in senso filosofico ed etico sociale, che condurrà al grande tema della responsabilità individuale.
Alla luce di questa presa d’atto e nell’ottica di quell’azione che mira alla distruzione totale della libertà, è doveroso per il regime operare già alla radice generatrice dell’uomo, che attraverso la nascita, manifesta quella particolare capacità umana, di avviare, nell’atto stesso in cui si nasce, un nuovo inizio.
Nel tentativo di soffocare questo processo di “nascita”, il regime vuole compiere il passo decisivo di erigersi a unico esecutore assoluto di morte. Vuole sostituirsi sia alla natura, uccidendo gli individui “inadatti a vivere”, che alla storia, colpendo a morte le “classi morenti”, senza pertanto attendere i processi più lunghi ed articolati della natura appunto e della storia. I cittadini che vivono all’interno di un regime totalitario hanno a che fare proprio con questo terrificante meccanismo. Sostituendosi ai processi naturali e storici (nelle rispettive sfumature del nazismo e dello stalinismo), costoro vedono negli stessi regimi compiere in maniera più rapida quel processo di epurazione. Inoltre gli stessi cittadini si ritrovano sempre nella condizione di sudditi, sia quanto svolgono il ruolo di esecutori, che quando si riducono a quello di vittime. Questo perché il processo di trasformazione in massa, ha già segnato il definitivo passaggio dai singoli individui, all’unico uomo-massa.
In definitiva i nazisti, considerandosi l’incarnazione della legge naturale, ritengono altresì di essere anche l’incarnazione della volontà divina
Non si potrebbe capire l’enorme portata dell’elemento di totale volontà di distruzione della libertà individuale, se non evidenziassimo un’altra riflessione della filosofa, che rappresenta a mio avviso, una vera e propria vetta filosofica. Mi riferisco alla distinzione, molto efficace per la comprensione dell’essenza del totalitarismo, posta tra i diversi concetti di isolamento ed estraniazione e di sradicamento e superfluità.
Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più
A sancire la genesi del terrore è l’isolamento che Arendt definisce pretotalitario. Esso si forgia nell’impotenza perché gli individui isolati sono impotenti per definizione. Isolamento e impotenza sono elementi tipici delle tirannidi, per questo restano circoscritti ad una fase pretotalitaria. Quando l’isolamento, inteso in senso politico, si trasforma in estraniazione, abbiamo un travaso all’interno della sfera dei rapporti sociali. Il moto è sottile, ma filosoficamente notevole.
Isolamento ed estraniazione non sono infatti la stessa cosa. L’isolamento concerne l’aspetto politico della vita, mentre l’estraneazione riguarda la vita umana nella sua interezza. Il regime totalitario ambisce all’estraneazione: vuole distruggere anche la vita privata dell’individuo e l’estraniazione è una delle esperienze umane più radicali e devastanti che esistano. Il passaggio dall’isolamento all’estraneazione è lo stesso che abbiamo dallo sradicamento alla superfluità. Dal non essere più riconosciuti dagli altri, si passa ad una condizione di superfluità, attraverso cui gli individui sono considerati eccedenti, dunque totalmente inutili.
Nelle battute finali de Le origini del totalitarismo emerge, come accennato, il tema della responsabilità. Esso è rappresentato dall’idea arendtiana di nuovo inizio che discende dal De civitate Dei di Agostino, e si formalizza all’interno di uno sfondo etico e antropologico
La fine del totalitarismo ha segnato un nuovo inizio, perché ogni individuo che viene al mondo, con la sua nascita, rappresenta una risposta ai mali del mondo, ed è chiamato, in funzione del suo compito, ad assumersi le proprie responsabilità. Parliamo proprio di quella nascita che il totalitarismo non è riuscito ad annientare. Avviare un nuovo inizio è la suprema capacità umana che coincide con la libertà. Questo inizio è certo, concluderà Arendt, “è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo”, e mai come oggi, c’è bisogno di intraprendere nuovamente e con più energia un altro nuovo inizio.
Gli Stati Uniti sono stati in guerra 222 anni su 239, ecco contro chi! Leggi e diffondi la verità.
Gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza
Gli anni di pace sono stati solo 21 dal 1776
Qui sotto è riportata una cronologia anno per anno delle guerre degli Stati Uniti, che rivela qualcosa di molto interessante: dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza
Gli anni di pace sono stati solo 21.
Per mettere questo in prospettiva:
* Nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato un Presidente di pace. Tutti i presidenti degli Stati Uniti che si sono succeduti sono stati tutti, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra.
* Gli Stati Uniti non hanno mai passato un intero decennio, senza fare una guerra.
* L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.
Proseguimento su:
https://comedonchisciotte.org/forum-cdc/#/discussion/78921/usa-222-anni-di-guerra-su-239
Ovviamente Hannah Arendt, ebrea americana, non ne fa nessuna menzione, due pesi e due misure, Cui Prodest?
Ah saperlo………!!
Cordiali saluti e buona settimana.
TheTruhSeeker